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Influenze esterne

Tra gli arrestati nei campus americani molti vengono da fuori. I dati e le conseguenze

Giulio Silvano

Non solo la Columbia, anche ad Austin delle 79 persone fermate solo 34 erano affiliate all'ateneo. Chi sono e da dove arrivano i tanti “outsider” che allargano le proteste nelle università degli Stati Uniti

Sono più di 2.000 gli arrestati alle manifestazioni e alle occupazioni in giro per l’America. Si parla di proteste universitarie ma se si vanno a vedere i dettagli, molti dei manifestanti non hanno niente a che vedere con la vita accademica. Non sono né ventenni iscritti ad antropologia che hanno letto troppo Edward Said né studenti di origine musulmana che provano empatia per i morti di Gaza né gente plagiata dai prof. i cui dipartimenti sono forse stati finanziati dal Qatar. Ad esempio, delle 282 persone arrestate martedì tra Columbia e City College di New York, il 47 per cento è outsider. Né studenti, né insegnanti. Tra gli arresti alla New York University, gli esterni sono più della metà.

Inizialmente quando sono state piantate le tende nel campus della Columbia, partecipavano anche gruppi di ebrei arrabbiati con il governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Poi sono arrivati gli insulti antisemiti e questi ebrei non erano più i benvenuti. Poi si è iniziato a cantare “from the river to the sea”. Poi si è vista sventolare, nelle strade di Manhattan, qualche bandiera di Hamas. Poi sono iniziate le occupazioni, e i gruppi antisionisti hanno iniziato a dire: anche la polizia è il nemico. Prima si chiedeva un generico pacifista cessate il fuoco, poi che l’università smettesse di esser finanziata da aziende legate a Israele, oggi si grida contro l’imperialismo. Il manifesto del gruppo Palestine Action US parla chiaro: non più protesta pacifica ma resistenza attiva sul suolo americano. Il sito CrimethInc, collettivo anarchico di cellule autonome, sta spingendo gli studenti a combattere contro la polizia, a mettersi elmetti e maschere antigas e a distruggere le proprietà dell’università.  

Secondo la polizia, gli infiltrati sono i responsabili dell’escalation che si è vista negli ultimi giorni e che ha portato a far intervenire la polizia con i fumogeni. Dai nepo baby dell’Ivy League che cantavano le canzoni seduti in cerchio si è passati ai riottosi che parlano di “martiri palestinesi” da vendicare. Rebecca Weiner, vicecommissaria della polizia di New York per l’antiterrorismo, ha raccontato di barricate nel campus della Columbia con gente che distrugge le telecamere di sorveglianza. “Pensiamo che queste tattiche siano il risultato di istruzioni che arrivano da attori esterni”. Il commissario della polizia di New York Edward Caban ha parlato di “outsider professionisti”. Il sindaco Eric Adams ha criticato “il movimento che sta cercando di radicalizzare i giovani”, promettendo che farà di tutto per proteggere la città. “Chi ha occupato la Hamilton Hall è stato guidato da persone che non hanno alcuna connessione con la Columbia”. La vicecommissaria Weiner ha aggiunto che “alcuni di questi manifestanti erano già conosciuti alla polizia per attività criminali, anche durante le proteste di Occupy Wall Street”.

Questo non accade solo a New York. Anche alla Università del Texas ad Austin delle 79 persone arrestate nel campus solo 34 erano affiliate all’università. L’ateneo in un comunicato ha fatto sapere che i numeri dimostrano “la nostra preoccupazione sul fatto che i disagi delle ultime settimane sono stati orchestrati da persone esterne”, inclusi gruppi che agiscono a livello nazionale. “A oggi ai contestatori sono state confiscate armi di vario genere: pistole, secchielli pieni di sassi, mattoni, scudi, mazzuoli e catene”. Questi infiltrati fanno parte di gruppi preesistenti ai movimenti nati dopo il 7 ottobre e che da tempo cercano un’audience più ampia per la loro battaglia contro quello che chiamano imperialismo israeliano e americano. Secondo alcuni, questi agitatori hanno semplicemente sfruttato l’occasione, secondo altri invece c’è dietro un disegno più grande. Ne è convinto il professore della Columbia Shai Davidai, a cui era stato bloccato l’accesso al campus perché voleva leggere i nomi degli ostaggi ai manifestanti. Israeliano anti Netanyahu, Davidai dice che il fondatore del gruppo National Students for Justice in Palestine, un prof. di Berkeley, è legato a personalità che hanno dato sostegno materiale a Hamas. Il gruppo Nsj è collegato anche all’organizzazione American Muslims for Palestine, diretta da un uomo che ha scritto sul blog delle brigate al Qassam legate a Hamas. “Non c’è niente di pacifico, non c’è niente di spontaneo”, dice Davidai. Il professore ebreo, da settimane insultato sui social, è colpito soprattutto dal fatto che molti suoi colleghi non si rendano conto della gravità della situazione.

Di fronte a questa escalation nei campus anche il presidente Joe Biden ha condannato esplicitamente la violenza, mentre prima si limitava a criticare l’antisemitismo di cui si lamentavano alcuni studenti. I commentatori di ogni parte cercano di fare dei raffronti con le proteste della primavera del ’68 – anche quelle partite dalla Columbia. Bisogna ricordarsi che siamo in un anno elettorale, e il senatore di sinistra Bernie Sanders ha detto che questo “potrebbe essere il Vietnam di Biden”.