Ora vinciamola, questa guerra. Il Congresso americano approva il pacchetto di aiuti per gli alleati
La legge include 60 miliardi di dollari per l'Ucraina; 26 miliardi di dollari per Israele e aiuti umanitari per i civili a Gaza; 8 miliardi di dollari per Taiwan e gli alleati nell'area dell'IndoPacifico. E apre la strada alla vendita di beni sovrani russi congelati e a un nuovo ciclo di sanzioni all'Iran
Con una solida maggioranza, il Congresso americano ha approvato il pacchetto di aiuti militari per gli alleati all'estero da 95 miliardi di dollari. La legge include 60 miliardi di dollari per Kyiv (di cui 10 miliardi in prestito fino al 2026); 26 miliardi di dollari per Israele e aiuti umanitari per i civili a Gaza; 8 miliardi di dollari per Taiwan e gli alleati nell'area dell'IndoPacifico. E' anche inclusa una misura che apre la strada alla vendita di beni sovrani russi congelati per aiutare a finanziare la difesa ucraina dall'aggressione di Vladimir Putin e un nuovo ciclo di sanzioni contro l'Iran.
Sono passati sei mesi da quando il presidente Joe Biden ha chiesto al Congresso, per la prima volta, di approvare gli aiuti militari agli alleati; a febbraio il Senato ha approvato una legge che prevede più o meno lo stesso importo, ma fino a ieri lo speaker repubblicano della Camera, Mike Johnson, non ha voluto portarla al voto nella sua aula. Lo ha infine fatto, con un testo diverso che dovrà andare al Senato martedì – e dove non incontrerà ostacoli. ci vorrà meno di una settimana perché alcune armi raggiungano il campo di battaglia: secondo il Washington Post, il segretario alla Difesa Lloyd Austin aveva iniziato a mettere insieme le forniture ben prima delle votazioni. Ci vorrà meno di una settimana perché alcune armi raggiungano il campo di battaglia: secondo il Washington Post, il segretario alla Difesa Lloyd Austin aveva iniziato a mettere insieme le forniture ben prima delle votazioni.
L'ostacolo erano Johnson e la dipendenza del Partito repubblicano da Donald Trump, ex presidente americano e candidato dei conservatori alle elezioni di novembre. Trump è apertamente antiucraino – non daremo “un penny” a Kyiv, ha detto al suo alleato europeo Viktor Orban – e soprattutto vieta qualsiasi collaborazione con i democratici.
Johnson ha cambiato idea e ha reciso la dipendenza da Trump, il quale nel frattempo è diventato meno ostile, forse perché ha letto anche lui i sondaggi che dicono che i suoi elettori sono molto meno isolazionisti di lui e ci tengono agli alleati internazionali. “Potrei fare una scelta egoistica, ma farò ciò che penso sia giusto – aveva detto Mike Johnson mercoledì – Penso che fornire aiuti all’Ucraina sia seriamente importante. Mi fido assolutamente dell’intelligence e dei briefing che abbiamo ricevuto: credo che Xi Jinping, Vladimir Putin e l’Iran siano davvero un asse del male. Penso che si coordinino tra di loro”. Johnson ha deciso di non salvare il proprio posto – ora in bilico – e salvare l’Ucraina: è la prima volta che succede.
In più Johnson ha anche riconosciuto un'altra cosa rilevante: Russia, Iran e Cina lavorano insieme per indebolire l'occidente, accanendosi con brutalità sull'Ucraina e su Israele. E' uno stravolgimento rilevante della linea finora tenuta dal Partito repubblicano, e ci si interroga sulle ragioni di questo cambiamento: una spiegazione sta nei media di Rupert Murdoch.
Il futuro di Johnson non si deciderà questa settimana in modo formale, perché i lavori del Congresso sono sospesi fino al 29 aprile. Lo speaker ha già detto di essere pronto alla sfida, ma combatterà: non vuole dimettersi.
Il futuro dell'Ucraina invece, che si è adombrato negli ultimi mesi a causa di questa ottusa ostilità del Congresso americano – adombrato per un paese in guerra significa perdere soldati, civili e territorio – ora può essere diverso. Le armi americane sono indispensabili per la difesa ucraina, la decisione del Congresso serve a contenere i danni della offensiva che Putin prepara per l'estate e soprattutto a respingere chi pensa che l'importante sia mettere fine alla guerra – cioè fare concessioni a Mosca – e non vincerla.