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Il piano di Ursula von der Leyen per garantirsi un bis in Europa

Pietro Guastamacchia

La presidente della Commissione europea scommette sulla rottura di Meloni con le destre. Mentre prova a isolare la Schlein dal Pse dividendo il fronte socialista

Dentro Giorgia e fuori Elly: il piano di Ursula von der Leyen per affinare la sua maggioranza passa anche per Roma e punta a dividere il fronte socialista, approfittando della svolta barricadera presa dal Pd di Schlein che in Europa da mesi vota contro tutti i testi di compromesso mediati dalla Commissione. Il pallottoliere del team elettorale della Presidente della Commissione Ue ha infatti una precisa ispirazione: il voto sul Patto Migrazione e Asilo dello scorso aprile, l’inizio della deriva movimentista di Schlein e l’atterraggio sulla pista dei responsabili della premier Giorgia Meloni. Per Ursula von der Leyen, infatti, il numero magico è 361, ovvero la metà dei seggi dell’Eurocamera più uno. Questo è il traguardo che la presidente della Commissione Ue dovrà raggiungere, probabilmente alla prima sessione plenaria di luglio a Strasburgo, per garantirsi un bis alla guida dell’Ue. 

E per puntare all’obiettivo, nella war room dei consiglieri elettorali di Ursula, i conti si fanno proprio sul tabulato del voto del 10 aprile 2024. Quella nata sul Patto Migrazione e Asilo infatti “sarà la nostra nuova maggioranza,” spiegano al Foglio dal team della presidente. Quel voto infatti è stato uno spartiacque per la governance europea, “è l’unico della legislatura che ci ha tenuti col fiato sospeso” raccontano i popolari. Un voto da cui sono emersi nuovi equilibri e nuovi partner con cui dialogare, ma soprattutto in cui ne sono spariti altri, uno tra tutti: il Partito democratico.
A dare un contributo decisivo per salvare l’accordo sulla gestione comune della migrazione, frutto di anni di negoziato, è stata proprio Giorgia Meloni. Non solo con il via libera del governo italiano nella riunione dei capi di stato, ma grazie anche al supporto degli eurodeputati di Fratelli d’Italia, unici del gruppo Ecr a votare a favore nonostante la contrarietà dei colleghi spagnoli di Vox e dei polacchi del PiS. Infatti, l’obiettivo di von der Leyen è proprio recidere Meloni dal resto del fronte delle destre, soprattutto alla luce delle avances di Marine Le Pen degli ultimi giorni. Dai tabulati del 10 aprile emerge inoltre anche un altro dettaglio: Meloni non fu l’unica a staccarsi dal suo gruppo, sul Patto Migrazione e Asilo arrivò a von der Leyen infatti anche un messaggio da Salvini. La Lega fu l’unica del gruppo Id ad astenersi e non a votare contrario, come invece fecero gli alleati Le Pen e AfD. Uno spiraglio sottilissimo ma che dal “team Ursula” interpretano come un segnale per un possibile sostegno, magari anonimo, favorito dalla votazione a scrutinio segreto.

Il Pd invece lo danno per perso. Parlando alla stampa, il leader dei popolari, Manfred Weber, conferma che “i socialisti italiani hanno deciso di andare all’opposizione e che dipenderà da loro se vorranno tornare al tavolo delle trattative,” ma dietro l’ufficialità delle dichiarazioni, dalla delegazione italiana dei popolari spiegano che il no di Schlein alla prossima Commissione è già dato per scontato: “un Pd che non vota neanche il patto di stabilità del suo stesso commissario, figurarsi se ha le spalle larghe per assumersi la responsabilità di votare una Commissione”.
A spingere von der Leyen verso Meloni c’è dunque anche la ricerca di un partner solido in Italia, visto che i voti di Tajani, sebbene in crescita, non bastano a garantire uno zoccolo di voti adeguato da uno dei grandi Paesi Ue. “Una Commissione che punta a durare deve avere uno spettro di consensi ampio nei Paesi più importanti, non si può governare l’Europa per cinque anni senza un ampio sostegno a Roma,” confessano dai popolari. Il cambio di interlocutore inoltre è anche supportato da una prassi tutta europea, che vede i partiti di governo più inclini a dare la fiducia alla Commissione in quanto coinvolti direttamente nelle trattative in seno al Consiglio Ue, e nella governance dell’Unione. Nel 2019 infatti i socialisti tedeschi, allora all’opposizione mentre in Cancelleria sedeva ancora Angela Merkel, non concessero il loro sostegno alla Commissione von der Leyen, appoggio che invece arrivò dal Pd e dal M5s, che da pochi mesi avevano trovato la quadra per dare vita assieme al Conte II.

Ma contro il piano di von der Leyen di sdoganare Giorgia Meloni si sta alzando una sollevazione socialista. Dal gruppo dei Socialisti e Democratici minacciano di ritirare ‘tout court’ il supporto alla presidente, facendo naufragare il suo progetto. “La nostra linea rimane chiara: non collaboreremo né con l’estrema destra né con chi stringerà accordi con loro”, spiega la capogruppo dei Socialisti Ue, la spagnola Iratxe Garcia Perez. Avvertimento ripetuto anche dalla capodelegazione dei socialisti tedeschi Katarina Barley che, riportando i dubbi del cancelliere Scholz, insiste che i Socialisti Ue “non lavoreranno con l’estrema destra”, commentando le aperture di von der Leyen verso Meloni emerse dall’ultimo dibattito tra i candidati alla guida della Commissione Ue. Ma dal Ppe, per ora, non cambiano rotta; i socialisti spagnoli e tedeschi, d’altronde, sui dossier chiave come il Patto Migrazione e Asilo e il Patto di Stabilità hanno votato con la Commissione. Spd e Psoe inoltre sono al governo e von der Leyen confida di poter trovare la giusta leva garantendo a Berlino e Madrid più spazi di agibilità politica. E verso chi invece ha già scelto la strada dell’opposizione non serve neanche stare a formulare proposte.