Comunicazione in mimetica
Podolyak, il consigliere di Zelensky, spiega perché per Kyiv anche le parole sono questione di vita o di morte
Parlare, raccontare, mostrare, rivoluzionare. Così ogni singola informazione può cambiare il corso della guerra. Un estratto dell'intervista realizzata da Domenico Petrolo Lorenzo Incantalupo per il libro “Chi mi ama mi voti. Storie, riflessioni e dialoghi su marketing e politica”
Pubblichiamo un estratto dell’intervista realizzata per il libro “Chi mi ama mi voti. Storie, riflessioni e dialoghi su marketing e politica”. Gli autori Domenico Petrolo e Lorenzo Incantalupo hanno chiesto a Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky cosa vuol dire comunicare con il proprio paese e con il resto del mondo durante un’invasione e come singole informazioni, errori, bugie, possono cambiare il corso della guerra, determinare la vita e la resistenza o la morte e la resa.
Non sarà facile governare e comunicare in un paese sotto attacco. Come cambia la comunicazione?
Mykhailo Podolyak: Per comunicare in modo efficace in un paese in guerra è necessario tenere presenti i numerosi effetti psicologici che questo comporta, bisogna comprendere in che fase della guerra ci si trova e quali sono le problematiche a essa connesse. Per quanto riguarda il tono bisogna abbassare il pathos e allo stesso tempo essere costruttivi. Quando la società percepisce che tu hai il controllo della situazione, che padroneggi il contesto, reagisce bene, la società dialoga con le istituzioni e le istituzioni dialogano con la società. La condizione di guerra implica un grande stress psico-emotivo, la società reagisce duramente e non tollera i politici che non dispongono di questa lucidità. E’ inoltre importante non creare attese irrealistiche. Io ritengo che ci siano quattro regole fondamentali per la comunicazione in tempi di guerra:
• è importante circondarsi di professionisti e tecnici con esperienza dei più svariati settori;
• non bisogna aver paura di dire la verità, anzi bisogna parlare sempre con franchezza;
• non bisogna avere paura delle domande difficili e delle domande che hanno un impatto emotivo;
• avere un approccio sistemico, seguire il flusso delle notizie e usarle nella propria comunicazione quotidiana.
Per molti analisti la comunicazione di Zelensky rappresenta la rivoluzione della comunicazione politica in guerra. Quanto è una reazione istintiva e quanto metodo e programmazione?
Ci sono tre punti chiave per poter comprendere quanto Zelensky sia un bravo comunicatore. E’ una persona intuitiva che percepisce le emozioni della gente e sa quali parole usare. Entra in simbiosi con le emozioni degli ucraini. E’ una persona combattiva che non ha paura di prendersi le sue responsabilità anche nelle situazioni più difficili, come ha fatto sin dall’inizio della guerra. Esponendosi sempre in prima persona. Mentre in altri paesi si tende a collettivizzare le responsabilità. E’ lui stesso a proporre diversi format e questo rende più semplice da una parte l’elaborazione di una strategia comunicativa e dall’altra la messa in atto di tattiche concrete: ha sempre un approccio estremamente professionale. Dopo l’inizio della guerra, dove le sue intuizioni si sono rivelate giustissime, è seguita una seconda fase in cui abbiamo pianificato la comunicazione con i parlamenti, le élite e le società dei diversi paesi per mostrare loro la sofferenza degli ucraini e quali possono essere le conseguenze di questa guerra.
La comunicazione di Zelensky combina gli istinti naturali con una strategia ben pianificata. La sua autenticità è un elemento fondamentale?
Avrei uno sguardo più ampio alla questione, il carisma e la passionalità sono tratti importanti perché formano la persona che siamo. Da un lato sicuramente è importante avere delle conoscenze accademiche, ma sarebbero inutili senza il carisma e un fascino personale naturale. In situazioni difficili le competenze non bastano, serve un leader carismatico. Grazie alla leadership di Zelensky è stato possibile mettere a punto un sistema di difesa e mobilitare la popolazione in tempi molto rapidi. C’era molta paura e incertezza, ma il paese ha visto un leader e si è compattato, costituendo dei legami orizzontali. Perché in guerra, parallelamente a quelli verticali, stato-popolazione, servono anche legami orizzontali con i singoli individui, rappresentanti di diversi gruppi sociali, che si prendono delle responsabilità in autonomia. Inoltre, Zelensky ha fatto molto per costituire una coalizione internazionale pro Ucraina. E il suo carisma ha avuto un ruolo chiave, consentendo ai leader degli altri paesi di capire cosa sia la leadership nel Ventunesimo secolo in un Paese in guerra. (...)
Mentre la propaganda russa raccontava un presidente in fuga, Zelensky e tutti voi apparivate insieme in un video per le strade di Kyiv per ribadire fisicamente la vostra presenza. Che impatto ha avuto quel video in Ucraina?
La propaganda russa è prevedibile, tremendamente prevedibile. E’ un macchinario mastodontico in cui vengono investite enormi somme di denaro per replicare sempre le stesse mosse. In quel caso concreto si trattava di demoralizzare l’Ucraina il più velocemente possibile. Per fare ciò hanno attinto al loro armamentario classico: hanno annunciato l’occupazione di Kiev, dell’aeroporto e della fuga di Zelensky e del suo governo. Tutto banale, tutto prevedibile, ma allo stesso tempo molto terrificante. Allora noi, ossia il presidente e la sua squadra, abbiamo capito che non aveva senso ribadire che “nessuno aveva lasciato il paese”, perché sarebbe stata la nostra propaganda contro la loro: una grande banalità. Quindi abbiamo deciso di fare quel video e fugare così tutte le voci messe in giro dalla propaganda russa. Poi certo abbiamo fatto anche una conferenza stampa nel palazzo dell’ufficio del presidente, però il video ha avuto una forza mobilitatrice incredibile, lasciando i propagandisti russi sbalorditi perché hanno capito, non subito, di doversi confrontare con una comunicazione diversa, che non conoscevano. Inoltre quel video ha contribuito a limitare il panico tra la popolazione in Ucraina. La gente ha capito che non era sola. Il presidente e la sua squadra erano rimasti, nessuno avrebbe abbandonato Kyiv senza dare battaglia. Un messaggio importante anche per i presidenti degli altri paesi, che hanno visto un leader prendersi su di sé enormi responsabilità. In una grande guerra! Ci tengo a sottolinearlo, perché qui non si tratta di un conflitto locale. Abbiamo assistito a ciò che mai era stato provato nel Ventunesimo secolo: ossia conquistare in un colpo solo l’intero territorio di un grande paese, uccidere la maggioranza della popolazione considerata non leale e conquistare il palazzo presidenziale.
Zelensky in maglione e mimetica in Ucraina e all’estero dall’inizio dell’invasione, Putin in palazzi di lusso e sfarzo. Qualche politico sostiene che Zelensky dovrebbe dismettere l’abbigliamento bellico e usare abiti civili, cosa si sente di rispondere?
Io consiglio ancora una volta di dare uno sguardo più ampio a ciò che è la Russia e ciò che è l’Ucraina. Si tratta di paesi profondamente diversi. In Ucraina, infatti, la sacralità del potere deriva dal legame, dalla vicinanza tra le istituzioni e la popolazione. Zelensky vestendosi come si veste sottolinea che è parte del popolo, sono uno di voi, mi vesto come voi, faccio le vostre stesse cose, passo attraverso le vostre stesse identiche sofferenze. Per la mentalità russa lo zar, che sia uno zar vero, il segretario generale del Partito comunista o il finto presidente della Federazione russa, ottiene la sua sacralità isolandosi dal resto della nazione. Vivendo nel lusso, separato persino dai propri boiardi. Questa è la grande differenza tra l’Ucraina, che è un paese democratico, e la Russia, con la sua società arcaica. In Russia è dato per scontato che uno si debba inginocchiare e umiliare di fronte al capo, su questo si basa il potere, ed è per questo motivo che la Russia non sarà mai una democrazia. Con i propri capi non si può parlare o concorrere. In Ucraina la tradizione è diversa, si è venuta a creare una comunicazione orizzontale tra pari. In questa guerra anche su un piano puramente estetico, come l’abbigliamento dei leader, la simbologia è evidente. Vediamo da un lato lo zar o il dittatore di un paese autoritario contro un paese libero e democratico.
TikTok, Instagram, Facebook, forse possiamo definire questa la prima “guerra social”. Per voi sono stati fondamentali? Senza la loro immediatezza forse il mondo vi avrebbe ignorato?
I social media hanno portato una rivoluzione non sempre positiva: da un lato ti permettono di avere molto velocemente attenzione e di aumentare la tua audience. Dall’altro sono un mezzo ideale per diffondere fake news. Che poi diventano dominanti. Inoltre, i social media permettono di soddisfare, alimentare il proprio ego e questo è molto pericoloso. Detto ciò, viviamo nell’epoca dell’informazione e se non sai usare i social media perderai. Per noi i social sono stati indubbiamente fondamentali e lo sono tuttora. Li usiamo massicciamente, li impieghiamo di continuo in tutti i sensi. Bisogna essere presenti su tutte le piattaforme, anche se, torno a ripeterlo, si tratta di strumenti di manipolazione. La Russia ha puntato da tempo su questa strategia e ha messo su un esercito di bot e troll che sono presenti ovunque: su Facebook, Instagram, X ecc., un’armata cibernetica con l’obiettivo di diffondere informazioni negative sugli altri paesi e amplificare l’immagine di questa Russia mostruosa, da temere. E’ una questione complessa e ritengo che nei prossimi decenni ci saranno dibattiti accademici su quanto i social media siano costruttivi o distruttivi. (...)
Quanto è stato importante, ma allo stesso tempo doloroso, diffondere le immagini del massacro di Bucha?
Difficile rispondere. Da un lato non è certo semplice mostrare immagini come quelle, dall’altro mostrando al mondo quello che è successo a Bucha si è mostrata la Russia per quello che è, si è mostrato il suo vero volto, quello di un paese nazista. E quello che è successo a Bucha è successo anche in altre parti dell’Ucraina, come a Kharkiv e Kherson. Bucha ha cambiato la percezione della guerra, alcuni stati hanno cambiato il modo di vedere la Russia e la percezione reale dello scontro bellico. Dopo Bucha alcuni leader politici hanno capito l’importanza di aiutare l’Ucraina e hanno inviato altri aiuti militari. Questa tragedia ha fatto crollare il mito del “mondo russo”, in realtà questa Russia è violenza e distruzione: è contro la natura umana.
I simboli sono importanti: quanto la resistenza del popolo ucraino contribuirà a far nascere un’Europa più grande, allargata a tutti i paesi dell’est Europa, come simbolo appunto della prima vittoria dell’Europa unita?
L’Europa unita simbolo di questa vittoria è una bella immagine. Quello che sta succedendo ci sta facendo capire in che mondo viviamo oggi. Dobbiamo rinunciare all’idea di vivere una pace eterna. La vittoria dell’Ucraina avrebbe il potere di far riorganizzare l’Europa, il suo sistema di difesa, le relazioni sociopolitiche fra i paesi, perché i paesi sarebbero più consapevoli dei rischi reali. Sì, questa vittoria potrebbe riorganizzare i processi politici, emergerebbero dei leader pronti a prendersi le proprie responsabilità. E tutto ciò ci farà andare oltre questa smisurata burocratizzazione e “collettivizzazione” delle decisioni politiche. Riusciremo a capire chi fa cosa in Europa. La vittoria dell’Ucraina sarebbe la dimostrazione che l’Europa ha il potere di garantire la propria sicurezza e il proprio futuro.
Si è detto che la vostra comunicazione così innovativa e così forte abbia giocato un ruolo cruciale nella guerra. Lei e gli staff di comunicazione vi siete mai sentiti un bersaglio militare? Se sì, in che occasione?
Ci sentiamo sempre un bersaglio. Questa è una guerra in cui non ci sono regole in nessun ambito, compreso quello dell’informazione. Ma questa è la guerra che viviamo, una guerra come la raccontava Remarque, una guerra di trincea. Una guerra in cui l’obiettivo del nemico è ucciderci e ciò costituisce una minaccia per tutti, non solo per chi lavora nell’ambito dell’informazione. La Russia usa armi e missili di ogni tipo per colpirci e lo fa spesso colpendo anche obiettivi civili.
Si è parlato molto degli aiuti militari che l’occidente ha dato e continua a dare all’Ucraina, avete mai chiesto o ricevuto aiuti sotto il punto di vista dei media o della comunicazione?
Per quanto riguarda il sostegno mediatico i nostri partner europei hanno fatto un lavoro encomiabile. Hanno iniziato a contrastare attivamente la propaganda russa e hanno aumentato sensibilmente i programmi di informazione in favore dell’Ucraina. Abbiamo ricevuto un grande supporto e i mezzi di informazione europei hanno svolto un lavoro molto efficace. Fin dall’inizio della guerra abbiamo trovato nei nostri partner una grandissima professionalità e capacità.
Un’eventuale vittoria di Trump indebolirebbe il sostegno degli Stati Uniti, anche in termini di contro narrazione?
Io guardo a questa questione in maniera diversa. Stiamo parlando di un paese democratico, gli Stati Uniti. Per i democratici e i repubblicani, e in generale per tutti i candidati, è in gioco un elemento molto importante che è quello della reputazione degli Stati Uniti e del loro ruolo a livello globale. Non è solo una questione di sicurezza nazionale, è una minaccia alla nostra visione del mondo. Se la Russia non sarà sconfitta il mondo sarà più instabile. Un mondo più caotico in cui vigerebbe la legge del più forte e non lo stato di diritto. Gli Stati Uniti a prescindere dal risultato delle elezioni continueranno a sostenere l’Ucraina.
Che messaggio desiderate mandare ai media italiani per raccontare la “vera storia” di questa guerra?
Innanzitutto, va detto che i media italiani stanno operando in maniera valida, approfondendo e dando visibilità alle cose nel giusto modo. In secondo luogo, se a voi non interessa la verità e non la difendete oggi, domani avrete gli stessi problemi che abbiamo noi oggi. Perché la Russia oggi è il male, ha altri obiettivi, e questi obiettivi non coincideranno mai con i vostri. La Russia esercita il suo dominio tramite la violenza e se voi avete paura di parlare del vero volto della Russia, magari perché avete ancora dei rapporti commerciali con loro o dei tradizionali rapporti di amicizia, questo male arriverà anche da voi. Non farà che crescere. Bisogna sempre parlare del male, parlarne subito e non abbassare mai la guardia. E’ importante essere consapevoli che persino la più piccola bugia può aprire la porta a un male immenso.
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