il negoziato

La proposta "generosa" per liberare gli ostaggi israeliani ha due ostacoli

Micol Flammini

Il segretario di stato americano Blinken dice che Hamas dovrebbe accettare l'offerta di accordo, mentre una delegazione di negoziatori israeliani è pronta a partire per il Cairo non appena arriverà una risposta di Sinwar. Gli ostacoli però sono due, uno è a Gaza, l'altro è all'Aia

Antony Blinken è di nuovo in viaggio per il medio oriente, la sua prima tappa è stata Riad. L’Arabia Saudita non è tra i mediatori che cercano di concludere un accordo per la liberazione degli ostaggi israeliani e il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, ma ogni commento ha il teatro giusto ed era Riad, che oggi accoglieva i leader del Golfo, il posto più importante in cui Blinken potesse definire “molto generosa” la proposta di accordo che Gerusalemme ha mandato ai terroristi di Hamas. Il segretario di stato americano ha detto che si augura che il gruppo accetti l’offerta “molto generosa” arrivata da Israele, che ha chiesto il ritorno di trentatré ostaggi offrendo in cambio la scarcerazione di molti detenuti palestinesi nelle carceri israeliane – il ministro degli Esteri britannico Cameron ha parlato di migliaia di detenuti – e   un cessate il fuoco temporaneo. L’Arabia Saudita non la pensa in modo diverso e vede che Hamas è l’ostacolo: Blinken ha parlato del piano per la ricostruzione della Striscia con i funzionari presenti a Riad, c’è compattezza attorno ai piani americani. I terroristi però si tengono ancora stretti gli ostaggi, non si sa quanti siano vivi e quanti morti, pubblicano dei video con i superstiti per fare pressione sul governo di Gerusalemme, e vogliono che Israele sia pronto alle lorodi condizioni: una resa in grado di scuotere la politica e la società del paese. Alla pressione risponde altra pressione e Tsahal per far capire a Hamas che è pronto a una nuova fase della guerra usa i bombardamenti contro Rafah, la città del sud in cui si sono rifugiati circa un milione e mezzo di  palestinesi. 

 

Se l’accordo non ci sarà, Israele vuole invadere la città, dove ci sono quattro battaglioni di Hamas. La preparazione è fervente, basta che i terroristi acconsentano a un primo accordo per bloccare tutto. L’altro ostacolo alla tregua e alla liberazione degli israeliani sequestrati però, non è tanto nella Striscia, ma è  all’Aia, dove la Corte penale internazionale potrebbe spiccare un mandato d’arresto per alcuni leader israeliani e, secondo il New York Times, anche per alcuni dei capi di Hamas. La decisione potrebbe minare il negoziato, perché metterebbe i terroristi in una posizione di forza, se al capo di Hamas Yahya Sinwar poco importa di finire nella stessa lista di Vladimir Putin o di Omar al Bashir, per Benjamin Netanyahu o il ministro della Difesa Yoav Gallant il danno sarebbe quasi irrimediabile non soltanto per il loro status internazionale, ma anche per la posizione negoziale di Israele. Il timore degli alleati dello stato ebraico è semplice e logico: se Hamas sentirà che la pressione internazionale su Israele aumenterà, la speranza di rivedere gli ostaggi sarà nulla. Saranno nulli anche i progressi raggiunti nella Striscia di Gaza.  Come il  molo che permetterebbe di portare più aiuti umanitari ai palestinesi, alla cui costruzione stanno partecipando i soldati israeliani. Come il ritorno dell’organizzazione umanitaria World Central Kitchen nella Striscia per portare cibo e acqua e aprire anche una cucina intitolata al cuoco polacco Damian rimasto ucciso durante un’azione israeliana. Come l’apertura del valico di Erez, controllato da Tsahal e che dà sollievo alla popolazione palestinese rimasta a nord. I presupposti per un accordo iniziale ci sono, anche i mediatori egiziani e qatarini sono fiduciosi, se Sinwar darà una risposta oggi una delegazione israeliana sarà al Cairo. Eppure l’attenzione è tutta rivolta verso l’Aia. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)