Vladimir Putin e il presidente uzbeco Shavkat Mirziyoyev - foto via Getty Images

Diplomazia e affari

L'Uzbekistan accoglie Vladimir Putin ma poi va a trattare con l'Ue a Roma 

Davide Cancarini

Il presidente uzbeco accoglie in pompa magna il capo del Cremlino alla vigilia del summit tra l'Italia e le cinque repubbliche dell'Asia centrale. Strategie ed equilibri

Dopo quelle compiute in Cina e Bielorussia, la terza visita all’estero del presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, dall’ottenimento del suo quinto mandato presidenziale si è svolta in Uzbekistan. E il leader del Cremlino è stato accolto con toni entusiastici, con il presidente uzbeco, Shavkat Mirziyoyev, che ha definito la visita “un evento storico che dà il via a una nuova èra di cooperazione”. Gli accordi siglati tra i due paesi hanno raggiunto un controvalore pari a oltre 20 miliardi di dollari, e Mosca si è detta disponibile ad aumentare il quantitativo di gas naturale che dallo scorso anno fornisce a Tashkent. Un passo inedito è stata l’intesa che porterà la Russia a costruire una centrale nucleare sul territorio uzbeco: l’opera, che servirà alla repubblica post-sovietica per trovare nuove vie di soddisfacimento del crescente fabbisogno energetico interno, sarà la prima di questo tipo in Asia centrale. E questo nonostante tanto l’Uzbekistan quanto il Kazakistan siano produttori ed esportatori di uranio e necessitino di diversificare le fonti di energia a cui possono attingere per alimentare le rispettive economie in crescita.
 

È significativo che a occuparsi della realizzazione di un impianto strategico come una centrale nucleare sia proprio la Russia, che nella regione centroasiatica trova ancora margini per esercitare la propria influenza nonostante l’isolamento internazionale a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Influenza sia economica sia politica. Putin ha infatti definito l’Uzbekistan un partner fondamentale e affidabile e ha voluto rassicurare Mirziyoyev sul trattamento dei migranti economici uzbechi presenti in Russia, fatti oggetto di discriminazioni e vessazioni crescenti dopo l’attacco al Crocus City Hall del marzo scorso compiuto, pare, da un commando di cittadini del Tagikistan. Il peso che le rimesse inviate in patria dai lavoratori migranti hanno sui bilanci delle cancellerie regionali fa capire il legame che ancora, almeno a riflettori accesi, lega le capitali centroasiatiche a Mosca. Un legame che dal punto di vista economico fa sempre più comodo anche alla Federazione russa, considerato in primo luogo che la manodopera kirghisa, tagica o uzbeca va a riempire sacche di mancanza di forza lavoro in determinati settori dell’economia nazionale, come quello dell’edilizia o della ristorazione. Bisogna sottolineare poi che l’Uzbekistan è uno dei paesi più coinvolti nell’aggiramento delle sanzioni internazionali contro il Cremlino. Nel primo anno a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, il fatturato commerciale lungo la rotta Mosca-Tashkent è aumentato del 23 per cento, con le esportazioni uzbeche di auto e attrezzature elettriche addirittura salite di un valore pari a 21 volte.
 

Non stupisce che un paese come l’Uzbekistan, con una storia alle spalle di egemonia coloniale da parte della Russia e una localizzazione geografica che non ne favorisce certo la capacità di manovra, debba cercare di mantenere buoni i rapporti con il vecchio dominatore. Ma proprio per questo la diplomazia occidentale, e soprattutto europea, sta lavorando molto con i paesi centroasiatici nel tentativo di limitarne la dipendenza dalla Russia. Una coincidenza temporale riguarda anche l’Italia.
 

Inizia oggi a Roma, infatti, un nuovo appuntamento del format “1+5” quello comprendente il nostro paese e le cinque repubbliche dell’Asia centrale, a cui l’Uzbekistan arriva appunto avendo appena accolto il leader russo. Il summit, che verrà svolto a livello di ministri degli Esteri con il coinvolgimento quindi per l’Italia del ministro Antonio Tajani e degli omologhi centroasiatici, si inserisce in un ruolo di primissimo piano che almeno dal 2019 Roma svolge nella regione, prima tra tutti i paesi europei. Al forum multilaterale che cade con cadenza periodica si accompagnano infatti visite molto frequenti in Italia dei leader dell’area: ultimi in ordine di tempo, l’uzbeco Mirziyoyev a giugno 2023, visita ricambiata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Uzbekistan a novembre dello stesso anno. E poi il kazaco Kassym-Jomart Tokayev lo scorso gennaio e il tagico Emomali Rahmon a fine aprile, poche settimane dopo il già citato attacco moscovita che ha fatto finire il Tagikistan nei notiziari di tutto il mondo.

Roma è tra i partner economici principali della regione e soprattutto del gigante economico ed energetico locale, il Kazakistan, posizionandosi terza dietro a Cina e Russia per l’interscambio con quest’ultimo.
 

La nostra diplomazia si è fatta però anche promotrice del cosiddetto Corridoio di mezzo, una fitta rete di infrastrutture ferroviarie e di linee marittime che dovrebbero rappresentare l’ossatura di un collegamento tra Europa e Asia attraverso l’Azerbaigian e l’Asia centrale. Obiettivo: aggirare le infrastrutture russe. Un impegno, quello italiano, che trova sponde anche a livello di Unione europea, con Bruxelles che si è impegnata a investire sul Corridoio di mezzo dieci miliardi di euro nell’alveo del suo piano logistico Global Gateway. Tutto contribuisce agli equilibri della regione, compreso il corteggiamento nei confronti dell’Asia centrale, e l’Italia è tra i paesi maggiormente coinvolti.

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