Ansa

che splendida ipocrisia

Il guaio dell'Iran non era il macellaio Raisi ma l'islamismo violento

Claudio Cerasa

La sua vita sua ci ricorda quale mandato d’arresto servirebbe all’Aia. Il presidente iraniano era l’espressione genuina di un preciso algoritmo del terrore di fronte al quale in molti continuano a fischiettare fingendo che il problema sia il dito e non la luna
 

Che splendida ipocrisia chiamarlo “il macellaio”. Che splendida ipocrisia ragionare su ciò che ha rappresentato, durante la sua vita, Ebrahim Raisi, il presidente iraniano morto domenica pomeriggio dopo uno schianto in elicottero al confine con l’Azerbaigian. Che splendida ipocrisia concentrarsi sul numero di iraniani fatti uccidere da Raisi in persona, sul numero di donne torturate per volontà di Raisi, sul numero di omosessuali uccisi per volontà di Raisi, sul numero di volte in cui l’ex presidente ha dato l’ordine di sparare, di caricare, di giustiziare, di uccidere qualcuno per aver tentato semplicemente di far valere, in Iran, la parola libertà. Sarebbe semplice e consolatorio dire che il cattivo era lui, il macellaio, ma chiunque abbia scaricato sulla figura di Raisi, in queste ore, il peso dell’orrore seminato in questi anni dall’Iran lo ha fatto con la volontà esplicita di osservare il dito, e non la luna, e di aggirare dunque il vero tema che pure dovrebbe stare a cuore a chi considera un dovere dell’occidente difendere i diritti umani.

Raisi non era l’espressione astratta di un dittatore disposto a sacrificare la libertà del proprio popolo per affermare la sua personalità. Raisi era l’espressione genuina di un preciso algoritmo del terrore di fronte al quale in molti continuano a fischiettare fingendo che il problema sia il dito e non la luna. Raisi, per chi non l’avesse ancora capito, era il portavoce fedele di una feroce, cupa, retrograda e paurosa ideologia islamista che dal 1979 tiene in ostaggio l’Iran.

Ideologia che dal 1979 ha trasformato l’Iran in quello che sarà fino a che l’occidente continuerà a fare confusione in medio oriente tra chi sono le vittime e chi sono gli aggressori. Tutti gli uomini, le donne, gli omosessuali, gli attivisti, gli ebrei, i cristiani, gli occidentali fatti uccidere dal regime guidato da Raisi in questi anni, e fatti uccidere da Raisi stesso negli anni Ottanta quando era responsabile delle esecuzioni dei prigionieri politici, sono stati uccisi non per un delirio di onnipotenza del presidente, ma perché Raisi non ha fatto altro che rispettare alla lettera i versetti del Corano più amati dalla Guida suprema Ali Khamenei. E lo stesso vale per la politica estera foraggiata dall’Iran: il sostegno a Hezbollah, a Hamas, al Jihad islamico palestinese, agli houthi, alle unità di mobilitazione popolare irachene, al regime di Assad, le fatwe approvate contro gli scrittori che osano criticare il regime, le donne uccise perché osano ribellarsi al velo, la lotta senza quartiere agli americani in medio oriente, a Israele, è tutto funzionale a un disegno più grande al centro del quale non vi è un freddo tema di geopolitica, di dominio del territorio, ma vi è la volontà esplicita di esportare, tutelare e promuovere la rivoluzione islamica, come sancito dalla Costituzione iraniana che identificando nell’islam estremista la risoluzione di ogni problema vede inevitabilmente  l’imperialismo e l’occidente come le radici di tutti i problemi del mondo musulmano. L’opposizione al secolarismo e al liberalismo nasce dalla convinzione che la convivenza tra dar al Islam (terra dei musulmani) e dar al Harb (terra dei miscredenti) sia impossibile. In termini islamici, questa convinzione vede il dar al Islam in uno stato di guerra permanente (jihad) e la pace tra musulmani e non musulmani come irraggiungibile. “Nessun musulmano dovrebbe pensare che la pace sia mai possibile tra l’islam e i miscredenti o tra i musulmani e i miscredenti”, disse nel 1981 l’ayatollah Khomeini.

Per questo nulla cambierà, in Iran, dopo la morte del macellaio. Perché i cambiamenti in Iran non dipendono dall’avvicendarsi dei leader ma dipendono dalla forza con cui i paesi che vogliono liberare il popolo iraniano dai suoi oppressori islamisti metteranno sotto processo il maggiore sponsor statale del terrorismo a livello mondiale (curioso che la Corte penale internazionale emetta mandati di cattura per i leader di paesi democratici, come Israele, e non per i leader di paesi che esportano il terrorismo, come l’Iran) e capiranno che combattere, limitare, sanzionare, ridimensionare  l’islamismo iraniano è l’unico modo per avere maggiore libertà in Iran, maggiore pace in medio oriente e maggiore sicurezza nel mondo. Il dito è Raisi, la luna è l’islamismo: chi la vuole vedere?
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.