L'editoriale dell'elefantino
A Kharkiv e a Gaza. La pericolosa perdita di logica dei paesi che dicono di voler difendere la nostra libertà
Dire che bisogna poter fissare una linea rossa di divieti per l'impiego di armi vuol dire riconoscere una strana equazione: la Russia è in guerra con noi ma noi non siamo in guerra con la Russia. E sul medio oriente: credere alla prospettiva dei due popoli due stati non tiene conto che l'obiettivo di Hamas è distruggere Israele
La politica non è mai un problema logico. La storia, le passioni, gli inganni, la volontà, la decisione irrazionale, il fanatismo, l’illusione del potere e la manipolazione delle masse, la retorica, impudenza e coraggio: la logica razionale con il principio di non contraddizione non ha un gran posto negli argomenti e nei sofismi arabescati della politica. Ma fino a un certo punto. Oggi sui due fronti più tragici ed esposti della scena del mondo si vede esplodere una negazione anomala della logica. E i capi di governo, i ministri degli Esteri, i funzionari dell’Onu, molti diplomatici, legioni di esperti cadono nel baratro dell’illogicità, del contraddittorio, con una facilità impressionante.
Il primo di due assurdi è la teoria secondo cui chi sostiene la difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa deve avere anche il potere di fissare una linea rossa di divieti per l’impiego di quelle armi, specie se riguardano infrastrutture e obiettivi in territorio russo. E’ il corollario militare della strana equazione che dice: la Russia è in guerra con noi, ma noi non siamo in guerra con la Russia. Il Cremlino di questa equazione e del suo corollario si fa beffe, e giustamente. La cosa non ha alcun significato. Funziona solo come indizio di debolezza, e come tale può essere trattata con minacce di guerra mondiale, come ha fatto di recente l’ineffabile Dmitri Medvedev, la testa calda incaricata di sputare il rospo che per ora Putin si tiene in gola. La Russia in Ucraina non gioca una partita a scacchi in divisa imperiale, non è una pantomima fantasy e il succo dell’aggressione non riguarda la sola Ucraina, che è vittima diretta di una strategia di abrogazione della famosa “catastrofe geopolitica del XX secolo”, cioè la fine dell’impero sovietico e la riconquista della libertà per mezza Europa, quella mezza Europa che è la vittima designata o indiretta dell’espansionismo russo.
Difendere l’Ucraina è per chi fornisce aiuto sostegno e armi lo stesso che difendere l’occidente, con la unica differenza che il tributo di coraggio abnegazione umanità e morte è degli ucraini. Interdire l’uso più efficace delle armi di cui l’esercito ucraino viene in possesso per difendere i suoi confini, il suo territorio, le sue città, gli abitanti e le infrastrutture spietatamente bombardate dai russi è semplicemente un controsenso logico, una indicazione preventiva di resa e di rassegnazione a spese del paese la cui indipendenza e libertà diciamo di voler difendere.
Lo stesso vale per la formula politico-diplomatica che i liberal di tutto il mondo prescrivono per Israele nella tempesta seguita al 7 ottobre, al pogrom efferato che ha scatenato la campagna per la distruzione dei suoi autori, cioè di Hamas. Dicono: due popoli, due stati. Ora, bisogna riconoscere che il governo Netanyahu ha sabotato questa prospettiva, non ci ha mai creduto, ha seguito un’altra linea, che era l’accordo con gli arabi moderati e il superamento della questione per loro improponibile dei due stati. Ma il 7 ottobre ha messo tragicamente in chiaro le cose, ed è illogico ripetere la formula dei due stati dopo quello che è successo. Hamas non vuole due stati, vuole l’annientamento di Israele e del suo popolo. E’ quel che dice, è quel che fa che lo dimostra. E non solo il 7 ottobre, ci sono quindici anni di consunzione della possibilità di una leadership accettabile dei palestinesi, di costruzione della fortezza da cui il pogrom è infine stato lanciato, come sono tuttora lanciati i missili contro le città israeliane. Finché la debolissima e corrotta Autorità palestinese era ancora politicamente viva, finché Hamas non aveva costruito il suo esteso potere, anche in Cisgiordania, in nome di una fanatica islamizzazione del conflitto, secondo la cultura e la dottrina dei Fratelli musulmani e con il corteggio dell’Iran e dei suoi delegati in armi, forse era possibile, cosa di cui Israele è stata sempre meno convinta, attribuire una specie di senso logico alla prospettiva dei due stati, nel solco della storia dei negoziati, peraltro falliti, di Oslo. Ma ora? Ora è una affermazione del tutto illogica, è una specie di fiore all’occhiello per segretari di stato ministri e cancellerie dell’occidente lontano dal conflitto, è la conferma che Dio acceca coloro che vuol perdere, a Kharkiv come a Gaza.