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 Verso est

Putin e Xi, l'alleanza anti occidente. A luglio Meloni in Cina

Giulia Pompili

L’atteso e a lungo rimandato viaggio della premier a Pechino, un mese dopo il G7 e dopo l’uscita dalla Via della seta. Chi arriva oggi a Taiwan

In questi giorni Palazzo Chigi sta perfezionando gli ultimi dettagli dell’attesa visita, a lungo ponderata e rimandata, della presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Pechino: avverrà a luglio, neanche un mese dopo aver presieduto la riunione più importante del G7 a Borgo Egnazia, in Puglia. E sarebbe proprio l’imminente viaggio in Cina della premier il motivo per cui il mese scorso, da ambienti meloniani, sarebbe arrivato un suggerimento significativo ai parlamentari di Fratelli d’Italia: quello di evitare di partecipare all’insediamento di Lai Ching-te, presidente eletto di Taiwan. Così oggi, in viaggio verso Taipei, ci sono solo tre parlamentari, di cui due vicepresidenti del Senato: il leghista Gian Marco Centinaio e la forzista Licia Ronzulli, ai quali si è unita anche Daniela Ternullo, senatrice di Forza Italia. Ma appunto, nessuno di Fratelli d’Italia, perché Taiwan è materia complessa, la linea rossa per eccellenza della leadership della Repubblica popolare cinese, che rivendica l’isola come parte del suo territorio anche se il Partito comunista cinese non l’ha mai governata. Taiwan è il luogo  delle tensioni nell’area dell’Indo-Pacifico, e più volte motivo di ricatto diplomatico da parte di Pechino. 

Due anni fa, durante la campagna elettorale per le politiche, Meloni era stata l’unica a farsi intervistare da un media taiwanese, e in quell’occasione aveva promesso più attenzione per il paese, riconosciuto formalmente solo da dodici governi al mondo, e alle azioni di forza cinesi contro l’isola. Sembrava una dichiarazione d’intenti, la leadership di un fronte anticinese chiaro e manifesto dopo le sbandate dei governi giallo-verde e giallo-rosso. Poi però c’era stato il primo incontro fra Meloni e il leader cinese Xi Jinping, al G20 di Bali nel novembre 2022, e poco più di un anno dopo la delicata e silenziosa uscita dal progetto strategico cinese della Via della seta. 

In questi mesi Meloni si è guardata bene dal menzionare Cina, Taiwan e le crisi dell’Indo-Pacifico che ormai non sono più confinate al quadrante asiatico. Non ha mai menzionato il sostegno della Cina alla guerra della Russia contro l’Ucraina.  Ma le apparenti contraddizioni della politica estera italiana con la Cina hanno una ragione, e per nulla scontata: Palazzo Chigi in questi mesi ha lavorato, in modo un po’ azzardato e spericolato, per dare rassicurazioni sia a Washington e Bruxelles, sia a Pechino, cercando di garantirsi la benevolenza di entrambi i fronti. Da un lato l’uscita dalla Via della Seta e l’invio per la prima volta dell’Italian Carrier Strike Group della Marina, guidato dalla portaerei Cavour, alle gigantesche esercitazioni militari Rimpac del Pacifico, che iniziano a fine giugno, sono state sufficienti rassicurazioni agli alleati del fatto che le relazioni di Meloni con la Cina non sono le stesse che ha, per esempio, Viktor Orbán in Ungheria – non siamo più il ventre molle d’Europa della propaganda e del business rapace di Pechino, è il messaggio recepito a Washington. Dall’altro lato, però, tutto ciò che hanno chiesto i cinesi in cambio di nessuna rappresaglia alla tenue ostilità italiana  è stato concesso, compreso l’evento di business Italia-Cina del 12 aprile scorso a Verona, alla presenza del ministro cinese Wang Wentao, una specie di cerimonia riparatrice della Via della seta che è stata sostituita, anche nelle dichiarazioni pubbliche, con il partenariato strategico. Nel mezzo, c’è l’attivismo dell’ambasciata cinese a Roma, quello delle delegazioni che dalla Cina arrivano in Italia (Hubei, Shandong, Hainan), e di recente le polemiche sul treno partito dalla regione autonoma dello Xinijang che dovrebbe arrivare a giorni a Salerno, con 82 container di prodotti agricoli dell’area nota soprattutto per essere il luogo di sfruttamento del lavoro forzato della minoranza degli uiguri. L’Italia si era per due volte astenuta sul voto europeo che obbligava le grandi aziende a non importare prodotti – nel caso italiano, soprattutto pomodori – da luoghi in cui c’è il serio sospetto che si sfrutti il lavoro forzato. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, aveva detto che smettere di importare pomodori dalla Cina avrebbe “favorito” le multinazionali americane. E poi c’è il tentativo di vari ministeri di fare il passo più lungo nel business – per esempio quello guidato da Adolfo Urso del Made in Italy, che ha avuto contatti prima con la Chery poi con la Dongfeng Motor, evitando di menzionare le indagini della Commissione europea sulla concorrenza sleale delle auto elettriche cinesi e i potenziali dazi in arrivo. E il vicepremier Matteo Salvini, che se la prende con le auto cinesi ma ha una relazione ormai piuttosto consolidata con l’ambasciatore cinese a Roma, Jia Guide, al quale ha fatto l’onore di aprire l’ultima festa nazionale. Solo che pure la Lega è divisa sul tema, e i mal di pancia di chi vorrebbe un Carroccio più atlantista hanno la forma dell’attivismo di Centinaio a Taipei nei prossimi giorni, all’inaugurazione della presidenza taiwanese più lontana da Pechino che c’è. L’ultima volta che una piccola rappresentanza parlamentare italiana è stata a una cerimonia simile era il 2016, con i deputati, allora entrambi del Pd, Marco Di Maio e Guido Galperti. Dall’opposizione però quest’anno si preferisce un profilo più anonimo con Taiwan: qualcuno fa riferimento in particolare all’assenza di Taipei fra i formali gruppi dell’Unione interparlamentare, il che significa che il viaggio viene pagato o dal partito o direttamente dal governo taiwanese, che ha tutto l’interesse di avere parlamentari stranieri in visite informali ma in realtà formalissime.  

E mentre parte del centrodestra si avvia verso Taipei, il consigliere diplomatico di Meloni Fabrizio Saggio, che la scorsa settimana ha avuto un lungo colloquio con l’ambasciatore Jia Guide, studia le mosse di Xi a Parigi prima, e poi di Putin a Pechino, per preparare i dossier a Meloni, in una visita complicata perché a lungo rimandata, ma impossibile da evitare ulteriormente per cerimoniale diplomatico: deve necessariamente precedere la visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che andrà in Cina a ottobre. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.