Salman Rushdie - foto GettyImages

fuori dal coro

“Stato palestinese? Come i Talebani”. Rushdie sveglia i woke

Giulio Meotti

In un'intervista rilasciata alla Bild, lo scrittore ha dichiarato che una "Palesina libera" nel 2024 finirebbe inevitabilmente a orbitare sotto i diktat degli ayatollah iraniani. Forse questo è ciò che i progressisti occidentali vogliono

Non ci sono più molti scrittori che incarnano quello che si intende in inglese con l’espressione “adulti nella stanza”. 
Dopo sette mesi in cui tutti i campus, i giornali, le tv, gli intellettuali, le corti dell’Aia e dell’Onu hanno condannato Israele come la fonte di tutti i mali del medio oriente – se non del mondo –  una voce si alza per dire che il problema è Hamas. E forse coloro che si definiscono “progressisti” dovrebbero pensarci due, tre, quattro volte prima di trovare scuse per un movimento che li metterebbe contro un muro più velocemente di quanto loro potrebbero cantilenare “Palestina libera”. 

La voce è quella di Salman Rushdie. In un’intervista alla Bild, Rushdie ha preso di mira i “giovani progressisti” il cui odio per Israele sconfina con la simpatia per Hamas. “Non c’è molta riflessione profonda da fare”, dice sconfortato. Sì, è “assolutamente giusto”, dice, che le persone siano “angosciate da ciò che sta accadendo a Gaza”, data “la quantità di morti”. Eppure, “vorrei solo che alcuni manifestanti menzionassero Hamas, perché è da lì che è iniziato tutto”. L’uovo e la gallina del 7 ottobre. Rushdie rimprovera i radicali di non aver preso le distanze da Hamas, una “organizzazione terroristica”, ricorda loro lapalissiano, ed è “molto strano che giovani studenti e attivisti progressisti sostengano un gruppo terroristico fascista”. Questo è il tipo di “persone che pensano che tutto sia come negli anni ’30 – Brexit, Trump, il femminismo critico rispetto al genere – eppure quando c’è stato un pogrom che ricordava davvero gli anni ’30  dissero: ‘Bene, cosa ti aspetti?’”. Rushdie poi commette blasfemia: mette in discussione il canto dei nostri tempi, “Palestina libera dal fiume al mare”. Dice di sostenere la creazione di uno stato palestinese, ma come sarebbe una “Palestina libera” nel 2024? “In questo momento, se ci fosse uno stato palestinese, sarebbe gestito da Hamas e questo lo renderebbe uno stato simile ai talebani, un satellite dell’Iran. Ed è questo ciò che i movimenti progressisti della sinistra occidentale desiderano creare?”. La lente destra dei suoi occhiali è oscurata, nascondendo l’occhio che ha perso a causa del feroce attacco al coltello (una “Intifada globalizzata”)  dell’agosto 2022 a New York.

Il suo labbro inferiore pende un po’. Ma quando si tratta di islam radicale, Rushdie  parla e vede meglio del novantanove per cento dei suoi colleghi. 
L’abbiamo già visto. Mentre alcuni liberali occidentali urlavano all’inclusione e al rispetto all’indomani del massacro di Charlie Hebdo del 2015, Rushdie si scagliava contro il “totalitarismo religioso” degli assassini. Mentre l’establishment culturale si schierò a favore della “correttezza politica” con la cancel culture, Rushdie ha denunciato che “la libertà è ovunque sotto attacco” a causa dell’idea altamente illiberale secondo cui “la protezione dei diritti e della sensibilità dei gruppi percepiti come vulnerabili dovrebbe avere la precedenza sulla libertà di parola”.

E ora Lapalisse Rushdie dice che Hamas è un flagello e che una Palestina governata da Hamas sarebbe un disastro. Dovremmo ascoltarlo. Ma forse, visto che sarebbe Israele a dover vivere accanto a una tale mostruosità, pensiamo che non ci riguardi. Come le coltellate a Charlie Hebdo. “Se la sono cercata”, direbbe Guterres. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.