La missione

Il Cavour salpa per l'Indo-Pacifico, ma zitto zitto. Meloni non vuole irritare la Cina

Giulia Pompili

Sabato inizia la missione asiatica del Carrier strike group italiano, che parteciperà alle più grandi esercitazioni militari congiunte con le Forze armate del Pacifico. Ma Palazzo Chigi non vuole grandi annunci: il problema è la visita a Pechino della presidente del Consiglio

Sabato prossimo, il 1° giugno, inizierà la lunga missione della portaerei Cavour della Marina militare italiana nell’Indo-Pacifico. E’ la prima volta che la portaerei, ammiraglia della flotta italiana, e il suo Carrier Strike Group – di cui non si conoscono i dettagli – vengono mandati nell’area, ed è un segnale politico significativo in una regione dove da tempo gli alleati richiedono una presenza maggiore da parte delle potenze europee, soprattutto in funzione di contrasto alle attività assertive e aggressive della Repubblica popolare cinese. Da qualche tempo, però, Palazzo Chigi sta cercando di minimizzare la missione italiana. E secondo le informazioni raccolte nei giorni scorsi dal Foglio, c’entra il viaggio  della presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Pechino a luglio prossimo. 


Se ne parlava da tempo, della futura “proiezione italiana” nell’Indo-Pacifico, iniziata concretamente l’anno scorso con l’operazione di cinque mesi della nave Francesco Morosini fra Giappone, Corea del sud e sud-est asiatico. Ma il Morosini, pattugliatore polivalente d’altura, è niente in confronto a un’operazione come quella che si appresta a compiere il Cavour e il suo Carrier Strike Group, in termini di impegno per la Marina e anche di significato politico. Meloni aveva per la prima volta confermato l’invio del Cavour nel Pacifico a febbraio scorso, durante le dichiarazioni alla stampa a Tokyo con il primo ministro giapponese Fumio Kishida, dicendo che l’Italia “sarà sempre più presente nell’Indo-Pacifico”. Poco dopo, però, la missione del Cavour era tornata a essere materia oracolare, nascosta e poco pubblicizzata, sussurrata anche fra gli addetti ai lavori. Curioso, per un’operazione che dovrebbe servire proprio a “una maggiore e migliore presenza italiana, particolarmente nell’anno in cui presiediamo il G7, perché l’Indo-Pacifico è, per la dimensione del Gruppo dei sette, particolarmente importante”, aveva detto la stessa Meloni al punto stampa di Tokyo. 

 


Il problema, molto frequente in questi giorni a Palazzo Chigi, è cercare di arrivare alla visita di Meloni a Pechino, entro un paio di mesi, senza pubblicizzare troppo eventuali posizioni italiane vicine a quelle dell’America e dei suoi alleati, e quindi senza provocare  tensioni con la Cina (nessun messaggio di congratulazioni, per esempio, al nuovo presidente taiwanese Lai Ching-te insediatosi lunedì scorso). E una proiezione di forza in acque complicate come quelle del Mar cinese meridionale o orientale potrebbero provocarle. Ma non solo lì, e basta qualche esempio: all’inizio di maggio un elicottero della Marina australiana stava sorvolando le acque internazionali del Mar giallo nell’ambito di un’operazione delle Nazioni Unite per far rispettare le sanzioni economiche contro la Corea del nord, quando un caccia dell’Esercito popolare di liberazione aveva iniziato a lanciare razzi d’avvertimento sulla sua traiettoria, nel tentativo di allontanarlo. Ci sono state diverse proteste formali del governo di Canberra, anche in virtù di precedenti episodi simili: a novembre dello scorso anno, pochi giorni dopo la visita del primo ministro australiano Anthony Albanese a Pechino, la Marina cinese aveva ferito alcuni sommozzatori australiani con impulsi sonar durante un’operazione vicino al Giappone (Pechino aveva poi negato il suo coinvolgimento).

 

Secondo quanto risulta al Foglio, il Carrier Strike Group italiano nell’Indo-Pacifico toccherà sicuramente un porto militare giapponese e parteciperà alle esercitazioni militari australiane biennali Pitch Black: due anni fa, tra America, Regno Unito, India, Filippine e altri paesi asiatici, alle Pitch Black avevano partecipato soltanto due paesi europei, la Francia e la Germania. E secondo quanto comunicato dalla Flotta del Pacifico degli Stati Uniti la scorsa settimana, è confermata la presenza di Francia e Germania ma anche per la prima volta dell’Italia alle Rimpac 2024, le esercitazioni navali più grandi del mondo in programma dal 26 giugno al 2 agosto nelle isole Hawaii e nelle acque circostanti. In pratica, il governo italiano ha autorizzato la partecipazione di un Carrier Strike Group a esercitazioni che hanno non solo un valore tattico, ma anche politico.  Per Washington, questa decisione da parte di Meloni, unita all’uscita dalla Via della seta cinese, sono sufficienti per tornare a considerare il governo italiano fidato anche nelle relazioni con Pechino. Ma è nei dettagli che si nascondono i timori: in queste ore diversi rapporti delle sedi diplomatiche romane dei paesi G7 parlano proprio di un tentativo di Meloni di galleggiare nell’Indo-Pacifico, senza scontentare né Washington né Pechino e facendo di tutto per evitare che la missione del Cavour si trasformi in un messaggio anti Cina. I prossimi due mesi, prima con la riunione del G7 a Borgo Egnazia con Joe Biden e subito dopo con la visita a Pechino da Xi Jinping, saranno complicati per la coerenza della politica estera italiana. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.