Le piazze sorelle
L'Ucraina, la Georgia e la libertà
Si chiamano e richiamano di continuo, i georgiani e gli ucraini, con le bandiere, gli slogan, i canti e gli incoraggiamenti contro l’aggressione russa. E si schianta la retorica putiniana degli “agenti stranieri”
Si chiamano e richiamano di continuo, i georgiani e gli ucraini, con le bandiere, con gli slogan, con la solidarietà, da vicino e da lontano, in questa stessa battaglia di libertà contro l’aggressività russa, che da più di due anni non è fatta solo di occupazione e destabilizzazione, ma di bombe, di deportazioni, di torture su larga scala. Nelle proteste a Tbilisi contro la legge d’ispirazione putiniana che vuole trattare gli oppositori come agenti stranieri da mandare in galera, l’azzurro-giallo ucraino si muove assieme al rosso-bianco georgiano, stesso ritmo, stesse aspirazioni, e molte dediche.
Gli ucraini devono difendersi ogni giorno dagli attacchi russi, sulla linea del fronte, nelle città – ieri ancora a Kharkiv, due bombardamenti a poca distanza l’uno dall’altro, ravvicinati – e i georgiani li celebrano con i canti e con gli incoraggiamenti, forti delle loro maschere antigas e della sfacciata determinazione a non farsi spaventare né disperdere: tanto disumano sacrificio per difendersi da Vladimir Putin non andrà perduto. Gli ucraini rispondono, dicono “grazie Sakartvelo” (che è il termine che i georgiani usano per indicare il loro paese), ricordano l’EuroMaidan del 2013-2014, si commuovono, resistono. In mezzo a questi colori ci sono quelli dell’Europa, blu notte rischiarato dalle stelline dorate, la bandiera europea che è ambizione e destino assieme. “Preferisco una libertà pericolosa che una schiavitù pacifica”, diceva il cartello scritto a mano di un manifestante a Tbilisi, ed è la sintesi perfetta di quel che sta accadendo ai confini della nostra Unione europea, dove gli ucraini e i georgiani non fanno alcuna confusione sulla guerra, la pace, la battaglia e la resa.
Il Sogno georgiano, il partito al governo in Georgia, propina gli argomenti e la repressione cari a Mosca: per le strade sono comparsi i “titushky”, i picchiatori che cercano di sgomberare i giovani georgiani con la violenza, come i bekrut a Kyiv dieci anni fa, mentre i leader del Sogno georgiano denunciano le ingerenze straniere, americani ed europei uniti contro di loro. State fuori dai nostri affari, dice il premier Irakli Kobakhidze, accusando gli americani di aver già tentato tra il 2020 e il 2023 di sovvertire il governo eletto – i loro commenti “facilitarono gli agenti finanziati all’estero e il sostegno ai processi rivoluzionari”, ha scritto Kobakhidze su X – e di volerlo rifare anche ora quando condannano “la legge sulla trasparenza” definendola “incompatibile con i valori democratici”. Il premier ripristina quel che Putin diceva dell’EuroMaidan e recupera le linee guida dettate dal padre-padrone del Sogno georgiano e del governo, Bidzina Ivanishvili, che ha fatto soldi e fortuna in Russia e che all’inizio della settimana aveva detto ai manifestanti a sostegno dell’esecutivo (portati sui bus, inconsapevoli e minacciati) che c’è un “partito della guerra globale” che vuole trascinare la Georgia nel conflitto, additando come antidemocratica una legge che vuole soltanto ribadire la sovranità georgiana. A quella piccola, forzata contromanifestazione c’erano le bandiere europee, non tante quante nelle proteste contro la legge ma c’erano, e questo ha rinnovato l’equivoco cui il Sogno georgiano s’appiglia: noi la vogliamo l’Europa, ha detto Ivanishvili, e l’abbiamo anche in parte ottenuta visto che Bruxelles ha dato alla Georgia lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea.
Ma come dicevano molti esperti georgiani prima della decisione dell’Ue, questa designazione, che è stata data senza che fossero state rispettate le condizioni, è stata utilizzata dal governo come una legittimazione a costo zero, e così la legge d’ispirazione putiniana che era stata messa nel cassetto lo scorso anno è stata riproposta ed è arrivata alla seconda lettura in Parlamento (manca la terza, prevista per il 17 maggio, ed è data per scontata). Ora che gli inviati europei dicono al governo georgiano che così compromettono il loro percorso euro-atlantico, la reazione è immediata: fatevi gli affari vostri, questa è una questione di sovranità nazionale e fermeremo le vostre ingerenze (è appena il caso di ricordare che ieri il premier ungherese Viktor Orbán ha detto in una trasmissione radiofonica: l’Ungheria è a favore della pace, “per questo il mainstream globale vuole un cambio di governo” a Budapest “e usa agenti stranieri”).
L’argine a questo miscuglio di botte, lacrimogeni e vittimismo anti occidentale è la sfacciataggine festosa dei manifestanti di Tbilisi ed è anche la presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, che concede interviste ai media internazionali per spiegare che cosa c’è in gioco oggi nelle proteste: non soltanto la legge, “che è una legge russa nella sua essenza – ha detto la presidente a Dw News – perché è il modo con cui la Russia ha represso la sua società civile”, non soltanto il futuro della Georgia ma anche quello dell’Europa. Zourabichvili metterà il veto alla legge, ma il partito al governo ha i numeri per poterlo ignorare: si sente impotente?, le ha chiesto una giornalista dell’emittente francese Lci. “Per niente”, ha risposto, “il veto è nella piazza e la piazza non è mai impotente. Il popolo sta dicendo no alla legge russa, non si può mettere la museruola alla società georgiana come è stato fatto in Russia”. In piazza risuona una canzone che i georgiani cantavano quando cercavano l’indipendenza dall’Unione sovietica: “La libertà non arriva facilmente, la libertà appartiene ai leoni”: la dedicano anche agli ucraini.