dottrina nucleare

Perché Israele ha attaccato ora l'Iran

Micol Flammini

Lo stato ebraico ha colpito una base a Isfahan, in Iran e alcune postazioni in Siria. E' una risposta "limitata" all'attacco di Teheran di sabato notte. Il regime iraniano ha fatto sapere che i siti nucleari sono al sicuro. Lo spazio aereo è stato riaperto

Alle 4.30 ora italiano, Israele ha lanciato un attacco limitato nella provincia di Isfahan in Iran dove si trova il sito di arricchimento nucleare di Natanz, più volte oggetto di sabotaggi da parte dello stato ebraico. Si tratta di una risposta "limitata" all'offensiva subìta sabato notte, quando più di trecento missili e droni di Teheran sono stati lanciati contro Israele. 

 

La risposta di Tsahal non è stata finora massiccia come l'attacco iraniano, non c'è stata nessuna conferma da parte di Gerusalemme e gli iraniani hanno deciso di minimizzare, di puntare tutto sulla calma, di dire che non ci sono stati danni mentre in televisione sono state mandate immagini di calma con musica rassicurante dalle città della provincia colpita.  

 

Leon Panetta, capo della Cia durante l’Amministrazione Obama, aveva suggerito a Israele di rispondere all’attacco dell’Iran con calma, senza accelerare, ricordando che “la vendetta è un piatto che va servito freddo”. Lunedì sera, probabilmente, lo stato ebraico era già pronto per la sua offensiva. Soltanto all’ultimo, in seguito alla riunione del gabinetto di guerra, il premier Benjamin Netanyahu e i suoi collaboratori avrebbero deciso di fermarsi  per tre ragioni, tutte da accertare. Non volevano compromettere il rapporto con gli Stati Uniti, che, come dimostrano anche le parole di Panetta, non trattengono Israele dal reagire, ma si oppongono a  un attacco frettoloso e di grande potenza di fuoco. Infatti Israele avrebbe scelto una risposta circoscritta, vistosamente più piccola rispetto allo spettacolo di forza di Teheran, osptando per un attacco che non può essere definito un'escalation. Il lancio contro Isfahan ha però dimostrato quello che Israele voleva far vedere: la difesa aerea di Teheran è scadente, la repubblica islamica non sarebbe in grado di proteggersi da un forte attacco. Per Israele il lancio di questa mattina è stato dimostrativo, per ristabilire la deterrenza e per svelare le fragilità del regime di Teheran e far capire che un vero attacco potrebbe fare molto male. 


 L’Amministrazione Biden ha sanzionato Teheran, colpendo i pasdaran e il ministero della Difesa, con l’intenzione di aumentare la pressione sull’economia iraniana. Il presidente americano ha ripetuto che  Washington è impegnata per garantire la sicurezza di Israele. Un’altra ragione per cui Israele avrebbe deciso di ritardare la risposta è la guerra a Gaza, che non è conclusa, gli ostaggi sono ancora prigionieri e Hamas continua a rimandare indietro ogni proposta di accordo. Il suggerimento che viene anche dall’esercito è di non distogliere lo sguardo, perché la Striscia rappresenta ancora una priorità: Israele ha  intenzione di andare a Rafah, l’ultima città nel sud, per eliminare i battaglioni  di Hamas rimasti in forze. E’ l’ultima missione per Tsahal, l’esercito sta procedendo in modo diverso per colpire i leader dell’organizzazione nella Striscia, il numero di aiuti umanitari che entrano a Gaza aumenta, ma rimane Rafah l’obiettivo principale. Ieri c’è stata una riunione tra israeliani e americani per parlare dell’operazione, gli Stati Uniti non sono pronti ad avallare la missione, vogliono dettagli, rassicurazioni I toni fra Washington e Gerusalemme, dopo l’attacco dell’Iran, si sono calmati, Rafah non è più argomento di scontro, ma di dibattito. C’è anche il fronte nord da controllare, dal Libano Hezbollah lancia attacchi sempre più pericolosi e mortali e lo stato ebraico risponde colpendo i capi del gruppo: ogni giorno i miliziani sciiti comunicano la morte di alti ufficiali. Le operazioni mirate di Gerusalemme sono tornate a essere efficienti e questa è una caratteristica dell’ultima fase del conflitto.    


La terza ragione per cui Israele avrebbe deciso di rimandare l’attacco all’Iran è di calcolo. Mentre il mondo è rimasto a bocca aperta per la capacità di Israele di respingere, assieme agli alleati, l’offensiva iraniana, lo stato ebraico è ossessionato dai  fallimenti della sua  intelligence. Gerusalemme non aveva previsto le azioni di Teheran e anzi aveva prospettato che dopo l’uccisione del generale  Mohammad Reza Zahedi a Damasco, il regime iraniano avrebbe architettato una risposta minima, solo per dire: non siamo rimasti a guardare. Se Teheran ha reagito con tanto fuoco potrebbe essere per vari fattori: o aveva stabilito che l’assassinio di Zahedi era una linea rossa, o dopo il 7 ottobre aveva scommesso sulla debolezza di Israele, o aveva sopravvalutato il proprio potere. L’incapacità di prevenire l’assalto di Hamas di sei mesi fa ha fatto sprofondare lo stato ebraico in una sfiducia difficile da sanare nei confronti dei propri servizi segreti, l’attacco iraniano ha riproposto il problema e, per non fare altri errori di previsione, il governo potrebbe aver deciso di testare, lanciare un attacco che è un messaggio più che una risposta netta contro Teheran, che adesso minaccia di rivedere la sua “dottrina nucleare”. Il lancio da Israele è arrivato vicicno a Natanz, il sito di arricchimento nucleare che Gerusalemme tiene sotto osservazione da sempre, l'avvvertimento è semplice: oggi siamo arrivati a Isfahan, domani possiamo spostarci. L’Iran ha sempre  detto che il suo programma nucleare fosse a scopi civili. Israele, con prove,  ha sempre contestato questa affermazione e porta avanti da almeno dieci anni operazioni precise per ritardare lo sviluppo di armi da parte degli iraniani. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)