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L'analisi

L'importanza dei regolamenti europei e il ruolo degli europeisti

Marco Leonardi

Il voto di giugno è cruciale nelle prospettive di lungo periodo di tutto il mercato unico. Le recenti leggi approvate a Bruxelles, argomento dei sovranisti per accalappiare voti, sono essenziali per procedere verso sfide sempre più impegnative. Cinismi politici a parte, sia chiaro

A giugno, in tanti paesi europei, molti partiti per la prima volta niente affatto marginali chiederanno un voto esplicito contro l’Europa federalista. Il loro argomento è che l’Ue è troppo intrusiva nelle leggi nazionali e questo infastidisce cittadini e imprese (il motto “più Italia, meno Europa” è rivelatore). Esempi recenti sono il regolamento sugli imballaggi (di plastica e non solo), la direttiva sulle case green, molte direttive sui temi sociali e anche il nuovo Patto di stabilità e crescita. Il dibattito è giustamente concentrato sulle grandi sfide del futuro, ma il voto rischia di essere dato sulla base delle norme recenti che vengono attribuite all’Europa “matrigna”. Queste, invece, spesso meritano di essere difese e tra l’altro sono condizione necessaria per poter procedere verso sfide ben più impegnative.

 

 

La prossima Commissione Ue ha davanti a sé sfide molto importanti: la guerra in Ucraina, l’allargamento, il cambiamento dei Trattati, la discussione sul debito e sulle tasse comuni. L’integrazione è incompleta: c’è la moneta unica ma il mercato unico è incompleto, c’è Schengen ma non c’è la politica dell’immigrazione, c’è la politica estera embrionale ma non c’è la difesa comune, ci sono le regole fiscali ma non c’è l’unione bancaria, sull’energia non ci sono approvvigionamenti comuni (cosa che ha contribuito all’aumento del prezzo del gas).
 

Un recente rapporto del Parlamento europeo ha valutato il costo della non-Europa: non completare il mercato unico costa 3 trilioni di euro all’anno o il 18 per cento del pil dell’Ue. Il rapporto di Enrico Letta è sul completamento del mercato unico: finanza, telecomunicazioni, energia. Oggi è ovvio che questi settori non possono più essere mantenuti divisi per difendere gli interessi nazionali che, anzi, dalla divisione vengono penalizzati. Poi c’ èun problema di sistema come sostiene Mario Draghi: non possiamo più guardare solo alle regole interne ma anche pensare a come si compete con Cina e Usa, rispetto ai quali siamo rimasti indietro in questo decennio.

 

 

Per poter fare molto di più, devi però continuare a uniformare il mercato interno e regolare le finanze pubbliche dei singoli paesi. Allora la domanda è: l’Unione che adotta direttive e regolamenti che incidono sui paesi membri, propone riforme e stanzia risorse (Pnrr e Sure per esempio) e rafforza la solidarietà tra paesi, fa così male come dicono gli euroscettici?
 

Prendiamo alcune ultime direttive e regolamenti. Alla fine anche quelli più controversi come  sugli imballaggi o sulle case green hanno trovato un punto di compromesso che lascia ragionevolmente soddisfatte anche le aziende del settore. Tutto fa pensare che si troverà un nuovo compromesso anche sullo stop alla produzione delle auto con motore termico. Direttive e regolamenti aprono nuovi mercati per nuovi prodotti e danno una direzione alla ricerca industriale. In più fanno un altro lavoro prezioso: armonizzano i mercati interni all’Ue.
 

Il regolamento imballaggi impone una riduzione dell’immissione al consumo di plastica, ma lascia libero ogni paese di ottenerla attraverso il riuso o il riciclo. Un regolamento che era partito molto rigido solo a favore del riuso ha trovato in Europa un compromesso prezioso che uniforma le regole e accontenta la maggior parte dei produttori (tranne alcuni prodotti di plastica monouso che pare giusto eliminare). La filiera italiana delle macchine per imballaggi e degli imballaggi stessi è una delle più forti al mondo ed esporta più della metà della produzione. Sarebbe impossibile esportare nei paesi europei senza regole comuni.
 

Per le case green alla fine si vincolano i paesi a ridurre i consumi del parco immobili, ma li si lascia liberi di raggiungere l’obiettivo come vogliono purché si parta dagli immobili meno efficienti. Anche in questo caso un prezioso assist per l’edilizia per poter ottenere incentivi che siano molto più efficaci nell’efficientamento energetico del Superbonus. Senza il vincolo europeo a efficientare gli immobili, il governo italiano farebbe volentieri a meno di pensare ai nuovi incentivi per l’edilizia e al loro finanziamento dopo il buco del Superbonus.
 

In ultimo, molte direttive in tema sociale. Il pilastro sociale europeo è un manifesto programmatico che predica un “equo accesso al mercato del lavoro e eque condizioni di lavoro” e deve essere attivato da direttive e regolamenti. Esempi concreti sono la direttiva sui congedi parentali, sul salario minimo, sulla trasparenza, sul lavoro su piattaforma, garanzia giovani, garanzia infanzia, il quadro di regole sul reddito minimo garantito e quello sulla protezione sociale per i lavoratori autonomi. L’Italia non avrebbe mai fatto tutti i progressi che ha fatto su questi temi (un esempio per tutti i congedi parentali obbligatori) se l’Europa non avesse imposto un intervento o comunque forzato il dibattito pubblico.
 

Che i partiti euroscettici votino contro i compromessi raggiunti in Europa è comprensibile, ma che votino contro o si astengano – come sul Patto di stabilità – i partiti che si candidano a far procedere l’Europa in senso federale, no. L’astensione sulla riforma delle regole fiscali è elettoralismo cinico (perché si sapeva che sarebbero state comunque approvate) o pia illusione per chiedere di fare più debito.

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