Il leader della Cdu Friedrich Merz - foto via Getty Images

Tra Berlino e l'europa

Capire le rivoluzioni della Germania che (forse) verrà attraverso le parole di Merz (Cdu)

Francesco Galietti

Le elezioni tedesche saranno l'anno prossimo le elezioni regionali potrebbero provocare un cambio di leadership dei cristianodemocratici. Ma Friedrich Merz sta già piantando i primi semi per la cancelleria, spiegando quali saranno le principali sfide di politica estera: tre punti

Salvo che si verifichi una poco usuale fine anticipata della legislatura, le elezioni politiche tedesche si terranno l’anno prossimo. Nei sondaggi i cristiano-democratici della CDU hanno doppiato i social-democratici della SPD, ma il leader della CDU Friedrich Merz è atteso dalle fatiche di Ercole delle elezioni regionali in Sassonia, Brandeburgo e Turingia, dove si tratterà di arginare la destra massimalista dell’AfD. Se Merz riuscirà nell’intento, la strada verso il cancellierato sarà in discesa. In caso di flop, invece, il testimone potrebbe passare al governatore cristiano-sociale della Baviera Markus Söder o quello della Renania Settentrionale-Vestfalia, Hendrik Wüst. Con un certo anticipo sui tempi, tuttavia, Merz ha già enunciato le principali sfide di politica estera che lo attenderebbero come cancelliere. Ci sono tre aspetti degni di nota, che aiutano a capire meglio come una certa Germania oggi pensa se stessa, l’Europa e il mondo. Il primo aspetto ha a che fare con gli USA, il secondo con il Regno Unito e il terzo con la Francia. Procediamo con ordine.
 

Usa: Merz ha più volte lanciato appelli per un rafforzamento dei rapporti economici tra le due sponde dell’Atlantico. A volte è parso che volesse riproporre il TTIP (la transatlantic trade and investment partnership che non è mai decollata), altre volte che avesse in mente un accordo diverso. Merz è un convinto atlantista, ma i suoi appelli riflettono prima di tutto uno stato di necessità. L’economia tedesca oggi è infatti costretta a ripensare drasticamente il proprio modello economico. Ciò sia per il venire meno del gas russo a prezzi calmierati, sia perché si è fatto insostenibile lo status della Cina come gigantesco mercato di esportazione. Le ragioni principali sono la guerra commerciale in atto tra USA e Cina, e la volontà della stessa Cina di affermarsi come superpotenza esportatrice e insidiare così le posizioni di forza dell’industria tedesca. Per compensare il venire meno della Cina, l’industria tedesca ha dunque bisogno che il mercato statunitense si apra di più, e velocemente. Toccherà tuttavia aspettare la fine della campagna per le presidenziali USA, che per il vero è battagliata a suon di tariffe sulle importazioni: esorbitanti sui prodotti cinesi, comunque salate su quelli europei.
 

Gran Bretagna: Merz ha da poco riconosciuto che i molti Nein tedeschi in Europa hanno contribuito a rinforzare le spinte per la Brexit nel Regno Unito, culminate nel referendum del giugno 2016 che ha sancito l’uscita dell’Inghilterra dalla UE. Il mea culpa di Merz va inquadrato in un più ampio processo di riconciliazione tra Londra e Berlino, che ha fatto registrare anche momenti simbolici, come il discorso in tedesco di Re Carlo al Bundestag tedesco. Ciò detto, Londra non intende abdicare alla sua tradizionale sfera di influenza, che abbraccia i Paesi scandinavi, il Baltico e la Polonia. Pertanto sul fronte inglese la sfida per Merz sarà quella di gestire la ri-convergenza con Londra riducendo quanto più possibile frizioni e contraccolpi.
 

Francia: su questo versante, per Merz il dilemma sembra invece quello di dover gestire la divergenza da Parigi senza tuttavia compromettere l’asse franco-tedesco. Nella sua recente visita a Berlino, Emmanuel Macron ha fatto di tutto per far apparire salvo il matrimonio Parigi-Berlino. Si tratta nel migliore dei casi di una operazione di cosmesi. A Parigi infatti non piacciono le modalità di riarmo della Germania, che assegnano molto spazio e risorse agli F-35 americani a scapito dell’industria militare francese, né l’offensiva diplomatica di Berlino in Africa per preparare il campo a insediamenti industriali tedeschi. Ma per capire perché il nervo sia così scoperto occorre tornare al lontano 1956, cioè alla Crisi di Suez che consacrò la primazia statunitense e declassò Londra e Parigi. L’establishment britannico trasse da quella batosta una conclusione opposta rispetto a Parigi.
 

Londra, infatti, scelse cioè di fare coppia fissa con Washington, esercitando influenza ‘da dentro’ sul fratello maggiore. La Francia invece puntò a divenire il riferimento principale di un ‘terzo polo’ che per un verso conferisse a Parigi un peso adeguato sulla scena internazionale, e per altro verso consentisse di ovviare a debolezze interne (nel secondo dopoguerra l’economia francese era ancora malconcia, e il Paese era attraversato da forti tensioni legate alla gestione del dossier algerino). Nella testa del Generale De Gaulle prese corpo una dottrina nominalmente europea, in realtà basata sul tandem franco-tedesco. Alla Francia, nella ripartizione interna dei compiti, toccavano l’alta strategia, gli esteri e la difesa. Ai tedeschi invece spettava l’economia. Merz, che è espressione diretta dell’establishment politico-economico tedesco, ne è pienamente consapevole. Scholz, il cancelliere uscente, passerà probabilmente alla storia come colui che ha evocato una profezia, quella della Zeitenwende, il cambiamento epocale, senza riuscire a governarla. Merz sembra voler evitare formule solenni, ma ha le idee molto chiare su cosa lo attende.

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