La riunione dei ministri degli Esteri del G7
Sanzionare l'Iran non basta più
Blinken arriva a Capri con un pacchetto di nuove sanzioni americane, ma le resistenze sono molte. Serve una risposta decisa e unitaria dell’occidente contro Teheran. I vecchi schemi superati dai fatti
L’agenda della riunione dei ministri degli Esteri del G7 e dei paesi e delle istituzioni invitati continua a cambiare. La ministeriale, considerata la più importante del G7 dopo quella dei capi di stato e di governo, è iniziata ufficialmente ieri sotto la presidenza italiana: ma se la prima riunione, quella in programma alle 9 e 30 di stamattina, avrebbe dovuto essere dedicata all’Ucraina – vista anche la presenza a Capri del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba e del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg – adesso la priorità dei leader delle grandi economie del mondo è un’altra: l’Iran. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ieri sera ha avuto un bilaterale con il segretario di stato americano Antony Blinken, con il quale il vicepremier ha detto “c’è massima sintonia”. Eppure nessuna delegazione per ora si sbilancia sulle misure che i ministri discuteranno contro Teheran: altre sanzioni? “Se lo decidono rimane da vedere, ma questo sarà il tema”, dice al Foglio una fonte del dipartimento di stato che preferisce restare anonima perché non autorizzata a parlare dell’argomento. La questione più urgente è quella di trovare una risposta occidentale efficace e unitaria contro l’Iran, che per la prima volta lo scorso sabato notte ha colpito direttamente il territorio israeliano, ma non è l’unico: c’è il problema delle difese aeree ucraine, della Difesa dell’Europa e una diplomazia spesso lenta e non sufficientemente efficace, che non riesce a stare al passo con i quattro paesi sempre più allineati nel tentativo di rovesciare l’ordine mondiale, ovvero Russia, Cina, Iran e Corea del nord.
Ieri Tajani parlando con i giornalisti ha detto che con i suoi omologhi “lavoreremo insieme per cercare di imporre sanzioni all’Iran. Vedremo se si può trovare una soluzione e che tipo di sanzioni”. L’America le ha già annunciate: l’altro ieri il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha detto che il governo americano “imporrà nuove sanzioni contro l’Iran, e contro il suo programma di missili e droni, nonché nuove sanzioni contro le entità che sostengono le Guardie rivoluzionarie islamiche e il ministero della Difesa iraniano”. Fonti diplomatiche spiegano al Foglio che il dibattito sarà dunque questo: Washington può e deve mostrarsi dura con Teheran imponendo nuove sanzioni che virtualmente dovrebbero limitare la capacità iraniana di produrre armamenti – soprattutto quei missili e droni usati anche dalla Russia contro l’Ucraina e dagli houthi contro le navi mercantili.
Ma nelle parole di Tajani si intravedono almeno due criticità che Blinken dovrà affrontare con i suoi omologhi durante le prossime riunioni capresi: all’interno dei paesi europei c’è una tendenza strisciante, sempre più visibile, a evitare nuove sanzioni se già imposte da Washington, come a semplificare una procedura che impedisce comunque alle aziende europee di commerciare con aziende poste sotto sanzioni dall’America. Dall’altro lato c’è il fatto che l’Iran è già uno dei paesi più sanzionati al mondo, e che le limitazioni sul piano commerciale possano ormai essere considerate non sufficienti, in una specie di rassegnazione che impedisce di trovare soluzioni creative. L’antropologa della Johns Hopkins Narges Bajoghli, che ha da poco pubblicato il saggio “How Sanctions Work: Iran and the Impact of Economic Warfare”, dice al Foglio che “un aumento delle sanzioni non porterà a nulla”.
Secondo l’accademica – ed è una riflessione frequente nei circoli diplomatici – il calcolo politico della leadership iraniana “è basato sull’esperienza di quattro decenni di sanzioni economiche”, che ha permesso al paese anche di creare sofisticati schemi di elusione delle misure, anche grazie all’aiuto di una rete di alleanze del cosiddetto “asse della resistenza” antioccidentale, di cui fa parte anche la Corea del nord. A Teheran ormai sanno “che le sanzioni sono appiccicose e non si tolgono. Sono diventate solo un bastone e quindi hanno perso qualsiasi leva strategica da parte degli Stati Uniti o dei paesi occidentali”.
Dunque imporne ulteriori su un paese come l’Iran rischia di essere considerato solo un modo per l’occidente di affermare che sta “facendo qualcosa contro l’Iran in modo retorico, mentre di fatto si libera della questione perché non ha altre opzioni – a meno che non voglia impegnarsi in una guerra regionale”. Il terzo problema riguarda le sanzioni secondarie: la linea di credito più importante della leadership di Teheran è offerto in questo momento dalla Cina, che continua ad acquistare il petrolio iraniano anche se sotto sanzioni. Diversi paesi del G7 sarebbero contrari ad affrontare le conseguenze dell’imposizione di misure contro aziende, banche e società di trasporti cinesi. E’ un punto politico molto sensibile per la leadership di Pechino, che si oppone formalmente alla strategia delle sanzioni dell’ordine mondiale a guida americana.
Chi e quali entità verranno sanzionate alla fine della ministeriale sarà fondamentale per capire la portata del messaggio politico che l’occidente manderà a Teheran. Secondo alcune informazioni circolate ieri, le sanzioni potrebbero essere incluse anche nel documento finale della ministeriale Esteri del G7. Ma se saranno sanzioni spuntate, avranno comunque un effetto minimo.