da dubai

A chi serve Telegram

Micol Flammini

Il suo fondatore Pavel Durov dà spazio a combattenti contro i regimi, a propagandisti e a terroristi. Dice di non avere uno schieramento, fa tutto per la libertà di dire qualsiasi cosa e per se stesso. L'intervista con Tucker Carlson

Il giornalista americano Tucker Carlson ha l’abilità di mostrare la stessa espressione di sconcerto quando, intervistando Vladimir Putin a Mosca, si sente raccontare dal presidente russo che proprio come Adolf Hitler si trovò costretto a invadere la Polonia, lui non ha potuto fare a meno di attaccare l’Ucraina.  Con lo stesso sguardo, Carlson ha guardato Pavel Durov mentre gli sciorinava tutte le pressioni che ha ricevuto da parte del Cremlino per chiudere le sue piattaforme: VKontakte e Telegram. Pavel è, insieme a suo fratello Nikolai, l’inventore del social che viene chiamato il Facebook russo (VKontakte) e della piattaforma di messaggistica istantanea, diventata il rifugio di chiunque, di cause nobili di resistenza contro i regimi e di cause aberranti come il terrorismo. I Durov erano giovanissimi quando inventarono VKontakte, che divenne presto lo spazio di libertà dentro una Russia sempre più autoritaria. Su VKontakte venivano organizzate le proteste, ci si scambiava opinioni contro il Cremlino, ci si metteva d’accordo su come e quando vedersi per manifestare contro Vladimir Putin. Quello spazio di esuberanza politica e di libertà di pensiero non era tollerato e così il governo e le sue agenzie iniziarono a fare pressione sui due fratelli per sradicare il fermento democratico su internet. Lo stesso avvenne nel 2014, quando in Ucraina le proteste in Piazza Indipendenza si servivano di VKontakte per organizzarsi e allora Mosca iniziò a chiedere i dati degli utenti. Durov non rilascia spesso interviste, soprattutto se davanti alle telecamere, ma questa volta ha accolto nella sua casa a Dubai l’ex giornalista di Fox News, cantore del trumpismo, che durante l’ora di conversazione con il fondatore di Telegram  sembrava aver dimenticato i giorni trascorsi a Mosca a magnificare l’efficienza del putinismo. Durov ha raccontato di quando ha deciso di cedere VKontakte agli oligarchi, di lasciare la Russia, provando a vivere prima in Europa poi negli Stati Uniti e di aver deciso di andare a Dubai perché ne apprezza “la neutralità”. L’obiettivo di Carlson è tracciare le differenze tra Durov e Mark Zuckerberg, che secondo il giornalista non ha avuto il coraggio di Durov di opporsi ai governi: il giornalista  rimane estasiato quando Durov gli racconta di quanto fosse difficile rimanere negli Stati Uniti, con le continue attenzioni dell’Fbi. 


A Mosca nel 2018 le persone sono scese in piazza per protestare contro il Cremlino, che dopo VKontakte aveva deciso di costringere i fratelli Durov, ormai lontani dalla Russia, a cedere i dati degli utenti: sui canali dell’opposizione si possono trovare notizie contrarie al regime e Telegram è sempre stato considerato un rifugio. Le proteste a favore di Telegram furono molto scenografiche, i manifestanti iniziarono a gettare aeroplanini di carta bianchi – il simbolo di Telegram – verso il cielo della capitale russa e il regime cominciò a cercare di bannare la piattaforma senza riuscirci. 
La Roscomnadzor, l’organo censore russo,  ingaggiò una ridicola corsa del gatto col topo, senza mai riuscire davvero a bandire Telegram, che nel frattempo veniva utilizzato anche dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. Durov, nell’intervista ribadisce di credere in ogni libertà, in quella di mercato, in quella di pensiero e in quella di parola, e nel nome di questa libertà di tutto vuole che la sua piattaforma ospiti chiunque. Qui torna il dilemma che avvolge la figura di Pavel Durov e i suoi prodotti da sempre: a chi serve Telegram? L’Ucraina sta pensando di bandire la piattaforma di messaggistica istantanea, che tanti cittadini usano per capire cosa fare durante gli attacchi aerei della Russia, ma sulla stessa piattaforma si diffonde la propaganda di Mosca che potendo contare sulla capacità degli ucraini di parlare  russo può penetrare con più facilità. Durov ha detto a Carlson di aver aiutato i governi a diffondere informazioni durante la pandemia ma anche di aver lasciato parlare i complottisti, sempre nel nome della libertà di tutto e di tutti, fedele al principio che saranno gli utenti a  scegliere a chi credere e senza rivelare il suo pensiero. 


Carlson lo guarda entusiasta, gli dice che negli Stati Uniti gli amministratori di Facebook e di Twitter invece si sono piegati alle richieste della Casa Bianca dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio, mentre Durov racconta di aver lasciato spazio  a qualunque idea, anche la più violenta. Telegram, racconta il suo fondatore, non cede alle pressioni delle aziende, neppure di Google e Apple, è questo il vanto di Durov, che dice di stimare Elon Musk e tutto quello che fa con X: “E’ un innovatore”, ha detto a un Tucker Carlson che sorride e annuisce. 


Durov utilizza tutte le piattaforme social, nonostante la stima per Musk, ha un approccio particolare a Instagram, in cui ama mettere sue foto a petto nudo, nel deserto o mentre entra in una vasca piena di acqua gelata e ghiaccio. Tempo fa tanto esibizionismo venne preso per una sfida a Putin, alle sue esibizioni a petto nudo nella natura alle quali Durov contrapponeva i suoi pettorali di molti anni più giovani. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)