Pezzi di ricambio

L'elicottero vecchio, i nuovi programmi per armare gli alleati, come Putin. Le priorità del regime di Teheran

Paola Peduzzi

Il presidente russo ha telefonato subito al neopresidente iraniano Mokhber per ribadire che l’alleanza tra la Russia e la Repubblica islamica d’Iran resterà solida. Gli accordi sui droni e i missili e i consigli iraniani per aggirare le sanzioni, fino a un certo punto

Vladimir Putin, presidente russo, ha telefonato subito al neopresidente iraniano, Mohammad Mokhber, per fare le condoglianze e per ribadire che l’alleanza tra la Russia e la Repubblica islamica d’Iran è e resterà solida. Putin aveva avuto molti contatti – 17 conversazioni negli ultimi due anni, secondo il sito del Cremlino – con Ebrahim Raisi, morto domenica nello schianto dell’elicottero presidenziale. Ma anche il suo successore, Mokhber, ha una certa dimestichezza con Mosca: secondo Reuters, era lui a guidare la delegazione che, nell’ottobre del 2022, andò nella capitale russa a definire i dettagli dell’accordo di fornitura di droni e missili iraniani. In quell’autunno, gli Shahed 136 iraniani divennero parte integrante degli attacchi aerei russi contro le città dell’Ucraina – gli ucraini hanno imparato a riconoscerli dal rumore, li soprannominano “i motorini”.

Secondo le ricostruzioni di allora, gli iraniani diedero anche consigli ai russi su come sopravvivere alle sanzioni, materia su cui avevano e hanno un’esperienza di decenni. Si suppone che c’entrino proprio le sanzioni internazionali riguardo  un dettaglio dell’incidente in cui è rimasto ucciso Ebrhaim Raisi. Secondo gli esperti, l’elicottero “presidenziale” su cui viaggiava – con condizioni meteo avverse e in una zona montuosa che hanno reso molto complicate le operazioni di ritrovamento – è un Bell 212, un mezzo che era stato prodotto dagli Stati Uniti per l’esercito canadese durante gli anni Sessanta (secondo il FlightGlobal 2024 World Air Forces, la Repubblica islamica dispone di dieci elicotteri di questo tipo). E’ un mezzo vecchio che ha bisogno di continua manutenzione e per un paese sanzionato reperire pezzi di ricambio è particolarmente difficile, e alcune parti ormai sono fuori produzione. Naturalmente questo vale anche e soprattutto per le infrastrutture iraniane e una delle ragioni per cui il regime sanzionatorio internazionale viene criticato è proprio per il fatto che rende il paese fatiscente. Quando ci fu l’accordo sul nucleare iraniano tra Teheran e i paesi occidentali, nel 2015, che prevedeva di togliere alcune misure sanzionatorie in cambio del controllo del rallentamento del programma nucleare, anche i meno convinti della buona fede del regime iraniano sui progetti nucleari pensavano che l’alleggerimento delle sanzioni fosse un’occasione per il popolo iraniano, almeno dal punto di vista economico e della vivibilità del paese. La speranza si è rivelata un’illusione perché la priorità del regime degli ayatollah non è mai stata il popolo iraniano.

Karim Sadjadpour, che lavora al Carnegie Endowment ed è uno dei più ascoltati tra gli esperti di Iran, ha commentato domenica sera su X, mentre ancora le ricerche dell’elicottero erano in corso: “Dice molto delle priorità della Repubblica islamica d’Iran il fatto che spenda centinaia di miliardi per sviluppare un nucleare locale, razzi, missili e un programma di droni, ma il presidente del regime e il suo ministro degli Esteri si schiantino a bordo di un elicottero americano Bell fatto nel 1979”.  Di recente Sadjadpour ha scritto un articolo sul New York Times in cui ricorda che la Repubblica islamica è uno dei pochi governi del mondo che si dedica di più alla distruzione di un’altra nazione, cioè Israele, che alla costruzione della propria: “Dopo decenni sotto uno stato di polizia economicamente fallito e socialmente repressivo, il popolo iraniano ha capito che il più grande ostacolo tra sé stessi e una vita normale è la loro leadership, non l’America e non Israele”, scrive. L’obiettivo prioritario è “ideologico e non geopolitico”, è ampio e non ha mai a che fare con i popoli, non quello iraniano ma nemmeno i cosiddetti popoli “fratelli” come quello palestinese: “Al contrario dei governi americano, europei e arabi che finanziano iniziative umanitarie per i palestinesi – scrive Sadjadpour – l’Iran ha versato milioni di dollari per armare e sostenere Hamas e il Jihad islamico: il suo obiettivo non è costruire uno stato palestinese ma demolire Israele”.

Il metodo è stato sperimentato anche altrove. L’alleanza con la Russia inizia in Siria, dove il regime iraniano e quello russo sostengono Bashar el Assad che ha fatto strage dei siriani. In Ucraina questo sodalizio è diventato più forte e più brutale, visto che le armi iraniane sono utilizzate quotidianamente dai russi contro gli ucraini e ne è stato condiviso anche il know how per la produzione in Russia. Nicole Grajewski, ricercatrice del programma sulla proliferazione nucleare al Carnegie, ha raccontato nel libro “Russia and Iran” l’alleanza tra i due paesi dalla Siria all’Ucraina: spiega che gli interessi di sicurezza e la preoccupazione di una instabilità fuori controllo sono alla base del sodalizio, che comprende anche  “la diplomazia economica” ma che in realtà funziona bene soprattutto dal punto di vista militare. E anche sugli schemi di elusione delle sanzioni, che è un altro fronte in cui la collaborazione, e la condivisione di esperienza, si rivela parecchio utile. Anche se non del tutto: le priorità a volte fanno la differenza anche sulla sicurezza personale di un presidente.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi