agguati del cremlino

I soldati di Putin minacciano Kharkiv. Kyiv ha un piano, e le immagini satellitari

Cecilia Sala

Le "prove generali" russe in direzione della seconda città più popolosa d’Ucraina. Ora che sa di quali armi dispone, Kyiv può organizzare la difesa ma non cancellare lo svantaggio

All’alba di ieri i soldati di Putin a Belgorod si sono riversati oltre il confine in quelle che sia gli ucraini sul posto sia i blogger militari russi hanno definito “le prove generali” di un attacco di terra contro Kharkiv. Sono incursioni multiple che servono per portare a casa informazioni, per testare le difese di Kyiv  e per provare a stabilire delle teste di ponte. La seconda città più popolosa dell’Ucraina, dove un milione e 300 mila persone vivono bersagliate dalle bombe, che dista soltanto 40 chilometri dalla frontiera con la regione russa di Belgorod, è un obiettivo possibile della prossima offensiva di Mosca. Ieri alle cinque di mattina c’erano almeno tre colonne di carri armati a  un chilometro oltre il confine, posizionate in direzione di Kharkiv. 

Nelle foto scattate poco dopo il sorgere del sole e pubblicate su Telegram dai soldati ucraini si vedono panzer russi esplosi di recente da cui sale ancora il fumo e alcuni cadaveri sull’erba di giovani russi in divisa. La piccola cittadina di Volchansk, a nord-est di Kharkiv e vicinissima al confine con Belgorod, è stata evacuata e gli abitanti hanno raccontato: “Non avevamo mai subìto un bombardamento pesante e incessante come quello di stanotte”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha spiegato che “i combattimenti sono stati brutali”, ma che i nemici sono stati fermati perché il suo esercito si è fatto trovare pronto e “si aspettava da tempo un attacco in quel punto”. Dopotutto il 18 marzo era stato il Cremlino, in una nota passata all’agenzia di stato Tass, ad anticipare: “Serve una zona cuscinetto, un cordone sanitario” oltre il confine per “impedire gli agguati” del battaglione ucraino composto da volontari russi, che aveva già fatto alcune incursioni a Belgorod e che si coordina con l’intelligence militare di Kyiv, il Gur diretto dal generale Kyrylo Budanov. 
Quegli attacchi dall’Ucraina contro Belgorod servivano nella guerra di nervi con il presidente russo e per uno scopo molto pratico: costringere un po’ dell’esercito e delle armi russe a tornare a casa, a riposizionarsi a difesa del territorio della Federazione, alleggerendo così la pressione sui soldati ucraini schierati lungo i più di mille chilometri di linea del fronte. 

Mosca aveva tentato di conquistare la seconda città più grande dell’Ucraina all’inizio dell’invasione totale nel 2022, non c’era riuscita e a settembre dello stesso anno Kyiv aveva liberato anche tutta l’area circostante nella prima controffensiva di successo. Guardando le immagini satellitari scattate di recente si vede che oggi non esiste un ammassamento di truppe dal lato russo del confine paragonabile a quello che si vedeva nella stessa area due anni e mezzo fa, e che comunque non era stato sufficiente a conquistare Kharkiv. Per questo gli ucraini tengono i nervi saldi, non si lasciano confondere dalla propaganda russa che sanno riconoscere meglio degli europei e degli americani, e dicono: un secondo tentativo per prendere Kharkiv non può essere imminente, ma delle operazioni di disturbo anche molto pesanti sì, quindi noi spediamo a nord della città un po’ di unità di riservisti ma non dirottiamo in quel punto troppi soldati schierati sul resto del fronte. Kyiv teme che lasciare più sguarnite altre zone farebbe il gioco di Putin, che sarebbe il risultato a cui punta il Cremlino  per poi sfondare per esempio a Chasiv Yar, accanto alla città distrutta di Bakhmut, che è posizionata su un’altura e se i russi arrivassero lì potrebbero poi tentare di dilagare nel pezzo di Donbas che ancora non occupano.

L’Ucraina ha molti problemi a cui badare, ma da quando alla fine di aprile Joe Biden ha firmato il pacchetto di aiuti militari americani da sessantuno miliardi di dollari, ne ha uno in meno. A Kyiv la decisione è stata festeggiata come “la fine dell’incertezza”, perché almeno adesso l’Ucraina sa quali risorse avrà a disposizione per ciò che resta del 2024 e finalmente può fare programmi. Fino a venti giorni fa, i comandanti ucraini avevano smesso di prelevare le munizioni dai magazzini che custodiscono le scorte perché non avevano idea di quando e se avrebbero potuto rimpiazzarle. Ora i magazzini si svuotano perché c’è una tabella di marcia delle consegne: un primo carico di munizioni per l’artiglieria calibro 155 millimetri è arrivato all’inizio di maggio insieme a un po’ di missili anticarro. Un altro carico identico è arrivato pochi giorni dopo mentre le munizioni per i sistemi di contraerea Patriot atterravano dalla Spagna in Polonia pronte per essere trasferite oltre il confine – una parte di quelle munizioni è già in viaggio verso Kharkiv. Per altre armi in arrivo dalla Germania, dal Regno Unito e dagli Stati Uniti ci vorranno mesi: non sono ancora abbastanza per annullare lo svantaggio materiale, ma rendono possibile difendersi. Il capo di stato maggiore ucraino, Oleksandr Syrsky, ora sa su cosa può contare e decide come disporne, decide a quali brigate spedire i proiettili e per farci cosa – senza farsi ingannare da Putin e senza paura di usare le scorte, senza più incertezza. 
 

Di più su questi argomenti: