Ucraina - foto via Getty Images

Il dibattito

Dare tutti gli asset russi a Kyiv è un danno enorme per Mosca

Federico Bosco

Mentre gli Stati Uniti sono pronti a confiscare tutte le riserve russe immobilizzate all'estero e consegnarle all'Ucraina, gli europei spingono per una misura meno netta, consci del timore che Cina e altri paesi poi procedano con il rimpatrio delle proprie. Nel frattempo, Putin minaccia

La discussione sull’opportunità di sequestrare gli asset di Mosca per darli a Kyiv va avanti da tempo tra favorevoli, contrari, e valutazione dei rischi. Gli Stati Uniti vogliono confiscare tutte le riserve russe immobilizzate all’estero – circa 300 miliardi di dollari a livello globale – e consegnarle direttamente all’Ucraina. I leader dell’Unione europea sono contrari a una misura così netta e propongono una confisca delle rendite su questi capitali, stimate a 15-20 miliardi di euro entro il 2027. La contrarietà degli europei al sequestro totale deriva dal timore che di fronte a una mossa del genere la Cina e altri paesi decidano il rimpatrio delle proprie, con gravi conseguenze sull’euro, senza contare che due terzi delle riserve della Banca centrale russa sono nell’Ue.
 

La Russia ha definito qualsiasi tentativo dell’occidente di impossessarsi del suo denaro o degli interessi che genera come “banditismo”, promettendo una risposta dalle conseguenze catastrofiche. La natura della rappresaglia però non è chiara, secondo molti analisti la capacità di reazione del Cremlino è limitata poiché è stata erosa dalla diminuzione degli investimenti esteri nel paese, crollati di circa il 40 per cento rispetto al picco di fine 2021.
 

Tuttavia, un gruppo di sei esperti consultati da Reuters sostiene che Mosca ha ancora molti modi per reagire. Tra loro c’è consenso sull’idea che la ritorsione più probabile è la confisca delle attività finanziarie e dei titoli degli investitori stranieri, attualmente detenuti in quelli che in Russia sono classificati come conti correnti speciali di “tipo C”. Questi conti sono stati bloccati all’inizio della guerra, e possono essere sbloccati solo con una deroga del Cremlino.
 

Da quello che affermano i russi, l’importo dei conti di tipo C si avvicina ai 300 miliardi di dollari delle riserve russe congelate, anche se ci sono molti dubbi su questa cifra. È qui che entrano in gioco le proprietà delle aziende europee e statunitensi ancora presenti in Russia. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha detto minaccioso che in caso di un sequestro delle riserve russe nel paese c’è ancora molto denaro occidentale da prendere di mira. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale russo Dmitri Medvedev è stato più diretto e ha proposto la confisca degli asset russi dei privati occidentali, sottolineando che una risposta del genere sarebbe pienamente giustificata dalla “guerra ibrida” lanciata contro Mosca.
 

La Russia ha già costretto le società straniere a vendere gli asset nel paese con sconti di almeno il 50 per cento rispetto al valore reale. In altri casi il Cremlino ha confiscato attività trasferendone il controllo a vecchi e nuovi oligarchi vicini a Vladimir Putin, in una colossale redistribuzione di ruoli e ricchezza nel sistema di potere che controlla l’economia russa. La settimana scorsa ha fatto notizia la nazionalizzazione delle filiali russe dell’italiana Ariston e della tedesca Bosch, trasferite sotto il controllo della sussidiaria di Gazprom che produce elettrodomestici. In passato ha fatto scalpore il caso della danese Carlsberg e della francese Danone, ma la lista è molto più lunga.
 

Le aziende occidentali finora hanno subìto perdite per 107 miliardi di dollari, ciò nonostante la presenza di europei e americani nel paese è ancora capillare. Secondo il database della Kyiv School of Economics (Kse) aggiornato a inizio aprile, su 3.756 aziende occidentali che operavano in Russia prima della guerra solo 378 hanno ceduto tutte le attività, le altre o sono in procinto di andarsene (un migliaio) o continuano a operare normalmente.
 

Poi ci sono le banche: l’anno scorso i principali istituti di credito europei presenti in Russia hanno incassato un utile combinato superiore a 3 miliardi di euro versando nelle casse del Cremlino 800 miliardi in tasse, con grande irritazione della Bce, che da due anni sollecita il disimpegno. In caso di una confisca occidentale delle riserve russe a Mosca sanno già dove colpire per infliggere una rappresaglia, avrebbero solo l’imbarazzo della scelta.

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