la mediazione

Cosa ha proposto Israele a Hamas

Micol Flammini

Tre fasi per il ritorno degli ostaggi, cessate il fuoco e ricostruzione di Gaza. La bozza non menziona nulla riguardo al futuro dei leader terroristi. E' il più avanzato dei compromessi possibili, Biden lo sa. Adesso al Qatar spetta il compito di fare pressione sul gruppo

Tel Aviv, dalla nostra inviata. Oltre non si può andare, l’ultima offerta di Israele presentata ai mediatori e a Hamas per ottenere un accordo che comprenda il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza è il più avanzato dei compromessi possibili, il punto più vicino alla fine della guerra e il fatto che sia stato il presidente americano Joe Biden ad annunciare l’arrivo della nuova proposta indica che Israele ha accettato tutto, gli Stati Uniti lo sanno e adesso manca soltanto Hamas. 

 

Il piano è in tre fasi, la prima dovrebbe durare sei settimane, include il cessate il fuoco, il ritiro delle forze israeliane dalle aree popolate di Gaza, il rilascio di alcuni degli ostaggi, donne, anziani, malati e la consegna di alcuni dei corpi degli israeliani morti durante la prigionia; la liberazione di centinaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Nella proposta precedente che gli Stati Uniti avevano definito “molto generosa”, Israele non accettava di rilasciare i prigionieri palestinesi per i corpi degli ostaggi e chiedeva come condizione soltanto il ritorno di chi era ancora vivo. Nella prima fase sessanta camion di aiuti umanitari al giorno saranno diretti verso la Striscia e comprenderanno anche nuove sistemazioni per gli sfollati. 

 

Nelle sei sei settimane di cessate il fuoco saranno negoziate le condizioni delle fasi successive, se i colloqui saranno positivi ma non si riuscirà a ottenere un’intesa nel tempo stabilito, il cessate il fuoco potrà essere prorogato. Ma se Hamas non rispetterà le condizioni, allora Israele sarà autorizzato a riprendere i combattimenti. 

 

Secondo la bozza concordata da Israele, Stati Uniti, Qatar ed Egitto, nella seconda fase Hamas dovrà rilasciare gli uomini in ostaggio e dalle carceri israeliane sarà rimesso in libertà un numero di prigionieri da concordare e Tsahal si ritirerà completamente da Gaza. Durante la terza fase, i terroristi dovranno consegnare a Israele i corpi di tutti gli ostaggi e inizierà un piano di ricostruzione per la Striscia. 

Le quattro pagine e mezzo di proposta correggono alcune delle condizioni su cui Hamas aveva puntato nella sua controproposta di alcune settimane fa. I terroristi volevano un cessate il fuoco senza impegnarsi nel ritorno degli ostaggi, senza accettare un numero preciso di ostaggi da liberare, manifestando l'intenzione di mantenere un’arma di ricatto nei confronti di Israele. Ieri i terroristi hanno pubblicato un nuovo video, questa volta non si vedono ostaggi, ma si sente soltanto la voce di Noa Hagari che incita alla protesta contro Benjamin Netanyahu e tutto il gabinetto di guerra. 

 

In Israele la preoccupazione va alla sicurezza, di fatto la proposta non è vincolante per il futuro di Hamas,  non ci sono condizioni imposte ai leader e neppure per un futuro governo nella Striscia di Gaza. Biden ha detto che la sicurezza può essere garantita in altro modo e ha fatto un diretto riferimento alla normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita. 

Ora tocca al Qatar fare pressione su Hamas, alcuni dei suoi leader vivono a Doha da anni e per quanto alcuni funzionari abbiano detto che il gruppo guarda “positivamente” alla proposta, non sarebbe la prima volta che la leadership decide di rifiutare una proposta per far finire la guerra che Hamas ha iniziato. 

Dopo il discorso di Biden molti israeliani erano scettici sulla possibilità che Netanyahu potesse davvero aver acconsentito a una bozza tanto estesa. Due settimana fa, dopo la pubblicazione del video delle ragazze rapite dalla base di Niz Oz il 7 ottobre, aveva ampliato i poteri della squadra negoziale, accettando di trattare il più possibile. Non era la sua posizione iniziale ed è una posizione che potrebbe portare alla caduta del suo governo, con la parte estremista della maggioranza contraria a trattare con Hamas. Dentro al gabinetto di guerra però le pressioni sul premier sono state forti.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)