l'altra guerra
I prossimi piani della resistenza in Myanmar, prima che inizino le piogge
Dopo il fallimento di Myawaddy, i ribelli della giunta militare contano sul maltempo. La stagione umida è in ritardo ed è una fortuna: significa che c'è ancora un mese per rovesciare la situazione nella guerra civile
La stagione delle piogge è in ritardo. Secondo il servizio meteo thailandese dovrebbe arrivare verso la terza settimana di maggio. Con le piogge diventerà più difficile muovere uomini e mezzi tra le foreste e sulle piste dei territori dove le milizie etniche e gli uomini della resistenza stanno combattendo le truppe di Tatmadaw, le forze armate birmane. Con le piogge i ribelli saranno costretti alla difesa, a chiudersi in rifugi scavati in un terreno sempre più cedevole per ripararsi dai bombardamenti dei Mig della giunta militare. C’è ancora un mese, quindi, per rovesciare la situazione della guerra civile in Birmania. Troppo prematuramente si era annunciato il prossimo crollo della giunta militare dopo la caduta di Myawaddy, città al confine tra Birmania e Thailandia, punto strategico per l’economia della giunta. Gli uomini della Cobra Column, uno dei battaglioni del Karen National Liberation Army (Knla), avevano ammainato la bandiera del Myanmar e issato quella della Knu, la Karen National Union. Ma il 24 aprile quella bandiera è stata a sua volta ammainata e sostituita dalla bandiera del Myanmar. Tatmadaw segnava la sua riconquista della città mentre gli uomini del Knla annunciavano un “ritiro temporaneo”.
La controffensiva di Tatmadaw è stata preceduta dai bombardamenti su Myawaddy, che ha costretto migliaia di persone a guadare il fiume Moei che in molti tratti è quasi in secca, per raggiungere la riva thailandese. Ma la riconquista della città è stata ottenuta grazie all’ennesimo cambiamento di fronte del Kna, il Karen National Army, avatar della Border Guard Force (Bgf), a sua volta formatasi dalla scissione di altri gruppi di etnia Karen. Solo nel marzo scorso la Bgf, principale alleato dei Tatmadaw nella regione Karen, infatti, aveva deciso di ridefinirsi come Karen National Army per segnare il suo distacco dalla giunta e una nuova alleanza con le forze ribelli. Era stato grazie a questa nuova alleanza (in realtà un’astensione dal combattimento) che Myawaddy era divenuta la prima città liberata del Myanmar. Ma poi, pochi giorni dopo, la Kna ha deciso di cambiare nuovamente bandiera ed è tornata con i suoi storici alleati.
Ciò che è accaduto a Myawaddy è esemplare. In Birmania le forze ribelli non sempre combattono in nome di un ideale, bensì di interessi specifici, che siano il traffico di droga o il nuovo business criminale, quello delle scam city, le città dove si gestiscono le truffe e il gioco online. E’ il caso della Kna, che controlla le più grandi scam city al confine tra Birmania e Thailandia. In nome di questi interessi, delle ambizioni personali di leader improvvisati o di rivendicazioni etniche che spesso hanno la dimensione di un villaggio, la resistenza birmana si è frammentata in una miriade di acronimi che rendono difficile qualsiasi accordo, per non parlare di strategia comune. E’ sempre più probabile che la situazione birmana si risolverà in una feudalizzazione del territorio, sia pure unito in una sorta di federazione che permetta la costituzione di zone franche utili soprattutto ai comuni interessi finanziari. Una soluzione che non dispiacerebbe ai paesi dell’Asean, soprattutto alla Thailandia. Forse sarebbe un problema per la Cina che vuole essere certa del controllo sul corridoio strategico tra lo Yunnan e il Golfo del Bengala.
La sorte di Aung San Suu Kyi è legata agli intrighi di questa situazione. Sempre presente nel cuore di birmani, sembra spesso dimenticata dai suoi compagni di strada. La recente concessione degli arresti domiciliari, per altro non ben definita, potrebbe essere un segnale rivolto a coloro che progettano l’ennesimo colpo di scena nell’opposizione, magari per favorire un avvicinamento alla Cina, che aveva sostenuto la Signora dopo che l’occidente l’aveva abbandonata. Per lei c’è solo da sperare che gli arresti domiciliari siano davvero tali, perché il calore di questi giorni in una cella è terribile. E con le piogge anche respirare sarà difficile.
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