Sul fronte

Il capo del Partito della guerra è Putin

Paola Peduzzi

Allarmismi e putinismi vari descrivono Macron  come il guerrafondaio in chief e la Nato come un covo di dottor Stranamore. Mosca intanto ammassa truppe al confine con Kharkiv sfruttando il vantaggio più prezioso: l’impunità

I paesi dell’Alleanza atlantica si sono imbarcati in un nuovo giro di escalation”, ha detto ieri il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, “lo fanno di proposito, continuano a rilasciare dichiarazioni bellicose, incoraggiano in ogni modo possibile l’Ucraina a continuare questa guerra senza senso: tutto questo avrà delle conseguenze e saranno estremamente dannose per questi paesi”.

Se vi sembra di sentire  queste parole di continuo su bocche diverse da quella del megafono di Vladimir Putin è perché il dibattito s’è capovolto: a furia di cautele, restrizioni, paure, allarmismi, ripensamenti e silenzi, la Russia può dire impunita che i guerrafondai siamo noi della Nato, lei che ha invaso l’Ucraina senza alcuna ragione se non un’ambizione brutale, nostalgica e coloniale di riconquista. E più ripete questa falsa oscenità – accompagnandola con bombardamenti indefessi su supermercati e palazzi in tutta l’Ucraina – più si alza il coro di chi denuncia il cosiddetto “Partito globale della guerra”, cioè la Nato, cioè noi. La Russia fa la guerra e noi che cerchiamo di difenderci e di vincere siamo i guerrafondai.

Il presidente francese, Emmanuel Macron, si presenta davanti alle telecamere con una mappa per spiegare una cosa semplice – se i russi riescono a lanciare bombe da aerei che restano nello spazio russo ma straziano una regione ucraina, o riusciamo a colpirli o non possiamo difendere la regione ucraina – e prepara i piani per mandare militari ad addestrare gli ucraini per l’utilizzo delle armi per difendersi (li vuole presentare a Volodymyr Zelensky il 6 giugno, in occasione dell’80esimo anniversario del d-day, cioè del giorno in cui i soldati alleati, moltissimi ragazzi, sono morti ammazzati a migliaia nello sbarco in Normandia per venirci a salvare dal nazismo), ma oggi risulta il capo del Partito della guerra, il guerrafondaio in chief che porterà gli ucraini e gli europei alla malora.

I ministri degli Esteri della Nato si riuniscono a Praga per decidere una nuova strategia efficace per contrastare l’ennesima offensiva russa contro l’Ucraina – anche qui, cose semplici: usare le armi fornite all’esercito ucraino dove servono, dotarsi di una difesa aerea degna di questo nome, cosa che a guardare i numeri la Nato non ha – e sembra che si riunisca un gabinetto occidentale di guerrafondai assetati di sangue ucraino.

Il Partito globale della guerra –  cioè noi e non la Russia con i suoi alleati, la Cina, l’Iran, la Corea del nord, i paesi neutrali silenti – è la formula recente che riassume il messaggio putiniano: l’occidente provoca, Mosca si deve difendere. Per molto tempo, anche i putinisti iniziavano le loro elucubrazioni dicendo: “La Russia aggredisce, l’Ucraina è aggredita, ma”, ora la premessa è saltata, si va dritti al punto: l’occidente costringe gli ucraini a una guerra “senza senso”  per imporre il proprio dominio sulla Russia. Il concetto di Partito globale della guerra si è imposto negli ultimi mesi nelle conversazioni dei leader che si definiscono tessitori di pace: in una formulazione più sfumata, c’era nell’incontro che c’è stato alla fine dell’inverno a Mar-a-Lago tra il premier ungherese Viktor Orbán e il candidato repubblicano alle elezioni americane, Donald Trump, quando si trovarono d’accordo sul fatto che fosse necessario smettere di dare armi e fondi all’Ucraina, come vogliono i provocatori occidentali, per arrivare alla pace. E’ appena il caso di menzionare che cosa ha detto Trump a un recente fundraising per la sua campagna elettorale: se fossi stato io il presidente “avrei bombardato Mosca e Pechino se la Russia avesse invaso l’Ucraina o la Cina avesse invaso Taiwan”, ha detto il candidato repubblicano convinto di poter fare la pace in due giorni con Putin, pronto a sospendere gli aiuti all’Ucraina per far tacere le armi e megafono di chi definisce il conflitto in Ucraina “la guerra di Joe Biden” con più frequenza rispetto a quanto la definisca la guerra di Putin.

Per Trump vale sempre il fattore imprevedibilità, mischiato a confusione e volubilità, Orbán al contrario è ben più coerente. Da tempo non soltanto si mette di traverso a ogni azione comune europea di sostegno all’Ucraina, ma infarcisce queste sue scelte di retorica “pacifista”, dicendo che l’unico modo per salvare gli ucraini e garantire loro la pace è fermare il Partito globale della guerra, cioè l’occidente. E’ lo stesso Orbán che al magazine francese Point di questa settimana dice: “Il futuro del fronte sovranista in Europa, e della destra in generale, è nelle mani di due donne”, Giorgia Meloni e Marine Le Pen, che devono lavorare insieme e creare una forza comune, in modo che sia più alto “il numero di europarlamentari che vogliono fermare la guerra”.

In Georgia, il partito al governo Sogno georgiano utilizza questa formula del Partito globale della guerra con estrema disinvoltura e mentre introduce leggi d’ispirazione russa per annichilire l’opposizione e la società civile, dice che l’occidente vuole trasformare la Georgia in un “secondo fronte” della guerra a Putin. Bidzina Ivanishvili, il fondatore di Sogno georgiano e l’architetto della torsione illiberale cui costringe i georgiani, ha detto in un discorso pubblico a fine aprile: “Negli ultimi anni, la Georgia ha affrontato una lotta durissima per evitare la guerra e mantenere la pace. Il Partito della guerra globale ha un’influenza decisiva sulla Nato e sull’Ue e  vede la Georgia e l’Ucraina solo come carne da cannone. Nel 2008 gli esponenti di questo partito hanno fatto entrare la Georgia in un confronto con la Russia e nel 2014 e nel 2022 hanno messo l’Ucraina in una situazione ancora più difficile. La ragione principale dell’aggressione del Partito della guerra globale nei confronti della Georgia è che non è riuscito a trasformare la Georgia in un secondo fronte nonostante ci abbia grandemente provato”. Nel 2008, Putin invase l’Abkhazia e l’Ossezia del sud – che tuttora occupa – ma oggi anche quella guerra è raccontata come una provocazione occidentale.

Secondo il Financial Times, la Nato ha bisogno di una accelerazione non da poco, se è vero che ha soltanto il 5 per cento delle difese aeree che le servono per difendere il suo fronte a est. Biden sta preparando un accordo bilaterale di sicurezza con Zelensky, da firmare a margine del G7 in Italia, in un momento in cui le tensioni tra alleati sono piuttosto alte, a causa anche delle restrizioni che gli Stati Uniti continuano a imporre sull’utilizzo delle armi fornite da loro. Putin ammassa truppe al confine con la regione di Kharkiv, colpisce senza sosta obiettivi civili e strategici, conta ancora una volta sul fatto che l’occidente finisca per concedergli il vantaggio più prezioso: l’impunità.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi