L'analisi
La deriva statalista nelle grandi autocrazie come Russia e Cina
Le due potenze sono pronte a compiere grossi investimenti in settori differenti. Ma il punto è capire come ciò si coniughi con una limitata articolazione dei poteri all'interno di quegli stessi paesi
Le vicende della Russia si possono osservare sia in chiave macro economica sia come rapporti di potere fra le imprese e lo stato, e lo stato con i suoi apparati. Il primo approccio è il più diffuso, perché con poche asserzioni si mostra l’inutilità della prova di forza economica degli occidentali, da cui si ricava la necessità di un (non meglio specificato) accordo di pace con i russi.
Ecco come si articola. Negli ultimi tempi la tenuta prima e la crescita poi dell’economia russa ha mostrato come le sanzioni non abbiano avuto un effetto apprezzabile. Da qui la conclusione. Le sanzioni sono state inutili, anzi dannose, perché si è pagato un prezzo elevato, anche se temporaneo, sia da inflazione generata dalle materie prime sia come minori esportazioni. Una prova di forza che si poteva capire fin da subito che era inutile. L’economia russa è, infatti, molto diversa da quella sovietica, perché ha delle riserve finanziarie cospicue con cui coprire sia l’accresciuta spesa militare sia le importazioni. La Russia, ancora a differenza dell’Unione sovietica, è un’economia aperta. Ha, infatti, potuto aggirare le sanzioni esportando il suo petrolio verso la Cina e l’India, ed importando quel che le serve dalla Cina.
Questo approccio, a prima vista persuasivo, è insufficiente di fronte alla domanda maggiore. La Russia è riuscita a mantenere una forza relativa negli ultimi due anni ed è probabile che riuscirà a mantenerla ancora per qualche tempo. Ma come si sta trasformando, e come questa trasformazione, ecco il secondo approccio, influenzerà il suo non troppo lontano futuro, è il vero nodo da affrontare.
In un recente intervento al Congresso degli imprenditori Putin ha sostenuto che è giustificata la nazionalizzazione delle imprese quando queste sono un danno per il paese. Con “danno” si intendono più cose. Per l’industria militare si possono avere dei danni legati al vincolare la sovranità, come può accadere con la presenza dell’estero nel controllo anche parziale delle imprese, mentre per le altre industrie si possono avere dei danni indiretti, come il possesso legato a fatti di corruzione, o ad atti illegali. Anche il possesso da parte di russi di imprese nazionali attuato attraverso delle imprese estere può essere considerato un danno.
Lo stato può così, attraverso la magistratura, nazionalizzare le imprese ritenute dannose. Una volta nazionalizzate, lo stato può tenerle e gestirle direttamente, oppure privatizzarle. Siamo giunti all’articolazione dei poteri.
A metà degli anni Novanta il campo di intervento degli imprenditori, i famosi oligarchi, si ampliò con l’acquisto di molte delle attività produttive che erano in mano allo stato per l’ovvia eredità sovietica. Non molto dopo l’arrivo alla presidenza, Putin annuncia che gli oligarchi erano liberi di agire come meglio credevano, alla condizione (apparente) che pagassero le imposte ma, alla condizione (vera) che non usassero il potere che traeva origine dalla loro ricchezza per ingerirsi nella vita politica. Nella lotta politica in Russia gli oligarchi, che avrebbero voluto convertire il denaro in potere, sono passati in secondo piano. Al loro posto si hanno degli imprenditori legati alla burocrazia centrale e periferica. Come gruppo convertono, al contrario degli oligarchi, il potere in denaro. E le privatizzazioni sono il grande affare.
Il regime russo non va immaginato come uno scambio di buste che passano sotto il tavolo. Piuttosto va pensato come l’uso di procedure, come un’asta in cui si presenta un solo offerente, o in cui al bando è abbinato un offerente fasullo. Il vantaggio di chi esercita il controllo in un stato autocratico è anche quello di poter perseguitare chi si vuole abbinato al potere di proteggere i clientes. Gazprom consente di chiarire come funziona questo sistema.
Si dispone di un’analisi che mostra come, investendo il necessario e con gare d’appalto aperte, Gazprom sarebbe stata nel tempo che precede le sanzioni che le hanno chiuso il mercato maggiore, quello europeo, una miniera d’oro. Ma non sarebbe stata una miniera d’oro per chi non avesse fatto parte della coalizione al potere, ossia per gli azionisti generici, per i fondi comuni, per i fondi pensione. Per chi avesse fatto parte della coalizione al potere, al contrario, lo era. Chi avesse fatto parte della coalizione aveva, infatti, un reddito maggiore con il sistema colluso di quello che avrebbe avuto da un’azienda indipendente.
La Russia si sta trasformando in una autocrazia che distribuisce ricchezza in maggior misura agli apparati dello stato e a chi li affianca e in minor misura alla popolazione povera della periferia. Facendo così, congelando la competizione fra le imprese, e puntando sulla popolazione meno istruita, l’autocrazia frena crescita potenziale. La conclusione del secondo approccio in confronto al primo afferma che la tenuta dell’economia degli ultimi tempi non è garanzia di un buon andamento futuro.
La Cina si trova di fronte a una combinazione di economia e politica, non dissimile da quella russa. Il ciclo di sviluppo è stato trainato dall’urbanizzazione, dal settore immobiliare, dagli investimenti industriali, e dalle esportazioni. Questo ciclo si è esaurito. Ed ecco che si vuole mettere in opera un colossale piano di investimenti, che, solo come ammontare annuale, non è di molto inferiore al pil italiano.
Gli investimenti nei nuovi settori, come la tecnologia e le auto elettriche, si concretizzano in Cina con gli incentivi e sotto la direzione pubblica. Questo sta avvenendo anche negli Stati Uniti e in Europa. Il nodo da risolvere per la Cina è, a differenza di quello occidentale, la modesta domanda interna per consumi. La sua produzione futura dovrà perciò trovare ancora uno sbocco importante nella domanda estera. Ma qui si ha un problema. Gli altri paesi potrebbero, infatti, non voler contribuire alla crescita cinese nei settori innovativi, perché ciò avrebbe a danni dei propri.
La domanda interna cinese per consumi dovrebbe perciò crescere, ma i consumi crescono stabilmente se le famiglie riducono il risparmio cautelativo. Le famiglie cinesi risparmiano molto perché devono mantenere la generazione precedente, mentre accumulano la pensione, risparmiano per far studiare i figli, e per le cure mediche. Se questi eventi diventassero meno costosi, con lo stato sociale e con sistemi finanziari sofisticati si riduce l’onere degli eventi negativi, perché si suddivide la probabilità che si manifestino a livello dei singoli, i cinesi risparmierebbero di meno e quindi consumerebbero di più. La domanda economica, ma alla fine politica, diventa: ciò che contribuisce ad alimentare la sicurezza nella popolazione, lo stato sociale e un settore finanziario sofisticato, è compatibile con un sistema a partito unico come quello cinese?
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