Gettyimages 

Perché la Tunisia di Saied non è un partner affidabile

Ghazi Ben Ahmed

Autoritarismo, isolamento, guai socio-economici. Fare accordi sui migranti con Tunisi è un autogol

Nel complesso scenario geopolitico del Nord Africa, la decisione della premier italiana Giorgia Meloni di scommettere su Kais Saied come leader capace di garantire stabilità in Tunisia e di gestire i flussi migratori verso l’Europa si è rivelata un azzardo che ha evidenziato le difficoltà e l’isolamento del presidente tunisino. Questa scelta, tuttavia, non solo riflette le sfide dirette affrontate dall’Italia, ma pone in risalto l’importanza delle relazioni tra la Tunisia e i suoi partner tradizionali: i paesi del Golfo, l’Algeria e l’Egitto. 

  
La fiducia mal riposta di Meloni in Saied si è rivelata non solo un fallimento strategico ma anche un disastro etico ed economico di vasta portata. Scommettendo su Saied come soluzione alle pressioni migratorie verso l’Europa, Meloni ha inavvertitamente contribuito a rafforzare la posizione di un leader che si è dimostrato incapace di stabilizzare il proprio paese e, peggio ancora, disposto a usare la questione migratoria come leva per estorcere ulteriori fondi dall’Unione europea. Questa strategia ha portato a conseguenze eticamente deeplorevoli, inclusa la deportazione di migranti nel deserto, una pratica disumana che ha sollevato indignazione internazionale e messo in luce la fallacia morale di una politica che sacrifica i diritti umani sull’altare della convenienza politica.

   
Economicamente, l’approccio di Meloni ha fallito nel creare una stabilità duratura in Tunisia, esponendo l’Ue a richieste di finanziamenti sempre maggiori sotto la minaccia di un’escalation della crisi migratoria. Questa dipendenza da un regime instabile per la gestione dei flussi migratori ha dimostrato la sua insostenibilità, delineando l’esperienza di Meloni come un capitolo disastroso nella politica estera italiana, che ha indebolito la posizione dell’Italia e dell’Ue nel Mediterraneo, aggravando una situazione già tesa e compromettendo seriamente l’integrità etica delle politiche migratorie europee.

   
Per comprendere il caso tunisino bisogna approfondire le dinamiche di potere e le alleanze regionali che hanno influenzato il regime post-coup di Saied, analizzando il ruolo critico dei suoi storici alleati. Dal sostegno finanziario del Qatar all’ambivalente posizione di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, fino al complesso tessuto di relazioni con l’Algeria e l’influenza strategica dell’Egitto. Queste interazioni svelano un panorama di alleanze e tensioni che modellano le prospettive di stabilità e prosperità della Tunisia. Contrariamente alle aspettative, né l’Arabia Saudita né gli Emirati hanno mostrato un supporto esplicito al colpo di stato di Saied. Questa assenza di endorsement sfida la narrazione secondo cui le monarchie del Golfo si oppongono uniformemente agli esperimenti democratici nel mondo arabo. Invece, la loro accoglienza tiepida alla governance di Saied sottolinea uno scetticismo sulla sua efficacia come leader autoritario e comunicatore, mettendo in dubbio l’importanza strategica della Tunisia rispetto ad altri alleati regionali come l’Egitto sotto il Presidente Abdel Fattah al Sisi.

  

Il ruolo sorprendente del Qatar e l’influenza dell’Algeria

Il Qatar è emerso come un sostenitore più proattivo della Tunisia dopo il colpo di stato, offrendo assistenza finanziaria nonostante una complessa rete di relazioni e tensioni occasionali. Questo sviluppo indica la natura fluida delle politiche estere degli stati del Golfo, guidate più da obiettivi strategici ampi che da un allineamento ideologico. L’Algeria, condividendo un lungo confine e legami storici con la Tunisia, ha giocato un ruolo fondamentale nelle relazioni estere di Saied. Nonostante l’iniziale irritazione per la mancanza di consultazione prima del colpo di stato e le preoccupazioni per la gestione economica di Saied, l’Algeria ha agito come principale benefattore della Tunisia, spinta dal desiderio di stabilità regionale. Questa relazione, tuttavia, è caratterizzata da pragmatismo piuttosto che da una vera affinità ideologica, evidenziando le sfide che Saied affronta nel forgiare forti alleanze regionali.

 

L’isolamento di Saied e la lotta per la sostenibilità economica

Il mandato di Saied è stato caratterizzato da un notevole isolamento regionale, aggravato dalla sua incapacità di attrarre investimenti significativi o articolare una visione economica coerente. La sua posizione su varie questioni, inclusa la sua visione critica degli Accordi di Abramo e il suo allineamento con l’Algeria rispetto al Marocco, hanno ulteriormente allontanato potenziali alleati del Golfo. Inoltre, la sua governance contrassegnata da sentimenti antisionisti e dalla riluttanza ad abbracciare il pragmatismo, ha limitato l’attrattiva della Tunisia per i tradizionali investitori del Golfo.

   

La dimensione europea: l’impegno dell’Italia con la Tunisia

La relazione tra la Tunisia e l’Italia, specialmente con Meloni, evidenzia l’interesse dell’Unione europea nella stabilità del Nord Africa. Gli sforzi di Meloni per assicurare finanziamenti del Golfo per la Tunisia e mirati a mitigare la crisi migratoria, sottolineano la strategia dell’Ue di esternalizzazione del controllo delle frontiere. Tuttavia, la complessità della situazione domestica della Tunisia, caratterizzata da corruzione e inefficacia, pone sfide significative a tali imprese.
In questo contesto, Meloni ha agito con una determinazione che ha messo in difficoltà la Commissione europea e la sua presidente, Ursula von der Leyen, costringendola a sostenere Saied in cambio dei suoi presunti servizi per contenere i flussi migratori verso l’Europa. Questa politica, mirata a influenzare l’esito delle elezioni europee e a fare fronte comune contro l’ascesa dell’estrema destra, si è rivelata un autogol. L’intento di placare le preoccupazioni legate all’immigrazione attraverso un accordo con Saied non solo ha fallito nel suo obiettivo primario ma ha anche rafforzato un leader autoritario privo di qualsiasi visione economica sostenibile per il suo paese.

   
La conseguenza diretta di questa politica è stata quella di dare a Saied carta bianca per agire senza controlli, mentre la Tunisia si avvicina pericolosamente alla bancarotta. Questo rafforzamento di un regime autoritario, sotto la guida di un leader che mostra scarso interesse per il benessere economico e sociale del proprio paese, rappresenta un errore strategico che mina gli sforzi compiuti per promuovere stabilità e prosperità nella regione. La scelta di Meloni di puntare su Saied come alleato nella gestione della crisi migratoria, ignorando le evidenti lacune nella sua leadership, svela un’incapacità di prevedere le conseguenze a lungo termine di tali alleanze, lasciando l’Ue in una posizione di vulnerabilità di fronte ai capricci di un dittatore e agli umori sempre più tesi della politica interna tunisina.

   

Un incrocio di opportunità perse e interessi esterni

Analizzare le relazioni regionali della Tunisia sotto la leadership di Saied rivela un panorama di opportunità perse e complesse interdipendenze. La mancanza di un sostegno sostanziale da parte degli stati del Golfo, combinata con il sostegno pragmatico dell’Algeria e l’interesse concentrato dell’Europa sulle questioni migratorie, dipinge l’immagine di un paese intrappolato tra gli imperativi della governance interna e le realtà della politica internazionale. Il regno di Saied rimane un caso di studio sui limiti del governo autoritario in mezzo a correnti geopolitiche in evoluzione.

  
Mentre la Tunisia affronta queste sfide, l’ingaggio della comunità internazionale con il governo di Saied continuerà a essere definito da un delicato equilibrio tra pragmatismo, interessi strategici e l’obiettivo della stabilità regionale. La dinamica in evoluzione delle relazioni della Tunisia con gli stati del Golfo, l’Algeria e l’Unione europea indubbiamente plasmerà il futuro del paese, sottolineando l’importanza di una diplomazia sfumata e di una governance efficace in un panorama globale sempre più complesso.
  

*Ghazi Ben Ahmed è presidente del Mediterranean Development Initiative