L'analisi
Il Mahsa Act è finora l'arma americana più potente ed efficace contro l'Iran
Dopo mesi di stallo il Congresso ha approvato un disegno di legge che cambia la postura degli Stati Uniti nei confronti del regime iraniano: ora il governo potrà agire direttamente contro la leadership e fare pressione nei casi di violazione dei diritti umani
È passata quasi inosservata una delle ultime modifiche di Mike Johnson al pacchetto di aiuti per Ucraina, Israele e Taiwan approvato dal Congresso sabato 20 aprile e dal Senato martedì 23 aprile, ma forse l’inserimento in sordina della parte che colpisce Teheran era intenzionale. Si tratta di un disegno di legge poco conosciuto eppure d’importanza strategica in quanto può rappresentare una virata nei rapporti fra Stati Uniti e Repubblica islamica. È il 21st Century Peace through Strength Act, a sua volta un pacchetto che include il Mahsa Amini Human Rights and Security Accountability Act (Mahsa Act), lo Ship Act, l’Holding Iran Leaders Accountable Act e infine l’Iran-China Energy Sanctions Act.
Proposti dal National Union for Democracy in Iran (Nufdi) e da altre associazioni iraniano-americane (in opposizione alla repressione seguita alle rivolte popolari esplose dopo l’uccisione di Mahsa Amini), i disegni di legge hanno faticato a farsi largo, per lo più scontrandosi contro la reticenza dei democratici a intraprendere percorsi ostentatamente ostili alla Repubblica islamica attaccando direttamente l’ayatollah Khamenei e il suo entourage familiare che controlla l’economia del paese e il presidente Raisi. Un caso emblematico è stato quello del Mahsa Act, passato con una larghissima maggioranza bipartisan al Congresso a dicembre 2023 ma poi bloccato alla commissione Affari esteri del Senato dal presidente della commissione, il senatore democratico Ben Cardin.
Per gli oppositori del regime islamico l’approvazione del 21st Century Peace through Strength Act è una vittoria storica e la coronazione di due anni di sforzi. “Questi progetti di legge hanno effetti sia pratici sia simbolici,” ci ha spiegato Andrew Ghalili, analista politico del Nufdi. “In termini pratici, alcuni, come lo Ship Act (noto anche come Oil Sanction Act), contribuiranno a tagliare i finanziamenti della Repubblica islamica al terrorismo prendendo di mira uno dei suoi principali flussi di entrate, il commercio di petrolio; mentre altri, come il Mahsa Act, hanno lo scopo di fare pressione sul presidente e sul ramo esecutivo degli Stati Uniti affinché impongano sanzioni contro il leader supremo della Repubblica islamica, il presidente e altre entità chiave per violazioni dei diritti umani”.
A differenza delle sanzioni contro l’Iran già esistenti, il Mahsa Act, una volta firmato da Biden, agirà direttamente contro la leadership. Tutto ciò segnala l’inizio di un cambiamento nella politica degli Stati Uniti che si allontana dall’approccio soft nei confronti del regime della Repubblica islamica per assumere una posizione più determinata e incisiva, espressa in una maggiore pressione sui leader e al tempo stesso in un dichiarato sostegno al popolo iraniano. Si tratta del successo più significativo mai ottenuto negli Stati Uniti dalle forze iraniane anti regime.
Il Nufdi, ci ha spiegato Ghalili, ha un programma legislativo e politico che va oltre questi progetti di legge. Tra le iniziative, la più importante è quella del Maximum Support, una politica in 15 punti sviluppata da un think tank di esperti e di attivisti iraniani all’interno e all’esterno dell’Iran che offre una nuova direzione strategica su come sostenere le aspirazioni democratiche del popolo iraniano attraverso relazioni sempre più strette con i rappresentanti del Congresso e i senatori degli Stati Uniti. Difficile dire se l’inserimento del pacchetto relativo all’Iran, a poche ore dal voto al Congresso, fosse parte di un accordo tra repubblicani e democratici o sia stato imposto a questi ultimi da Mike Johnson. Certo è che alla luce delle sue varie componenti, il pacchetto di aiuti esteri ha in questo modo preso di mira simultaneamente Mosca, Pechino e Teheran.
I conservatori inglesi