Chi supera il sultano
Accusato di non odiare abbastanza Israele, Erdogan interrompe i commerci
Al di là della retorica feroce, il presidente turco fino al 31 marzo 2024 ha voluto mantenere su binari sicuri le relazioni economico-commerciali con lo stato ebraico nell’interesse della nazione. Ora ha cambiato strategia
Ankara. Dal 7 ottobre 2023 al 31 marzo 2024, Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha voluto mantenere su binari sicuri le relazioni economico-commerciali con lo stato ebraico nell’interesse della nazione, ma dal 1° aprile, dopo la pesante sconfitta del suo Ak Parti nelle elezioni municipali, ha cambiato strategia pensando così di rimediare al danno subìto dal suo partito con quei voti perduti nelle province un tempo suoi feudi. Il leader turco ritiene infatti che la sconfitta storica sia stata causata dal malcontento che si è manifestato in questi mesi nelle piazze e che è emerso anche nelle urne chiedendo di mettere in atto nei confronti di Israele un boicottaggio e un embargo. Erdogan è stato molto criticato dalla sua base elettorale perché al di là della retorica feroce utilizzata nei confronti del governo israeliano ha continuato a mantenere vive le relazioni commerciali. Circa il 6 per cento del suo elettorato avrebbe espresso il proprio disappunto nelle urne del 31 marzo negandogli il consenso: parte rilevante dell’elettorato islamista ha infatti dirottato il suo voto sul Yeniden Refah Partisi (il Nuovo partito del benessere), un piccolo partito rappresentativo dell’islam politico turco alleato nelle elezioni parlamentari del 2023 del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp). Questa formazione politica, erede del Refah Partisi di Erbakan, il defunto padre dell’islam politico turco, mentore di Erdogan, ha infatti condotto una campagna elettorale pro Gaza raddoppiando i suoi consensi e strappando diversi comuni chiave al partito del presidente.
Se a questo elemento aggiungiamo il fatto che secondo un recente sondaggio anche l’opposizione costituita dal Partito repubblicano del popolo (Chp), uscita vittoriosa dalle urne del 31 marzo, sostiene l’interruzione delle relazioni del commercio con Israele, si comprende ancora meglio che il presidente turco teme fortemente di dover consegnare la leadership di alfiere della causa palestinese all’influente corrente dell’islam politico turco e al maggior partito d’opposizione.
Per questo Ankara ha deciso di bloccare anche i porti turchi per l’import-export con Israele. Giovedì 2 maggio, il ministro del Commercio turco ha infatti annunciato che tutte le esportazioni e le importazioni da e verso Israele sono state sospese. Il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha espresso su X tutto il suo disappunto per la decisione turca accusando Erdogan di comportarsi come un dittatore, ignorando gli interessi del popolo e degli uomini d’affari turchi e ignorando gli accordi commerciali internazionali stipulati. Non è chiaro, al momento, quanti porti siano stati bloccati e se la decisione della Turchia implicherà anche il blocco del porto mediterraneo turco di Ceyhan, attraverso il quale Israele importa il petrolio azero.
Ad aprile, Ankara aveva già imposto restrizioni commerciali su cinquantaquattro prodotti. Anche questa decisione è stata presa sotto la pressione interna contro Israele per il drammatico bilancio umanitario a Gaza. Mercoledì scorso, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan aveva annunciato che anche il suo paese si sarebbe unito al Sudafrica come querelante contro Israele presso la Corte internazionale di Giustizia sostenendo che lo stato ebraico sta violando la Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio del 1948. Secondo i dati ufficiali, nel 2023 il volume degli scambi bilaterali tra i due paesi era stato di 6,8 miliardi di dollari e a oggi, Israele resta il decimo maggiore acquirente di beni turchi e la 29ª maggiore fonte di importazioni della Turchia. Finora il commercio turco-israeliano si era sempre dimostrato immune alle turbolenze diplomatiche, anche gravi, che si sono registrate in 75 anni di relazioni e anche durante l’attuale guerra a Gaza il traffico navale tra i porti turchi e israeliani non si era mai interrotto, il greggio scorre ancora attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan giungendo in Europa e in Israele. Nulla era cambiato anche nel settore delle esportazioni di acciaio, ferro e prodotti chimici necessari all'industria civile israeliana.
La Turchia è il quinto fornitore di acciaio e di ferro per Israele, rappresentando il 20 per cento delle sue esportazioni. Con questa mossa progettata per compiacere gli elettori turchi Erdogan mostra di non avere alcuno scrupolo nell’aggravare le relazioni con gli Stati Uniti e con Israele. La visita del presidente turco alla Casa Bianca prevista per il 9 maggio è stata annullata e ora non gli resta che sperare nella rielezione di Donald Trump con il quale ha sempre avuto un’intesa molto positiva.