l'intervista

Sfinire la piazza prima di ottobre è la scommessa di Sogno georgiano

Micol Flammini

Il cammino da qui a giugno sembra scritto, ma la protesta dovrà andare avanti perché è alle elezioni che punta il governo. Marika Mikiashvili ci racconta la propaganda, la repressione e i piani per restitere

La popolazione della Georgia è numerosa quanto quella della Toscana.  Sono meno di quattro milioni di abitanti e in questi giorni sembrano tutti per le strade di Tbilisi, tanto sono affollate, calpestate, rischiose. Le proteste contro il governo e contro la “legge russa”, che oggi potrebbe essere approvata dal Parlamento, vanno avanti da settimane, di giorno e di notte, sono incessanti,  determinate e forse dovranno esserlo a lungo. La presidente del paese, Salomé Zourabichvili, potrebbe porre il veto sulla legge, il veto potrebbe essere poi superato con un altro voto in Parlamento e questo sarà il preludio delle elezioni di ottobre, in cui il partito di maggioranza, Sogno georgiano, vuole rivincere a ogni costo. Allora la protesta dovrà andare avanti, dritta fino a ottobre, organizzata e pronta a pressione e repressione asfissianti. Sarà un rischio, ma Sogno georgiano ha già fatto la sua scommessa: i manifestanti si stancheranno. Marika Mikiashvili, del partito di opposizione Droa, è sicura che il governo farà di tutto per sfiancare i manifestanti, la propaganda è già in azione, manifestare è rischioso, e poi c’è la particolarità di questa piazza senza un leader: “Si diceva che noi georgiani avessimo bisogno di un capo politico, di un potere centrale forte. Si diceva che i georgiani protestano ma poi si stancano. Ci stiamo meravigliando di noi stessi, questa protesta è orizzontale, ci sono varie anime che collaborano, è tutto nuovo”, dice al Foglio entusiasta per l’energia della protesta e preoccupata per la repressione crescente. Sono arrivati in strada i picchiatori, ci sono gli arresti, ci sono telefonate di intimidazione ai parenti dei leader dell’opposizione.

 

Il governo ha messo in conto che è a ottobre che vuole arrivare e così vuole sfinire questi manifestanti, con l’intento di vederli   stanchi e  demotivati per le prossime elezioni. “Nessuno vuole una rivoluzione, vogliamo tutti le elezioni, ma ci teniamo che siano oneste, trasparenti. Non so prevedere che effetto potrebbe avere una finta elezione”. E’ bene iniziare ad andare oltre con il pensiero e con la strategia, il cammino da qui ai primi di giugno sembra scritto: “Credo che il governo abbia intenzione di arrivare fino in fondo con la legge. Forse qualcosa potrebbe cambiare se ci saranno scioperi di varie categorie. Potrebbero edulcorarla, ma non credo che abbiano intenzione di fare un passo indietro”. Uno lo fecero lo scorso anno, quando per la prima volta Sogno georgiano presentò la “legge russa”, che vuole imporre alle organizzazioni che ricevono più del 20 per cento di finanziamenti dall’estero di registrarsi come agenti stranieri. I georgiani scesero in strada, pronti a tutto, il governo fece finta di ripensarci, ma si prese un anno per pianificare una strategia migliore: “La propaganda è forte, il governo dice che chi manifesta è a favore di una Georgia pronta a farsi colonizzare, noi georgiani non percepiamo l’occidente come un colonizzatore”, anzi temono che se la Georgia andrà avanti con questa legge diventerà un pariah internazionale, perderà le sue credenziali con l’Unione europea, che le ha dato lo status di paese candidato. E’ un’altra la colonizzazione che la Georgia teme:  quella che viene dal Cremlino. Il rischio è che più che all’Ucraina, queste proteste  somiglino alla Bielorussia: “Il paragone con le manifestazioni  di Euromaidan che iniziarono a Kyiv nel 2013 spesso lo fa anche Sogno georgiano in modo dispregiativo. E’ un paragone che usano per dirci che quelle proteste portarono all’invasione russa dell’Ucraina, quindi per accusare i manifestanti di mettere a rischio la sicurezza del paese. In sé questa affermazione fa ridere, è come se Sogno georgiano stesse ammettendo: se ci cacciate, se ci fate dimettere, la Russia verrà in nostro soccorso”.


Se qualcuno in queste proteste viene arrestato, la folla lo protegge. Ci si fa scudo gli uni con gli altri, si marcia insieme, ci si difende insieme. E’ questo il senso di comunità georgiana, “è una società piccola e coesa”, dice Mikiashvili. “Se qualcuno ancora giustifica il governo è perché crede che sia europeista ma ha in mente un altro cammino per portare il paese nell’Unione europea. Se aumenterà la violenza, anche queste persone capiranno che invece la destinazione verso cui ci traghetterà il governo è nel verso opposto, lontano dall’Ue”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)