Il regno in un dipinto
Carlo III con farfalla. Primo ritratto ufficiale: bello, ma con un senso di precarietà
Due particolarità: la prima è l'insetto che svolazza all’altezza della spalla destra, allusione all’ambientalismo del re. L’altra è il senso di provvisorietà che il “soggetto” trasmette
Da una specie di nebbia rossa, molto rossa, emergono soltanto il volto e le mani del Re. E’ il primo ritratto ufficiale di Carlo III, due metri di larghezza e due e 60 d’altezza, dipinto dal pittore Jonathan Yeo, artista molto quotato e opportunamente bipartisan (ha immortalato sia Tony Blair che David Cameron e sì, anche Cara Delevingne) per la Draper’s Company di Londra, la corporazione dei fabbricanti di tessuti. Il ritratto più famoso di mamma Elisabetta II, quello bellissimo di Annigoni, era stato realizzato per un’altra di queste reliquie medievali della City, i Fishmongers, i pesciaroli, come direbbe Gggiorgia. Tornando a Carlo, his Majesty indossa l’uniforme da colonnello della Welsh Guard, poggia le mani sull’elsa della spada, porta sul petto un assortimento di medaglie e al collo l’ordine della Giarrettiera: e il rosso, si sa, è il colore della regalità. Poiché i Re ci piacciono vestiti da Re, quanto a pompa monarchica nulla da obiettare. Ieri il Times ci ha fatto la prima pagina: per inciso, il quadro è assai bello, almeno da quel che di può giudicare dalle fotografie.
Le particolarità sono due. La prima è la farfalla che svolazza all’altezza della spalla destra. Allusione all’ambientalismo di cui Carlo parlava quando non era ancora di moda, un ambientalismo pragmatico e non isterico, beninteso; o forse alla trasformazione dell’uomo, perché il ritratto è stato iniziato quando Carlo era l’erede al trono e completato quando ci era salito. “Proprio come la farfalla che ho dipinto sulle sua spalle, questo ritratto si è evoluto man mano che si evolveva il ruolo del soggetto nella nostra vita pubblica”, ha spiegato Yeo. L’altra è il curioso senso di incertezza, di indeterminatezza, meglio: di provvisorietà, che il “soggetto” trasmette. Che il regno di Carlo sia destinato a essere una transizione fra quello di una predecessora morta vecchissima e un successore ancora giovane è scritto nell’anagrafe. Ma, come sappiamo, si sono poi aggiunti i noti guai di salute, il tumore alla prostata di cui soffre il Re e che lo allontana a intermittenza dalla vita pubblica, sostituito dall’unico figlio in servizio monarchico, a sua volta però impegnato a curare la moglie malata pure lei (e qui, vabbè che sono protestanti e per nulla portati al misticismo, ma questi Windsor una visitina a qualche santuario potrebbero pure farla: ce ne sono anche nel regno, scampati a Enrico VIII). Come spesso accade, magari non volendolo l’artista ha però sentito l’atmosfera che grava su questo inizio di regno, il mood non ottimista, il clima più incerto di quello meteorologico. La sua opera trasmette un senso di precarietà, come forse saranno gli anni di Carlo III, che peraltro non la merita perché non è affatto l’uomo inconsistente spesso raccontato dai media italiani più sprovveduti. Quando andò in esilio, comportandosi da gran signore non potendo essere un grande sovrano, Umberto II disse che le monarchie sono come i sogni, o si ricordano subito o non si ricordano più. Con Carlo c’è il rischio che finisca così. La storia è spesso crudele.