Nell'Oceano Atlantico
La nuova guerra (a parole) tra Argentina e Inghilterra sulle isole Falkland
Il 2 aprile è stato l'anniversario della Guerra delle Falkland: 42 anni fa l'Argentina invadeva l'arcipelago combattendo contro Londra, che alla fine riuscì a riprendersi il suo possedimento d'oltremare. Oggi Javier Milei punta a riportare le isole sotto il controllo del paese
Il 2 aprile è stato un anniversario in sordina nel Regno Unito. Forse perché era Pasquetta e milioni di inglesi sono in vacanza da qualche parte (con le scuole chiuse per due settimane). In pochi si sono ricordati che in quel giorno, 42 anni prima, scoppiava la Guerra delle Falkland: l’Argentina invadeva le isole a 500 chilometri dalla sua costa e l’allora “principiante” Margaret Thatcher inviava 4 corazzate, di cui due sarebbero state affondate, per riprendersi il possedimento d’oltremare. A Buenos Aires, invece, si sono ricordati, eccome, della storica data: ogni anno si celebre il “Dia de las Malvinas”, il giorno dell’invasione (fallita). Di solito, c’è pure una sfilata, quest’anno eliminata per risparmiare. Dal palco, il neopresidente Javier Milei, ha promesso di riportare le isole sotto il controllo del paese, con una soluzione diplomatica. Un mantra per Milei. Appena eletto, accanto alla motosega, aveva subito rinominato le Islas Malvinas, il nome locale perché Falkland è quello degli usurpatori inglesi. Di nuovo, nel Giorno delle Malvinas, il primo ministro albiceleste è tornato ancora più alla carica sulla “restituzione” delle isole.
Solo propaganda post elettorale e populismo? Quarant’anni dopo l’invasione improvvisa, le Falkland da remota località in mezzo all’oceano, a 500 chilometri dalla terraferma, e a 10 mila dalla presunta madrepatria, sono oggi un luogo strategico: nel tempo, sono diventate l’avamposto per l’Antartide. Da lì oggi partono tutte le missioni scientifiche tra i ghiacci: due anni fa la nave polare RRS Sir David Attenborough, gioiello tecnologico della Marina britannica esposto sul Tamigi in occasione di Cop26, e chiamata così in onore del celebre biologo inglese, è partita da Stanley, capitale delle isole, alla volta del Polo sud.
Anni fa, nel famoso libro “Prisoners of Geography” (in italiano “Le 10 mappe che spiegano il mondo”), diventato un best-seller internazionale, l’esperto Tim Marshall teorizzava i territori artici come il futuro dell’espansionismo delle potenze mondiali. L’Antartide sarà il terreno di scontro negli anni a venire: lo scioglimento dei ghiacciai oggi ne rende più facile l’accesso e scopre porzioni ricche di terre rare e materie prime. Gli inglesi lo sanno bene e lo sanno anche gli argentini. Per questo alzano la voce, irrobustiti anche da un calo di attenzione militare di Sua Maestà.
Milei sta giocando una partita su due piani, mostrando insospettate doti tattiche per un economista: c’è la partita diplomatica, dove il presidente sfoggia pragmatismo e un tono conciliatorio, sfociato nell’appeasement di maggio quando il presidente ha ammesso che riprendersi le isole richiederebbe molto tempo. Il territorio è sovranità argentina ma il paese non vuole andare alla guerra contro la Gran Bretagna. L’esclusione della forza, a prima vista, potrebbe sembrare una banale rassicurazione, ma alla luce dell’attuale situazione militare nelle Falkland si presta anche a una lettura più obliqua. Il presidio militare inglese sulle isole è andato scemando, tanto che oggi è al minimo storico: la Royal Navy ha pure eliminato dall’Atlantico neridionale la HMS Ocean, una grossa nave da guerra, e la protezione navale delle Falkland è limitata a un vascello da pattugliamento, l’HMS Forth, dotato di un unico piccolo cannone da 30 mm, inadeguato per difendersi da un eventuale attacco. L’Argentina, invece, ha in programma di comprare 3 sottomarini a guida autonoma dalla Thyssenkrupp; pochi mesi fa ha acquistato dalla Norvegia 3 aerei da pattugliamento marino P-3; ma soprattutto sta trattando con gli Stati Uniti per comprare, al prezzo di 40 milioni di dollari, una nave da guerra di seconda mano, ma della stessa classe della HMS Ocean che il Regno Unito ha appena dismesso, in grado di ospitare ottomila uomini. Di fronte alla sproporzione tra le due forze militari attorno alle isole, anche un giornale di sinistra, pacifista e anti colonialista come il Guardian, ha lanciato l’allarme. Fino a oggi, la sovranità dell’isola è stata regolata da un referendum: è la popolazione a scegliere con chi stare. E all’ultima votazione, tutti hanno scelto di rimanere col Regno Unito. Ma sono passati undici anni e chissà che gli abitanti, nel frattempo, non abbiano cambiato idea.