Contagio illiberale
Indovinate un po' a chi piace la "legge russa"
Budapest vorrebbe introdurre la norma approvata in Georgia contro gli "agenti stranieri" in tutta l’Ue. In Ungheria c'è un precedente (anzi due). La Turchia sta lavorando a una sua versione della stessa legge, contro le infuenze straniere anche sui social
Non vogliamo mettere un veto alla “legge russa” approvata dal Parlamento georgiano, “ma incoraggiare l’introduzione di leggi simili in tutta l’Europa”, ha scritto su X Balázs Orbán, il consigliere politico di Viktor Orbán, premier ungherese. “Proteggere la sovranità di ognuno da interferenze straniere non volute – continua il consigliere Orbán – non è una minaccia alla democrazia, ma una precondizione alla democrazia. La legge riguarda questo, e invece di condannarla, l’Unione europea dovrebbe seguirne l’esempio”. L’Ungheria, assieme alla Slovacchia, ha boicottato il documento con cui l’Ue voleva dare il suo sostegno ai manifestanti europeisti che protestano contro la “legge russa” – la dichiarazione è poi arrivata, ma l’eventuale revoca dello status di candidato all’ingresso nell’Ue deve essere decisa all’unanimità, e naturalmente Budapest può mettere il veto.
L’ostilità dell’Ungheria a ogni iniziativa europea contro l’aggressività di Mosca non è una novità, ma sulla “legge russa” c’è una particolare predilezione perché anche il governo di Budapest ne ha già adottata una simile. La “legge russa” approvata questa settimana dal Parlamento in Georgia – in cui il partito che ha la maggioranza è Sogno georgiano, che è al governo e che ha lanciato con questa norma (e altre) l’attacco al “partito della guerra globale”, cioè l’occidente – e alla quale sono stati introdotti altri emendamenti ieri, stabilisce l’obbligo da parte delle organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei finanziamenti dall’estero di autodenunciarsi come agenti stranieri. L’equivalenza tra sostegno straniero e nemico del paese è stata fatta per la prima volta da Vladimir Putin nel 2012.
Nel marzo di quell’anno c’erano state le elezioni in Russia – Putin fu rieletto presidente prendendo il posto di Dmitri Medvedev – seguite da grandi proteste in cui i manifestanti gridavano: “Vogliamo una Russia libera da Putin”. A luglio, quando le proteste erano stato sedate, il Parlamento russo approvò la legge che “regola le attività delle organizzazioni no profit e delle organizzazioni non governative che svolgono funzioni da agente straniero”. La definizione si applicava alle entità impegnate in “attività politiche” che ricevevano finanziamenti o asset da stati stranieri, organizzazioni o individui. Queste organizzazioni erano da quel momento tenute a registrarsi presso il ministero della Giustizia, presentare relazioni trimestrali su entrate e uscite, relazioni semestrali sulle loro operazioni e dichiarare il loro status di “agente straniero” in qualsiasi materiale pubblico. Per i trasgressori erano previste sanzioni amministrative e penali (tra cui il carcere per due anni). Nella lista sono finite tutte le organizzazioni operative in Russia che vi vengono in mente, da Radio Liberty al Levada Center alla fondazione di Alexei Navalny a Memorial (l’elenco è lungo, ci sono circa cento istituzioni), e dal 2020 in poi sono stati introdotti altri emendamenti con “misure aggiuntive per contrastare la minaccia alla sicurezza nazionale”. Così tutto il dissenso – individuale, delle ong, dei media e delle associazioni pubbliche – è diventato l’obiettivo della legge, e le pene sono state aumentate.
Nel 2017, l’anno prima delle elezioni (vinte da Orbán), l’Ungheria aveva messo in pratica l’insegnamento russo approvando una legge sulla “trasparenza” – che è lo stesso termine che usa oggi il governo georgiano – che imponeva alle organizzazioni non governative che ricevevano finanziamenti dall’estero di iscriversi in un registro e dettagliare finanziatori e operazioni. Quella legge, approvata a giugno, veniva dopo una legge che di fatto obbligava la Central European University – l’università fondata nel 1991 da George Soros, “l’agente straniero” più agente che c’è, secondo i governi illiberali dell’est Europa, visto che promuove la democrazia e l’istruzione liberale – a spostare le sue attività, cioè i corsi e gli studenti, via da Budapest (oggi opera quasi totalmente a Vienna). Lo stesso Orbán aveva stabilito il legame diretto tra Soros, le ong e gli agenti stranieri: “C’è un elemento importante nella vita pubblica in Ungheria che non è trasparente – disse il premier ungherese in una trasmissione radiofonica – e questa è la rete Soros, con il suo funzionamento in stile mafioso e le sue organizzazioni simili ad agenti stranieri. Il popolo ungherese ha il diritto di sapere chi rappresenta cosa e con quale scopo, e quali obiettivi questi enti cercano di raggiungere attraverso le loro operazioni”. Ci furono molte proteste, i parlamentari dell’opposizione dicevano: più che preoccuparci delle ong, dovremmo preoccuparci dell’influenza russa sul nostro paese.
Anche l’Ue intervenne, prima con dichiarazioni di condanna poi facendo sempre più sul serio, fino ad aprire una procedura d’infrazione che infine costrinse Budapest a ritirare la legge: i soldi europei sono vitali per l’Ungheria, l’ostilità di Orbán trova sempre un limite nella necessità di sopravvivere economicamente. Naturalmente le pressioni europee furono vissute come un’oppressione – è anche da lì che ha preso il via la retorica sciagurata orbaniana: l’Ue è peggio dell’Unione sovietica – e gli europei divennero, nella propaganda governativa, burattini nelle mani di Soros. A dicembre dello scorso anno, il Parlamento ungherese ha approvato un pacchetto di leggi “per la difesa della sovranità nazionale” che vuole identificare e controllare le organizzazioni che ricevono finanziamenti stranieri ed è stato introdotto un Ufficio per la protezione della sovranità, alla cui guida è stato messo Tamás Lánczi, che è stato lo speechwriter di Orbán, che gestisce la compagnia pubblica che controlla la grande maggioranza dei media ungheresi e che viene definito “quello della lista Soros”. A febbraio, la Commissione di Venezia – un organo consultivo del Consiglio d’Europa – ha consegnato a Budapest il suo parere sulla legge e sull’Ufficio in cui dice che non sono stati stabiliti i confini dell’“attività politica” cui si applica la norma e che lo scopo dell’Ufficio non è chiaro e la sua istituzione non è necessaria. Il governo di Orbán ha rispedito il rapporto al mittente accusandolo della solita ingerenza malevola europea. La relazione della Commissione di Venezia sulla legge approvata dal Parlamento georgiano deve arrivare all’inizio della settimana prossima.
L’ispirazione russa ha attecchito anche altrove nel suo ampliamento che colpisce soprattutto i media. Quando il PiS, partito nazionalista polacco, era ancora al potere, aveva cercato di introdurne una versione, senza riuscirci. La Slovenia invece ha avuto più successo: nel 2021, poco prima che il paese prendesse la presidenza di turno dell’Ue, l’allora premier Janez Janša, soprannominato il Trump sloveno e grande alleato di Orbán, aveva iniziato una battaglia contro i principali media del paese, tagliando i fondi pubblici, facendosi dare i dettagli dei finanziamenti arrivati dall’estero e definendo molti di loro delle “disgrazie nazionali”. Intanto faceva crescere il suo media, quella Nova24Tv che aveva fondato nel 2015 e che aveva ricevuto i fondi e i consigli degli oligarchi ungheresi, che erano sì stranieri ma non da perseguire come gli altri.
Anche la Turchia sta lavorando a “una legge sugli agenti di influenza straniera”, come ha scritto all’inizio di maggio il giornale filogovernativo Yeni Safak. “Coloro che lavorano per conto di un altro stato e costruiscono una opinione pubblica contraria agli interessi della Turchia saranno messi sotto i riflettori – ha scritto il quotidiano – Lo spionaggio d’influenza sarà incluso nel codice penale turco come un reato”. E ancora: anche gli “agenti di influenza straniera” sui social media saranno controllati, come tutti quelli che “creano spazio alla propaganda contro la Turchia”. Secondo il ministero della Giustizia turco questa legge è “doverosa”. Nel paese che colpisce il dissenso da anni in modo molto violento, giovedì è arrivato il primo ministro georgiano, Irakli Kobakhidze, che è stato accolto dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Hanno discusso delle relazioni bilaterali, della guerra di Putin in Ucraina – che secondo Kobakhidze “mina la sicurezza fondamentale dell’Europa e del Mar Nero”: per lui la colpa è del “partito della guerra globale” non di Putin – e della grande capacità di Erdogan di difendere la sovranità turca e il popolo turco.