reportage
Viaggio a Ruili, una delle scam city cinesi patria di truffe e criminalità online
Cronache da una delle 300 città-prigione al confine con la Birmania, dove schiavi informatici operano nel "mercato" delle frodi, del gioco online, del traffico di esseri umani e di organi, fra torture e politica
“La città pullula di trafficanti d’ogni tipo. Un giornalista è la loro ultima preoccupazione”, sdrammatizza uno di quei personaggi che hanno girato l’Asia abbastanza a lungo da sapere come qui vanno le cose. Secondo lui è per questo, per assicurarsi che non sei un trafficante di qualche tipo, che, appena arrivato nell’albergo di Ruili, ti hanno convocato nella più vicina stazione di polizia per un controllo che si protrae per quasi due ore. Secondo la polizia, invece, è per la tua sicurezza. Perché c’è la guerra in Birmania.
Ruili, poco meno di 300 mila abitanti, all’estremo sud della provincia cinese dello Yunnan occidentale, confina con gli stati birmani Shan e Kachin, territorio dei wa, gli shan, i kokang, etnie organizzate in potenti milizie finanziate con il traffico di droga. Da secoli combattono con ferocia contro qualunque potere esterno, a volte decidono di allearsi con il governo centrale per poi infrangere le alleanze. E la fascia di confine con lo Yunnan diventa di volta in volta rifugio o zona off limits, popolata di trafficanti e rifugiati. Proprio come sta accadendo negli ultimi tempi.
Come se la situazione non fosse già abbastanza complicata, l’albergo di quel giornalista non si trova proprio a Ruili, bensì a Jegao, un’unghia di territorio cinese in Myanmar, tra un fiume e il confine segnato da un portale in stile pagoda. Un portale che è chiuso più o meno rigorosamente da ottobre, da quando gli scontri tra Tatmadaw, l’esercito della giunta, e le milizie etniche della Brotherhood Alliance che controlla quasi duecento chilometri di territorio birmano alla frontiera con la Cina, si sono intensificati. Nel novembre scorso, quindi, l’Esercito popolare di liberazione cinese ha organizzato esercitazioni a fuoco sul confine dello Yunnan come monito rivolto sia alla giunta sia alle milizie etniche. E Jiegao, com’era accaduto durante il Covid, è ancora una volta una città fantasma, dove l’impressione spettrale è amplificata dal sibilo di auto e motorini elettrici.
Trafficante o giornalista che tu sia, questa situazione crea problemi, ma offre opportunità. Ruili e tante altre città e villaggi disseminate lungo i confini della Birmania con Cina, Laos e Thailandia, in territori ancora in parte selvaggi, coperti da dense foreste, habitat di specie minacciate da cacciatori di frodo come il bucero gigante, con montagne che raggiungono i 5.800 metri, sono il perfetto ecosistema per trafficanti di metamfetamine, oppio, legname, organi ed esseri umani che alimentano prostituzione e gioco d’azzardo. Ruili era la città di giada, centro di un commercio che Global Witness aveva valutato in circa 31 miliardi di dollari, alimentato dall’ossessione dei cinesi per questa pietra che ritengono portatrice di ogni fortuna e benessere e al cui culto sono state sacrificati migliaia di uomini, morti nelle miniere nel nord della Birmania. Shadowlands, terre d’ombra, è la conradiana definizione con cui sono state denominate quelle terre divenuti luoghi letterari, cuori di tenebra, scenario di inchieste e reportage.
Città e villaggi lungo i confini della Birmania con Cina, Laos e Thailandia sono il perfetto ecosistema per i trafficanti
Il Covid sembrava avere messo fine a storie e traffici. Era molto difficile alimentarli in un mondo in lockdown. Tanto più in Cina, dove la politica Zero Covid assumeva forme concentrazionarie. Ruili fu sottoposta a sette lockdown e i residenti furono costretti in casa per un totale di 119 giorni. Il 30 marzo del 2021 il ponte che connette Jiegao al resto di Ruili fu addirittura chiuso. Ancor oggi i pochissimi migranti che lavorano nelle fattorie e nelle fabbriche di Ruili per entrare devono sottoporsi a un controllo medico oltre che a un test antidroga.
In quel periodo il virus si adattò alle nuove condizioni e fu così che le “Vice City” mutarono in “Scam City”, città della frode. Termine meno romantico e inquietante, per una nuova, spaventosa forma di criminalità. Secondo il rapporto presentato il 13 maggio scorso dallo United States Institute of Peace (Usip), via di mezzo tra il centro ricerche, l’organizzazione assistenziale e l’agenzia d’intelligence, “negli ultimi dieci anni, il sud-est asiatico è diventato terreno fertile per le reti criminali transnazionali provenienti prevalentemente dalla Cina. Queste organizzazioni prendono di mira milioni di vittime in tutto il mondo con giochi d’azzardo online illegali e sofisticate operazioni di truffa. Alla fine del 2023, una stima per difetto del loro valore annuo si avvicinava ai 64 miliardi di dollari”.
Le Scam city, oltre 300 disseminate lungo i confini birmani con Cina, Thailandia e Laos, ma diffuse anche nel resto del sud-est asiatico, sono città prigione dove circa centomila schiavi informatici operano nelle frodi e nel gioco online. Gli schiavi sono soprattutto giovani, qualificati in marketing digitale, assistenza alla clientela, traduzioni, con una discreta conoscenza dell’inglese e possibilmente di altre lingue, capaci di creare relazioni con le persone, anche di altre nazioni. Attratti con l’offerta di un lavoro ad altro profitto, sono poi trattenuti con minacce, stupri, torture. In casi estremi vengono uccisi e i loro cadaveri sono merce per i trafficanti d’organi. Generalmente, dopo un primo passaggio in località come Dubai, le vittime vengono trasferite in Thailandia e infine nelle Scam City birmane, dove vivono negli alberghi e nei condomini chiusi durante il Covid, riconvertiti e fortificati per ospitare un numero di residenti almeno dieci volte più numeroso, controllati dagli uomini della Border Guard, una filiazione di milizie etniche a disposizione del miglior offerente. Un rapporto dell’Interpol del 2023 descrive il fenomeno come un traffico di esseri umani che coinvolge tra le 75.000 e le 250.000 persone, e che si è sviluppato come un cancro in Asia del Sud, medio oriente, Africa e oltre ancora.
Le vittime vengono ricattate, in casi estremi uccise e i loro cadaveri diventano merce per i trafficanti d’organi
L’orrore delle Scam city è stato rivelato nei video diffusi da Cnn, al Jazeera e Bbc e realizzati proprio all’interno delle città. Sembrano quasi degli snuff movie, tanto da creare dei dubbi che abbiano potuto realizzarli persone in condizione di schiavitù. “Non è così improbabile considerando i lavori che fanno quelle persone. Per loro non dev’essere un problema nascondere un telefonino, fare delle riprese e diffonderle di nascosto”, dice al Foglio Jason Tower, responsabile dei programmi Usip per la Birmania, un uomo che ha maturato la sua esperienza studiando i network criminali transnazionali in Cina e sud-est asiatico. Tower però aggiunge una spiegazione ben più inquietante. “È anche possibile che quei video siano usati per ricattare i parenti delle vittime. I più violenti potrebbero essere usati come forma di dissuasione. Quelli delle torture potrebbero essere venduti sul dark web”.
L’orrore delle Scam city è stato rivelato nei video diffusi da Cnn, al Jazeera e Bbc, quasi degli snuff movie
Le altre vittime sono le centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo intrappolate col gioco d’azzardo online, speculazioni sulle valute e le criptomonete, truffe di ogni genere, ricatti, irretite in storie di sesso e di seduzione virtuale. In alcuni casi le vittime sono gradualmente costrette a indebitarsi. A volte sino a essere forzate a vendere gli organi per potersi affrancare. Una tecnica diffusa è quella di convincerle all’acquisto di false criptovalute per operare in piattaforme d’investimento fraudolente. Non a caso le truffe di questo tipo sono chiamate col termine cinese di shazhupán, la macelleria dei porci, perché le vittime vengono “nutrite” d’illusioni, prima di essere “macellate”.
In Asia si comincia addirittura ad analizzare il fenomeno in termini psicosociali. L’atavico amore per il gioco, spesso connesso a forme di divinazione, oggi ha assimilato il culto di internet. I social, WeChat, i QR code, le criptovalute sono divenute nuove manifestazioni magiche, di cui non si comprende la natura o il funzionamento ma a cui ci si affida in ogni aspetto della vita, spiriti cui si fanno offerte sperando di essere ripagati, ma che si riveleranno inevitabilmente malvagi.
Le Scam city, inoltre, producono fiumi di denaro che le triadi cinesi e le narcomilizie birmane riciclano nella stessa Birmania, in Cambogia, Thailandia, Laos, Vietnam ma anche in hub finanziari come Singapore, Hong Kong e Dubai. “Sono riuscito a vendere la casa a Yangon. L’hanno comprata i kokang. Si sono comprati tutte le case attorno, ne avrebbero comprate altre se ce fossero state”, confessa un espatriato che aveva fatto fortuna in Birmania ed è stato costretto ad abbandonare quello che aveva costruito in anni di lavoro per cederlo alla famiglia di un boss di quell’etnia.
Ancora una volta Ruili sembra essere il luogo dove tutte le trame si intrecciano come nella tela di un ragno. Ma più che storie esotico-malavitose si presta a un saggio di geopolitica. È lo snodo della Burma Road, la strada costruita dagli inglesi nel 1937 per collegare India e Cina: 1.730 chilometri attraverso le giungle birmane. Oggi è il terminale di quel tratto della Via della seta cinese che connette la Cina all’Oceano indiano, il condotto in cui transitano gas, petrolio e merci indispensabili ad alimentare l’apparato militare e industriale della Repubblica popolare.
Ruili, insomma, è uno dei centri di diffusione del potere cinese nel sud-est asiatico, uno dei punti da cui si diffonde “l’effetto increspatura”. Così è stato chiamato nel saggio di Enze Han, professore all’Università di Hong Kong, “The Ripple Effect: China’s Complex Presence in Southeast Asia”, secondo cui a smuovere le acque è un complesso di fattori che oltre al governo centrale include le imprese controllate dallo stato, capitali privati, le organizzazioni criminali e i gruppi di cinesi stabiliti fuori dei confini della madrepatria.
“Per i cinesi è una forma di estensione del potere, il network criminale si è incorporato nei sistemi politici e finanziari del sud-est asiatico e del più vasto Indo-Pacifico”, dice al Foglio Jason Tower. Paradossalmente anche questo può integrarsi nella “Iniziativa di sicurezza globale per una nuova èra”, il progetto di politica estera concepito da Xi Jinping ada affiancare a quello infrastrutturale globale della Via della seta.
Ruili è uno dei centri di diffusione del potere cinese nel sud-est asiatico. L’iniziativa di sicurezza di Xi passa da qui
Il problema sta cominciando a preoccupare seriamente il governo americano. Sia per le implicazioni nello scenario strategico dell’Indo-Pacifico sia perché il problema delle truffe online potrebbe ben presto divenire ancor più pericoloso di quello rappresentato dal Fentanyl. Ma ogni storia ha la sua nemesi e la Cina sta sacrificando alla sua milioni di cittadini vittime delle truffe e del crimine organizzato. “Tra i cinesi ci sono sia vittime sia carnefici”, dice Tower. Il problema è che qualche volta le figure si confondono, anche perché la reazione è ambigua: “In alcuni casi la repressione colpisce solo i più deboli nella gerarchia criminale, in altri casi è manovrata in funzione degli interessi del Partito”. Per il momento la Cina è intervenuta soprattutto nelle sue zone di confine con il Myanmar. Secondo l’ultimo rapporto dell’Usip, tra maggio 2023 e gennaio 2024 la Cina è intervenuta contro gli scam center che operavano lungo i suoi confini nelle aree Kokang, Mong La e Wa nel nord dello Shan State, proprio quelle che si raggiungono dallo scenografico portale di Jiegao.
“Tolleranza Zero alla presenza delle ‘famiglie mafiose’”, proclamava un titolo del “Global Times”, organo ufficiale del Partito comunista cinese, il 1° febbraio scorso. Annunciava una serie di operazioni, anche condotte in collaborazione con la polizia e l’esercito birmano, avevano portato alla cattura e all’estradizione di almeno 45 mila persone, compresi i capi della “quattro famiglie” che controllavano le attività criminali. L’operazione è stata anche la copertura per una vasta operazione di intelligence sul coinvolgimento dei militari nei centri delle truffe online e del crimine organizzato. Secondo fonti cinesi in questo modo si è riequilibrato il tradizionale “Pauk-Phaw”, quella speciale relazione tra Cina e Myanmar, del tutto asimmetrica, che si regge su una sorta di patto di mutua convenienza. Che quel patto fosse stato messo in discussione era stato dimostrato da un film di produzione cinese del 2023 “No More Bets” (su YouTube e altre piattaforme), storia di un programmatore e modello cinese che diventa schiavo di una Scam city “in un paese straniero” che sembra proprio la Birmania, dove i cattivi sono gli uomini della Border Guard, la milizia alleata dei militari.
La campagna nel nord della Birmania al confine con Cina ha avuto anche un altro effetto: ha spostato il centro delle operazioni criminali a Sud-est, nello stato Karen, sul confine thailandese, dove sono attivi una dozzina di Scam Center. Un cambiamento di fronte che non è avvenuto in modo incruento. È stato proprio questo, a quanto pare, che ha determinato offensive e controffensiva tra l’esercito birmano e le milizie etniche, che per un momento è apparso come l’inizio della fine per la giunta. Il tutto, invece, si è risolto con la riconquista dei territori da parte dell’esercito, favorito dall’ennesimo cambio di fronte, bandiera e acronimo delle milizie guidate dal general Maung Chit Thu. Un’ulteriore prova di come la guerra civile birmana si stia metastatizzando in una guerra per bande.
Nel frattempo, proprio per il controllo che i nuovi “signorotti” della guerra come Chit Hut esercitano sulle Scam city, nulla di nuovo si segnalava sul fronte di Shwe Kokko. Se n’è parlato tanto, anche sul Foglio. Non fosse altro perché è facilmente raggiungibile. Si trova 13 chilometri a nord della città thailandese di Mae Sot, a un’ora di volo da Bangkok. Chiuso in un’ansa del fiume Moei rientra in una delle Zone economiche speciali che si sovrappongono topograficamente alle Special Economic Zones progettate dagli strateghi della Via della seta cinese. Proprio tra Shwe Kokko e Mae Sot, infatti, passa il corridoio che collega la Birmania al centro della Thailandia è da là si dirama verso Laos, Vietnam, Yunnan.
L’idea di questa storia nasce proprio qui, più di un anno fa, osservando Shwe Kokko dalla riva thai del fiume Moei. I palazzi in acciaio e vetro blu, le costruzioni in stile pagoda, qualche giardino, condomini. Tutto faceva pensare a una città-casinò. L’idea era di visitarla come turisti animati più o meno dalle stesse passioni. “Vi ritroverebbero sul fiume a galleggiare. Magari senza reni e fegato. È già accaduto”, fu l’avvertimento di Jason Tower.
Alla fine di questa storia, come in tutte le trame che intrecciano intrighi internazionali, organizzazione segrete, luoghi selvaggi, traffici occulti, c’è un altro finale che prelude a un seguito. In questo caso è il cosiddetto “Myanmar’s Uranium Mystery”. Così s’intitola un’inchiesta di Frontier Myanmar che riporta le accuse del dipartimento di Giustizia americano secondo cui un boss della Yakuza, la mafia giapponese, avrebbe tentato di trafficare in “materiali nucleari, compreso uranio e plutonio adatto alla fabbricazione di un’arma nucleare”. Una storia, secondo Frontier, “quantomeno credibile”, perché recenti rilevazioni geologiche hanno confermato diversi depositi di uranio in territorio Shan.
Per onore di cronaca, va aggiunto un ulteriore finale, di quelli che scorrono nei titoli di coda, in cui gli attori appaiono in situazioni spesso ridicole: poche ore dopo la conclusione del viaggio a Ruili la carta di credito del giornalista che era stato tanto controllato dalla polizia locale, è stata bloccata per un tentativo di frode.