PieperGate: Markus Pieper rinuncia per salvare Ursula. I problemi per von der Leyen restano
La nomina di un eurodeputato della Cdu rischiava di compromettere il secondo mandato alla testa della Commissione. Ma il caso mette in luce il metodo Ursula di governare l'Ue
Bruxelles. Ursula von der Leyen alla fine ha ceduto. L'europarlamentare tedesco della Cdu, Markus Pieper, ha deciso di rinunciare all'incarico di Inviato dell'Ue per le Piccole e Medie Imprese, dove era stato imposto dalla presidente della Commissione, nonostante fosse stato considerato il peggiore dei candidati preselezionati e malgrado il parere contrario del commissario responsabile, il francese, Thierry Breton. La nomina ufficiale era avvenuta il 31 di gennaio. Il PieperGate è scoppiato tre settimane dopo, il 22 febbraio, quando Il Foglio e la newsletter Il Mattinale Europeo hanno rivelato i contorni e i dettagli delle manovre della presidente della Commissione, che hanno portato alla nomina di Pieper: un sospetto caso di favoritismo da parte di von der Leyen per ragioni di partito. Era necessario liberare un posto nella lista della Cdu in Nord Reno-Westfalia per un candidato donna alle elezioni europee. Von der Leyen aveva bisogno del sostegno della Cdu per diventare la Spitzenkandidat del Ppe. All'interno del Ppe, la presidente uscente della Commissione non suscitava grande entusiasmo al momento di ottenere l'appoggio per un secondo mandato. Qualche settimana dopo si sarebbe tenuto il Congresso di Bucarest del Ppe, dove von der Leyen ha messo l'Inviato dell'Ue per le Pmi al centro del suo programma per la prossima legislatura.
Il PieperGate ha suscitato una rivolta dentro la Commissione, dove quattro commissari – lo spagnolo Josep Borrell, il francese Thierry Breton, l'italiano Paolo Gentiloni e il lussemburghese Nicolas Schmit – hanno chiesto di ridiscutere la scelta. L'europarlamentare ceca, Martina Dlabajova, arrivata in testa alla preselezione, ha presentato ricorso contro la nomina di Pieper. Il Parlamento europeo la scorsa settimana ha votato a maggioranza assoluta per chiedere alla Commissione di revocare Pieper e riaprire la selezione in modo trasparente. Simbolo di una gestione personalistica della Commissione, il PieperGate era diventato una macchia che rischiava di trasformarsi in macigno per la riconferma di von der Leyen per un secondo mandato. Ma il caso è davvero chiuso?
Pieper ha detto al quotidiano Handelsblatt di aver rinunciato per gli attacchi politici subìti. "Dato che Breton ha già boicottato in anticipo la mia nomina alla Commissione, al momento non vedo alcuna possibilità di soddisfare le legittime aspettative associate a questo incarico", ha spiegato Pieper. L'europarlamentare ha accusato il commissario francese di essere "responsabile" di questi attacchi "motivati esclusivamente dalla politica di partito". La versione ufficiale è di una rinuncia volontaria. Von der Leyen è “rammaricata” della decisione di Pieper, ha detto un portavoce della Commissione. "Markus Pieper è un esperto di Pmi di provata esperienza e ha superato con successo un processo di selezione in più fasi. L'autonomia di ogni istituzione dell'Ue nella scelta dei suoi alti funzionari deve essere rispettata", ha aggiunto il portavoce. Ma la versione ufficiale lascia spazio a dubbi.
Non è il primo caso in cui un funzionario rinuncia, si dimette o viene trasferito per salvare la presidente della Commissione dall'imbarazzo, anche se non sono state violate delle regole. I precedenti sono quelli dell'ex commissario irlandese Phil Hogan, dell'ex direttore generale della Direzione generale dei Trasporti Henrik Hololei e dell'americana Fiona Scott Morton, appena scelta come economista capo della concorrenza. La decisione di von der Leyen di sospendere le procedure di nomina del nuovo inviato dell'Ue per le Pmi mette in discussione l'urgenza e la volontà politica dichiarata di ridurre la burocrazia. Il sollievo di von der Leyen potrebbe essere illusorio. Il danno è stato fatto: la nomina di un amico politico e i benefici che gli sono stati concessi hanno messo in evidenza la gestione altamente politica e partigiana della Commissione da parte della presidente, che dovrebbe rappresentare gli interessi dei 27 e non quelli suoi personali o della sua Cdu.