L'attacco a Fico e una nebbia di disinformazione che dura da anni

Micol Flammini

Tutti denunciano il clima di violenza e la Slovacchia cerca di curare le ferite di una stagione lunga fatta di propaganda, accuse politiche e dell'uccisione del giornalista Jan Kuciak

Il primo ministro slovacco Robert Fico è ancora in gravi condizioni. Ha subìto un intervento di oltre cinque ore: “E’ andato bene”, ha detto il direttore dell’ospedale di Banská Bystrica, in cui Fico è stato ricoverato con urgenza dopo l’attentato di mercoledì. Il premier era appena uscito da un incontro nella città di Handlová, si stava avvicinando per salutare una piccola folla oltre le transenne e lì, in prima fila c’era un uomo con la pistola, pronto a mirare, sparare e anche a farsi catturare. Ieri le autorità slovacche hanno accusato di tentato omicidio Juraj C., guardia di sicurezza in un supermercato, autore di poesie e di romanzi. I media slovacchi continuano a riferirsi a lui con nome e cognome puntato, ma tutti sanno che la C. sta per Cintula, la foto del suo  volto ha  girato ovunque, si conoscono le dichiarazioni di suo figlio, è stato pubblicato anche un  video di quando ormai nella stazione di polizia,  ammanettato, diceva di aver sparato perché contrario alle politiche del governo. C. è membro  di un movimento contro la violenza, eppure ha preso la pistola, è andato a Handlová e ha sparato cinque colpi contro  il premier. Risulta essere un sostenitore del partito moderato Slovacchia liberale, ma   ha militato in un gruppo paramilitare filorusso. Nel video che è stato mostrato sui social, la prima colpa che imputa al premier è quella di aver limitato il potere dei media. Circa un mese fa, Fico aveva parlato del clima di violenza nel paese, della tensione in aumento e aveva attribuito la colpa all’opposizione, a giornali e alle televisioni, tutti coalizzati per aizzare la gente contro di lui. La Slovacchia è un posto della rabbia e delle esitazioni, dietro alla politica del dito puntato si nascondono i cittadini bersagliati dalla propaganda, che spesso si tengono  lontani dalla politica. 


C’è nebbia in Slovacchia e la coltre è fatta di rabbia e di disinformazione, di un potere accusato di corruzione e di rapporti ambigui con la criminalità, di  una popolazione che sembra lontana, in attesa che la nebbia si faccia rarefatta, si posi. Fico non è arrivato con quest’ultimo mandato, è espressione di un potere duraturo, legato a tragedie, furie, posizionamenti internazionali ambigui. Ci fu un momento in cui la nebbia improvvisamente calò e venne una tempesta: il 21 febbraio del 2018, due uomini armati entrarono nella casa di un giornalista di ventotto anni con l’obiettivo di ucciderlo.  I sicari fecero irruzione mentre il ragazzo dormiva con la sua fidanzata Martina Kusnirová, spararono e li uccisero. Ján Kuciak era un giornalista di inchiesta, aveva scritto articoli sul legame tra la mafia e uno degli assistenti di Fico, tra criminalità e politica, su imprenditori corrotti e su uno degli uomini d’affari più potenti del paese, Marián Kocner, che poi risultò essere il mandante dei due sicari. L’omicidio risvegliò la popolazione, per il funerale Ján Kuciak e Martina Kusnirová vennero vestiti con gli abiti che avrebbero dovuto indossare per il loro matrimonio, divennero improvvisamente due simboli per la nazione. Vennero organizzate manifestazioni in tutto il paese, i volti dei due ragazzi comparivano per le strade, sui cartelli, negli angoli illuminati da candele, come fossero nicchie sacre. Tanto fu determinata e persistente la protesta che Fico dovette dimettersi. Si aprì una stagione nuova, inaspettata, incarnata dalla presidente che fu eletta l’anno seguente, Zuzanna Caputová, che aveva fatto una campagna elettorale tutta contro l’odio,  la violenza,  la corruzione. Gli slovacchi la scelsero perché era una novità, una speranza. Durò il tempo di una pandemia e di una guerra, in cui il governo guidato da Eduard Heger si dimostrò solidale, senza alcuna piega, con l’Ucraina. Poi la nebbia si alzò di nuovo: tornò Fico promettendo di sovvertire il ruolo internazionale della Slovacchia, mentre la propaganda di Mosca non aveva mai smesso di fare il suo dovere, tanto da convincere gli slovacchi che sarebbe stato meglio smettere di aiutare l’Ucraina, perché  la Russia non si poteva battere. Una volta diventato premier, Fico però non si è tanto occupato di Ucraina, a Bruxelles si è limitato a offrire una spalla al suo omologo ungherese Viktor Orbán ma molto più docile nel lasciarsi convincere. Il suo vero lavoro meticoloso è stato in patria, soprattutto contro i media. E’ stato aggressivo, ha attaccato personalmente alcuni giornalisti, soprattutto giornaliste, ha impedito a quattro testate di prendere parte alle sue conferenze stampa. Ieri il nuovo presidente e alleato di Fico, Peter Pellegrini, ha chiesto di calmare il clima della campagna elettorale per le elezioni europee. Anche Caputová è intervenuta per fare la stessa richiesta. La nebbia ancora non si muove, ma la propaganda ha già diffuso la sua storia: Juraj C. voleva colpire l’amicizia tra Fico e la Russia. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)