In iran

Morto Raisi, il presidente meno amato e votato della storia, si aprono le elezioni più difficili per il regime

Cecilia Sala

È morto un involucro vuoto. I meme con gli orsi contro l'uomo che mise la firma sulla più grave strage di cittadini iraniani mai compiuta dalla Repubblica islamica e le prossime elezioni in un regime sconfessato

Nel 1988, quando da capo della magistratura Ebrahim Raisi mandò al patibolo migliaia di oppositori, anche intere famiglie e coppie trentenni con figli piccoli, l’ayatollah Montazeri lo affrontò e gli disse: “Non sarai ricordato come un rivoluzionario, sarai ricordato come un criminale”. Montazeri all’epoca era molto più potente di Raisi e più potente dello stesso  Khamenei, nei piani del fondatore della Repubblica islamica Khomeini doveva essere lui, Montazeri, il suo erede – ma si dimise il giorno che cominciò il massacro. I condannati erano talmente tanti che i furgoni della polizia non bastavano e vennero deportati nella capitale sui treni. Nasim aveva sei anni e tra quei prigionieri c’erano sua madre e suo padre. Domenica sera  Nasim ha sostituito la sua immagine del profilo su WhatsApp con quella di un orso per dire: tra Raisi e gli orsi che popolano le nostre montagne, io sto con gli orsi.
 

Nelle ore in cui quarantasei squadre di soccorritori della Mezzaluna rossa e dell’esercito cercavano il presidente, il ministro degli Esteri e il resto della delegazione sotto la neve, i meme sui social network iraniani che raffiguravano le belve (soprattutto gli orsi e i lupi)  sono stati così tanti che a un certo punto la polizia informatica  ha pubblicato un comunicato per minacciare di ritorsioni gli utenti che con i loro post stavano “disturbando prima la preghiera e poi il lutto”.
 

Se c’è una cosa su cui gli iraniani fedeli alla Repubblica islamica  e gli iraniani che vogliono buttare giù il regime sono d’accordo è: Raisi era un  burocrate, il leader meno carismatico della storia del paese, uno che faceva fatica a rispondere in modo efficace anche a un intervistatore ultra accondiscendente ed era incapace di pronunciare una qualsiasi frase adatta a farsi ricordare durante un dibattito elettorale. Uno che ha fatto carriera per la sua obbedienza e non per la sua intraprendenza. Per questo è stato il pupillo  dell’ayatollah Ali Khamenei, perché non aveva né idee né un popolo pronto a seguirlo, era un involucro vuoto dentro cui poter mettere qualsiasi cosa, compresa la responsabilità formale della più grave strage di  cittadini iraniani mai compiuta dalla Repubblica islamica. Raisi è stato il presidente dell’Iran eletto con meno voti nell’elezione meno partecipata della storia dalla rivoluzione islamica, le presidenziali del 2021.
 

Per le stesse ragioni che hanno convinto Khamenei a usare Raisi come una pedina per colonizzare prima la magistratura, poi le fondazioni del clero che controllano l’economia iraniana (Raisi ne ha presieduta una che amministrava da sola più miliardi di quelli compresi nel budget del ministero delle Finanze) e infine il governo, oggi gli iraniani sanno che nella politica del loro paese non cambierà nulla – gli involucri vuoti sono  sostituibili e  continuerà a decidere tutto l’ottantacinquenne Khamenei. 
 

Nelle ore in cui si cercava il corpo del presidente tra le rocce e la nebbia dell’Azerbaigian orientale, la Guida ha detto che nel paese “non ci saranno disagi” e ha invitato gli iraniani a “non preoccuparsi”. In sintesi ha ammesso che il perimetro della politica interna e soprattutto della politica estera lo decide lui (assieme ai pasdaran) e non dipende dal presidente in carica. Sconfessando il voto e gettando la maschera, perché per quasi mezzo secolo la Repubblica islamica aveva spiegato al mondo che la sua democrazia illiberale funzionava così: c’è una selezione preventiva e rigida dei candidati, ma poi il gran numero di persone che si mette in fila per scegliere uno tra quelli ammessi è la prova che il sistema funziona – sono le folle di iraniani alle urne a legittimarlo. Negli anni dei riformisti e fino al 2009 l’affluenza si aggirava attorno al settanta per cento, perché all’epoca non si conosceva in anticipo il vincitore. Da quando il clan di Khamenei – detto anche “il clan di Mashad” dal nome della città della Guida suprema e dell’ex presidente morto nello schianto con l’elicottero – ha completato la monopolizzazione delle istituzioni iraniane, i cittadini non vanno più a votare perché non c’è una ragione per farlo.
 

Dopo il ritrovamento del corpo carbonizzato del presidente  Raisi, secondo l’articolo 131 della Costituzione, la Repubblica islamica ha cinquanta giorni per organizzare nuove elezioni e sei mesi per farle. Per gli ayatollah significa portare il paese a un voto controllato nel momento in cui la legittimità del sistema ha toccato il punto più basso dalla rivoluzione  del 1979. Alle parlamentari dello scorso marzo, le ultime elezioni che si sono tenute in Iran e le prime  dopo la protesta Donna, vita, libertà cominciata quando Mahsa Jina Amini è morta mentre era in custodia della polizia morale nel settembre del 2022, a Teheran soltanto il venti per cento degli aventi diritto si è presentato ai seggi e la metà ha votato scheda bianca. Significa che oggi, nella capitale, il regime viene sconfessato da nove cittadini su dieci.

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