Juraj Cintula, il presunto attentatore del presidente slovacco Robert Fico - foto via Twitter dall'agenzia di stampa est europea Nexta

Una miscela esplosiva 

Identikit di Juraj. C, l'attentatore del premier slovacco Robert Fico

Jana Karšaiová

Ha scritto poesie, diceva: siamo insoddisfatti, non violenti. Nella biografia sul sito che vende i suoi libri ora c’è scritto: ha sparato al primo ministro. I traumi della Slovacchia, che crea i suoi nemici 

Quando è successo ero in auto, davanti alla scuola di mio figlio, ero al telefono con l’organizzatore di un festival letterario in Slovacchia a cui sono stata invitata. Fuori pioveva, così, rintanata nell’abitacolo, mentre aspettavo l’uscita di mio figlio, ho aperto l’app di DennikN, il giornale slovacco. Gli spari sono stati cinque, da vicino. Ho visto il video in cui il premier si è accasciato per terra e le sue guardie del corpo lo hanno preso per le braccia e lo hanno trascinato verso l’auto, le gambe di Fico tentavano di collaborare, ma senza successo. Nel video si sentono le grida concitate di chi ha assistito alla scena, tutte rivolte verso l’aggressore che è lì, nella mischia, sotto i poliziotti, ormai immobilizzato. Mio figlio è uscito da scuola, ho tentato di caricarlo in fretta in auto ma lui voleva raccontarmi cosa aveva mangiato per pranzo, mi sono fermata e ho aspettato che finisse di parlare.
 

Arrivata a casa, nella mia stanza, ho acceso il computer, le notizie arrivavano a raffica. A sparare è stato un uomo di 71 anni, ormai è noto anche il suo nome, ma è uno di quei nomi di cui non si sapeva niente. Subito dopo hanno rintracciato il figlio, al telefono è rimasto un attimo in silenzio. Immagino la chiamata: buona sera, suo padre ha appena tentato di uccidere il primo ministro, lei ne sa qualcosa? Non ne sapeva niente, il padre non amava Robert Fico ma da qui a sparargli, l’abisso, la zona oscura che suo figlio non conosce.
 

Juraj C. è di Levice, una città di trentamila abitanti nella Slovacchia centrale. Scriveva poesie, gli sono uscite tre raccolte e due romanzi, credo si trattasse di un self-publishing. Sul sito che vende i suoi libri, nella biografia c’è scritto che ha sparato al premier, oggi. I suoi libri hanno nomi come "Figlio di un ribelle" oppure "Messaggio di una vittima". Solo una volta, fino a oggi, è apparso sugli schermi. Nel 2016, è stato aggredito nel supermercato, a Levice, dove lavorava come vigilante. Aveva tentato di calmare un uomo che urlava alle cassiere e poi è finito al pronto soccorso. La sera, quando una troupe televisiva l’ha intervistato, lui ha mostrato i lividi, le ferite, una vittima perfetta. Aveva tentato di formare un movimento politico, lo aveva intitolato "Contro la violenza". Aveva lanciato una petizione per poter finanziare il movimento, un documento firmato da otto persone. Era preoccupato dell’aggressività che dilagava in Europa. La violenza è una reazione delle persone per ciò che non le soddisfa. Siamo insoddisfatti, ma non violenti! così diceva. Sulla pagina Facebook del movimento scrive un post intitolato "CONFESSIONE".
 

Nello stesso periodo simpatizza con un movimento paramilitare filorusso, Slovenskí branci, di cui il motto è "La nostra patria è il futuro". C’è una foto di lui insieme ai paramilitari che scatena le polemiche sui social nelle ultime ore. I commenti sotto la foto sono aperti, le due fazioni in cui ormai è divisa la Slovacchia si insultano a vicenda, tutti insultano lui come un capro espiatorio. Su Telegram circola anche la carta d’identità di Juraj C. e la polizia denuncia la fuga di informazioni. Poi c’è un video, non confermato ufficialmente, in cui lui afferma di non essere d’accordo con la politica di Robert Fico. Una voce fuori campo gli domanda: E quindi lei cosa ha deciso di fare? Lui guarda verso l’obbiettivo confuso e ripete solo ciò che ha già detto. Un mese fa, il primo ministro ha profetizzato un attacco a un politico della sua coalizione. La colpa per lui era chiara, la responsabilità per un odio diffuso, è dell’opposizione e dei media mainstream.
 

Il telegiornale riporta le immagini mentre Juraj C. viene trasferito dalla stazione di polizia di Handlova, la sua faccia ormai è quella impassibile di chi sa di essere ripreso continuamente. Il suo dirimpettaio, in un’intervista, continua a ripetere che la sua era una famiglia, è una famiglia, si corregge, fantastica. Con la moglie, una professoressa di liceo in pensione, andavano per mano per Levice. Chissà come sta lei, si domanda. Seguo la conferenza stampa dall’ospedale dove è ricoverato Fico, il ministro dell’Interno e il ministro della Difesa hanno le facce grevi e parlano della necessità di fermarsi, di restare in silenzio. La polizia chiede ai giornali di chiudere i commenti sotto le notizie sui social.
 

Il paese è piombato nel silenzio, sotto shock. I traumi che la Slovacchia ha subìto negli ultimi anni non sono stati pochi: hanno ucciso un giornalista investigativo con la sua compagna in modo cruento, di recente due ragazzi perché omosessuali e ora le pallottole hanno colpito il primo ministro. Forse adesso ci rendiamo conto che le parole scritte sui social, nei giornali, le parole pronunciate nei podcast, nelle interviste hanno un peso e una ricaduta sulle persone. E che è ingenuo pensare di poter controllare le reazioni di chi ascolta, di chi legge. Cercare i voti nella miscela esplosiva dell’odio, puntare il dito verso l’altro e creare il nemico è rischioso. Juraj C. ha fatto un gesto, da solo, ma i complici siamo noi, tutti.

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