il discorso
Macron scuote l'Europa: è ora di costruire una difesa e una sicurezza comuni
“La nostra pace, la nostra prosperità e le nostre democrazie sono minacciate. Non facciamo la guerra alla Russia ma non accettiamo la deriva di un potere autoritario che ha deciso di giocare con il futuro dell’Europa”. Il discorso del presidente francese a Dresda
Pubblichiamo il discorso pronunciato lunedì scorso a Dresda dal presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in occasione della Festa dell’Europa.
Signor presidente, caro Frank-Walter Steinmeier, signor ministro-presidente, caro Michael Kretschmer, signore e signori, cari giovani d’Europa,
è una gioia essere qui con voi, in questa bella piazza Neumarkt di Dresda. Direi, anzi, che è una gioia essere “finalmente” qui con voi, dopo l’incontro che ho dovuto rinviare lo scorso anno. Ma era solo un rinvio.
Voglio naturalmente ringraziare Michael Kretschmer per l’organizzazione di questa nuova edizione della Festa dell’Europa. Ringrazio anche Frank-Walter Steinmeier per avermi accompagnato, tornando qui, lui che, da questo stesso palco, quasi un anno fa, vi ha fatto applaudire in segno di solidarietà con tutti i francesi.
La mia prima esperienza personale in Germania è stata in una scuola francese. Ho imparato la lingua e la cultura tedesche e lo sto ancora facendo. Credetemi, sto facendo del mio meglio! Ho fatto i miei primi viaggi in Germania e continuo a farli. Per esempio, ho partecipato a uno scambio tra Amiens e Dortmund. Ho scoperto il vostro paese, che all’epoca era ancora diviso dal Muro.
Quando François Mitterrand venne qui poche settimane dopo la caduta del Muro, questa era ancora la Repubblica democratica tedesca. Oggi, come primo Presidente francese a esprimersi davanti a voi a Dresda dalla riunificazione, sono particolarmente onorato e commosso. È per me un onore in quanto francese e amico della Germania, ma anche come europeo convinto.
Eppure, quanto strada percorsa da tanti anni assieme da Germania e Francia, come europei. Oggi, sia che veniamo da Varsavia o da Praga, da Weimar o da Görlitz, siamo tutti coinvolti in questo progetto politico unico al mondo: l’Unione europea. Dresda, città gemella di Strasburgo, capitale europea, è in un certo senso la metafora di questo progetto. Città devastata dalla guerra, la cui Frauenkirche, una chiesa bombardata nel 1945 e ricostruita nel 2005, manda un messaggio di speranza verso il cielo. Dresda, diventata allo stesso tempo fenice e lezione di speranza. Una città con una lunga storia, ma che ha saputo guardare al futuro e stare al passo coi tempi. Dresda è stata la prima città a vibrare a ogni svolta del secolo: dai movimenti di dissidenza nella Ddr, all’appello all’unità tedesca lanciato da Helmut Kohl nel 1989 davanti alla Frauenkirche allora in rovina. Dresda e la Sassonia, che ha saputo raccogliere la sfida del secolo, la sfida dell’innovazione, questa Silicon Saxony che è stata inventata. Grazie per averci accolto qui oggi.
Ma se oggi sono qui davanti a voi è per parlare della nostra Europa, del nostro futuro, a poche settimane dal 9 giugno, quando i cittadini di tutta Europa dovranno andare a votare, per scegliere il loro destino. E lo faccio oggi perché sono profondamente convinto che, più che mai, dobbiamo scegliere il futuro del nostro continente. Sì, più che mai, perché l’Europa sta vivendo un momento decisivo. Come ho detto alla Sorbona qualche settimana fa, la nostra Europa può morire se prende le decisioni sbagliate, perché il nostro continente europeo, la nostra avventura politica senza precedenti, è una storia di pace, prosperità e democrazia. E oggi, in Europa, la nostra pace, la nostra prosperità e le nostre democrazie sono minacciate se non sapremo reagire, se non sapremo prendere le decisioni giuste! Ed è qui che Germania e Francia insieme, e tutti gli europei, hanno una responsabilità senza precedenti verso noi stessi e le generazioni future.
La pace, la pace prima di tutto! Frieden! L’Europa è un garante della pace. Per molti di noi, questo argomento sembrava superato, un segno del successo di ciò che eravamo riusciti a fare. Ma oggi c’è di nuovo guerra in Europa, dalla guerra di aggressione lanciata dalla Russia contro l’Ucraina. Attaccando l’Ucraina, la Russia ha attaccato i princìpi della Carta delle Nazioni Unite; attaccando l’Ucraina, la Russia ha deciso di minacciare la sicurezza del nostro intero continente.
E lo dico in una parte dell’Europa che ha vissuto una seconda metà del Ventesimo secolo molto diversa da quella del mio paese. Perché noi avevamo, in un certo senso, abbandonato questa parte d’Europa a una cortina di ferro che improvvisamente è caduta, dividendo il nostro continente in due. Parlo qui con grande umiltà a una parte dell’Europa che ha vissuto il dominio dell’Unione Sovietica, che ha costruito il proprio percorso; parlo qui in una parte dell’Europa che ha ritrovato l’unità, l’unità tedesca, ma che, così facendo, ci ha permesso di costruire non un allargamento dell’Europa, bensì ha permesso all’Europa di ritrovarsi come avrebbe sempre dovuto essere, unita. Non parlo dell’Europa dell’est, parlo del centro dell’Europa, rivolgendomi a voi qui a Dresda.
E sì, ve lo dico, la guerra di aggressione condotta dalla Russia contro l’Ucraina è ovviamente prima di tutto una guerra che colpisce i nostri amici ucraini, la loro sovranità e la loro integrità territoriale. E voglio rendere omaggio al loro coraggio, al coraggio con cui hanno difeso il loro territorio, il loro popolo, da dieci anni a questa parte, e ancor più da poco più di due anni. Possiamo qui applaudirli.
Ma la posta in gioco in Ucraina è la nostra capacità di essere in sicurezza in Europa. Di che tipo di pace e sicurezza godrà l’Europa se permetteremo alla legge del più forte di prevalere nel nostro continente? Che tipo di pace e sicurezza ci sarà in Germania, Francia, Polonia, Lituania e Romania se in Ucraina prevarrà la legge del più forte? Che pace e sicurezza ci saranno se la Carta delle Nazioni Unite verrà calpestata a poche centinaia di chilometri da qui? Nessuna.
Quindi ve lo dico, sì, in Ucraina sono in gioco la nostra sicurezza e la nostra pace. Ecco perché sono così orgoglioso che, come europei, fin dal primo giorno, siamo stati uniti. Fin dal primo giorno, come europei, abbiamo deciso di imporre sanzioni alla Russia per ostacolare il suo sforzo bellico. Fin dal primo giorno, come europei, abbiamo deciso di sostenere l’Ucraina. Insieme, come europei, abbiamo deciso di aprire le braccia all’Ucraina, permettendole di chiedere l’adesione alla nostra Unione. E insieme, come europei, oggi e domani, continueremo fintanto che sarà necessario ad aiutare l’Ucraina a difendersi, a proteggere il suo territorio e a difendere la nostra sicurezza.
Ma lo dico qui con la stessa forza che noi europei non facciamo la guerra alla Russia o al popolo russo. No, ma non accettiamo la deriva di un potere autoritario e revisionista, che ha deciso di giocare con il futuro dell’Europa per costruire sogni di impero, per distrarre il suo popolo, per riportarci nei peggiori momenti del Ventesimo secolo. No, non stiamo facendo la guerra alla Russia e al suo popolo. Noi europei vogliamo la pace, una pace duratura, in altre parole una pace che gli ucraini, perché avremo permesso loro di difendersi, avranno scelto e negoziato, una pace che rispetti la loro sovranità, una pace che rispetti il diritto internazionale, una pace scelta e duratura. La pace non è la capitolazione dell’Ucraina; la pace è ciò che gli ucraini avranno scelto.
Ed è per questo che noi europei, oltre ad aiutare l’Ucraina, abbiamo ora una sfida: costruire una difesa e una sicurezza comuni. Abbiamo fatto molto negli ultimi anni, più di quanto credevamo, ma questo sogno di difesa e sicurezza era agli albori della nostra Europa.
E devo ammettere, con molta umiltà, che a metà degli anni Cinquanta è stata la Francia a fermarlo. Ma da molti decenni, noi europei, abbiamo deciso in un certo senso di lasciare la difesa e la sicurezza ai singoli paesi e talvolta di delegarla ad altre grandi potenze, ai nostri alleati, in particolare a quelli americani. E lo dico qui con immensa amicizia, mentre ci apprestiamo ad accogliere i nostri alleati americani sulle spiagge della Normandia tra pochi giorni per celebrare l’ottantesimo anniversario dello sbarco. Sì, per decenni, siamo stati fortunati ad avere alleati come gli Stati Uniti d’America per liberarci e, in questo momento in Ucraina per sostenerci, per stare al nostro fianco, per aiutare gli ucraini insieme a noi. Ma siamo giunti a un momento della nostra storia in cui, alla fine, abbiamo il diritto, persino il dovere, di dirci: quanto siamo fortunati ad avere questi alleati! È tuttavia ragionevole chiedere loro sempre più sforzi quando, dobbiamo anche rendercene conto, le loro priorità sono talvolta altre?
Siamo in un continente che condividiamo – e non cambieremo la geografia – con la Russia, che oggi minaccia la nostra sicurezza e ha attaccato l’Ucraina. Ma la Russia sarà lì anche domani, dopodomani. Quindi sì, ci troviamo in un momento senza precedenti della nostra storia in cui dobbiamo pensare alla nostra difesa e alla nostra sicurezza da soli e per noi stessi, come europei. In altre parole, come alleati all’interno della Nato, come membri dell’Unione europea, ma anche come membri della Comunità politica europea: abbiamo la nostra storia, la nostra geografia. E la vera riunificazione dell’Europa sarà un’Europa in grado di pensare al proprio quadro di sicurezza e difesa comune da sola e per sé stessa. È questa la sfida dei prossimi anni.
E dunque da europei, fin dai prossimi mesi, dovremo ridefinire questo quadro. Quali sono i nostri rischi? Chi sono i nostri avversari e nemici? Qual è la natura dei rischi e delle minacce? Da dove possono venire? Dalla Russia? Dall’Iran? Da altre potenze? Come possiamo mantenere il nostro vicinato? Come costruire la nostra sicurezza? In quale quadro? Insieme, dobbiamo costruire un nuovo concetto di sicurezza comune. E su questa base, e solo su questa base, dobbiamo definire le capacità di cui abbiamo bisogno, i progetti comuni da costruire e i progetti individuali, industriali, tecnologici e di innovazione da costruire insieme come europei.
E smettiamo di essere totalmente transatlantici o totalmente nazionalisti su questo tema; dobbiamo essere risolutamente franco-tedeschi, risolutamente europei. Sì, dobbiamo fare una rivoluzione copernicana se vogliamo riuscire a costruire questo quadro comune di sicurezza, di difesa e quindi di pace, e farlo come europei.
Questo è il momento giusto. Questa nuova èra, signor Presidente, che lei ha definito, è quella che ci deve permettere di farlo. I concetti, la strategia, le capacità militari, le armi e gli equipaggiamenti, ma anche l’energia, la tecnologia, tutto ciò che rende l’Europa più indipendente, più sovrana, un’Europa che può difendersi, difendersi da sola, un’Europa che può sopravvivere di fronte a tutte le minacce, questo è ciò che dobbiamo costruire ora. È questa l’Europa possibile della pace, della sicurezza comune.
La seconda sfida per le nostre generazioni e per i più giovani che sono qui oggi è la prosperità.
Come dicevo, il sogno europeo era quello di un mercato unico in cui francesi, tedeschi e altre nazioni europee hanno prima messo in comune ciò per cui ci si faceva la guerra: carbone e acciaio. Poi abbiamo costruito un mercato comune che ha portato a una crescita senza precedenti. L’Europa è un sogno di prosperità che ci ha permesso di costruire la crescita, ma anche il modello sociale più generoso del mondo. Questa è la nostra Europa. È questo che la rende forte, è questo che ci tiene uniti, è questo che ci ha permesso di costruire l’Europa della protezione, della cultura, del futuro, l’Europa dell’Erasmus, dell’istruzione, perché c’è un modello di prosperità che ha retto.
E anche in questo caso dobbiamo essere lucidi, guardiamo agli ultimi tre decenni. Se confrontiamo gli Stati Uniti d’America e l’Europa, il valore aggiunto pro capite che abbiamo creato è la metà di quello degli Stati Uniti d’America e la metà di quello dell’Europa. Il rischio che corriamo è quindi semplicemente quello di non essere più in grado di creare la nostra crescita. E senza crescita non ci sarà un modello sociale, e in un continente che invecchia, che ha questo modello, la crisi è garantita. Ed è proprio la crisi della prosperità europea ad alimentare tante ansie, tante divisioni, tante spaccature che a volte fanno crescere gli estremismi. E la nostra Europa che si è concentrata tanto sulla competitività, che a volte divide le persone, che ha fatto tanto ma che è stata anche, va detto, troppo lenta a risolvere la crisi finanziaria, ora ha un problema con il suo modello di crescita. Quindi sì, lo dico oggi a Dresda, la nostra Europa deve ricostruire, o meglio costruire un nuovo paradigma di crescita per le generazioni a venire.
E questo modello di crescita non significa scegliere tra la crescita economica e la decarbonizzazione o piuttosto il clima – alcuni vorrebbero porre questa opposizione oggi. No, sarebbe un terribile errore. E ve lo dico, la mia specialità, e i francesi qui presenti lo sanno, è l’“en même temps”. E l’“en même temps” non è un’ambiguità, non è un cattivo compromesso; è il fatto di dire che ci sono cose a volte artificialmente opposte che, se conciliate, permettono di costruire un percorso di progresso. Ebbene sì, questo nuovo modello di crescita europeo è un modello che rivendica pienamente degli investimenti massicci nel clima e nella decarbonizzazione delle nostre economie. È questo che dobbiamo fare oggi, più velocemente e con più forza. Abbiamo costruito il Green Deal in Europa. Questa è la normativa giusta. Non abbiamo bisogno di più regolamenti o di più regole, dobbiamo semplificare perché siamo di fronte agli americani e ai cinesi che, invece, investono senza regole.
Ma ora dobbiamo investire molto più denaro pubblico e privato. Dobbiamo investire nella decarbonizzazione delle nostre economie, in energie più pulite, sia rinnovabili che nucleari, e soprattutto nella preservazione e nell’efficienza energetica. Dobbiamo investire nella decarbonizzazione dei trasporti, delle città e delle case. Dobbiamo investire nello sviluppo e nell’invenzione di tecnologie verdi che sono il futuro del nostro continente. E dobbiamo farlo in un momento in cui la Cina e gli Stati Uniti stanno investendo in maniera massiccia e attirando verso di sé queste opportunità che, se non ci svegliamo, andranno altrove. Dunque sì a un piano di investimento massiccio nelle tecnologie verdi in Europa.
Il secondo pilastro è un’Europa dell’innovazione e dell’intelligenza artificiale.
Dobbiamo investire molto di più nella ricerca e nell’innovazione. Siamo ancora lontani dall’obiettivo del 3 per cento fissato dall’Agenda di Lisbona. Lo dico in un paese che è uno dei migliori in Europa, con molta umiltà: noi francesi non stiamo investendo abbastanza, stiamo recuperando il ritardo e lo abbiamo quasi fatto dal lato pubblico, ma non stiamo investendo abbastanza nella nostra ricerca in termini di finanziamenti privati. In tutta Europa dobbiamo accelerare gli investimenti in ricerca e innovazione, in particolare nell’intelligenza artificiale e nelle tecnologie quantistiche. E lo dico in Silicon Saxony – abbiamo appena firmato un accordo tra la Commissione francese per l’energia atomica e il vostro Fraunhofer – questa è una delle principali sfide per la nostra Europa. La crescita europea passerà dall’intelligenza artificiale, l’innovazione, la ricerca e gli investimenti massicci per costruire il nostro futuro. Quindi, andiamo avanti con forza e ambizione da europei.
La Francia ha del lavoro da fare, dobbiamo continuare le nostre riforme, e credetemi, non ci siamo fermati negli ultimi sette anni. Ma a livello europeo, dobbiamo essere più semplici, spesso meno burocratici, accompagnare maggiormente le nostre imprese invece di vincolarle con regole che non esistono altrove. E abbiamo un’opportunità, una forza, nelle dimensioni della nostra Europa, con 450 milioni di europei. Ebbene, oggi dobbiamo spingerci più lontano per il nostro mercato unico, semplificarlo, abbattere le barriere tra queste ventisette economie che esistono in tanti settori, e permettere finalmente nelle telecomunicazioni, nell’energia, nella finanza e in tanti altri campi la costruzione un vero mercato europeo. Acceleriamo il mercato unico, semplifichiamo l’Europa. È la terza urgenza per questo modello di crescita.
Il quarto pilastro è uscire dall’ingenuità; è un risveglio strategico.
L’Europa è l’ultimo posto in cui siamo aperti al resto del mondo senza preferenze o regole europee. Andate in Cina, andate negli Stati Uniti, noi facciamo commerci, vogliamo sviluppare il commercio, ma ci sono preferenze nazionali. Quindi vi dico che abbiamo bisogno di una strategia europea che costruisca una preferenza europea per la difesa, per lo spazio, che costruisca una strategia di acquisto europea e che ci permetta di avere regole commerciali, che costruisca clausole speculari, in altre parole una concorrenza leale. Perché imporre regole alle nostre aziende e favorire le aziende extraeuropee permettendo loro di importare cose che non rispettano le stesse regole! Abbiamo quindi bisogno di un’Europa che si protegga meglio in termini di commercio e di regole, un’Europa più strategica e meno ingenuamente aperta.
E infine, il quinto pilastro di questo modello di crescita sono gli investimenti.
Dobbiamo guardare al futuro. E se guardo alle sfide che abbiamo davanti a noi – difesa e sicurezza, clima, intelligenza artificiale – mai prima d’ora, in una generazione, abbiamo avuto così tante sfide da affrontare contemporaneamente. Mai prima d’ora, in una generazione, abbiamo avuto un tale muro di investimenti. Se vogliamo rafforzarlo, dobbiamo essere molto più coraggiosi. Dobbiamo farlo ora, perché le scelte si fanno ora e i nostri concorrenti strategici le fanno ora. Quindi, come europei e in primo luogo come franco-tedeschi, dobbiamo essere molto più coraggiosi e fare investimenti pubblici comuni come europei.
Quindi, sì, oggi vi dico, con convinzione e forza, raddoppiamo il nostro bilancio europeo, sia attraverso le dimensioni del bilancio, sia attraverso strategie di prestito comuni, sia attraverso strumenti che già esistono, raddoppiamo gli investimenti pubblici nella nostra Europa, insieme. E costruiamo questo mercato comune dei capitali, della finanza e degli investimenti per moltiplicare gli investimenti privati. In Europa, serve uno choc di investimenti massicci per affrontare questa sfida!
Quindi, sì, lo avete capito, questo nuovo modello di crescita europea si basa su queste cinque frecce, su questi cinque assi; ma in fondo, è un’ambizione raddoppiata. Non dubitiamo, non abbiamo paura del futuro, dobbiamo inventare un nuovo modello di prosperità. Dobbiamo farlo ora, con forza e fiducia nel nostro futuro. Dunque, andiamo avanti insieme, da europei.
E poi c’è la democrazia, la democrazia e la libertà.
Ci sembrava tutto così ovvio. Ricordatevi, dopo la caduta del Muro, quando l’Europa si è finalmente riunita, grazie al vostro coraggio, quando ci siamo riuniti come europei, una famiglia che era stata disunita per decenni, la democrazia e la libertà erano scontate. Sì, in tutta Europa, si sarebbe diffuso; questo vento avrebbe soffiato, avrebbe sedotto ovunque, si sarebbe diffuso in tutto il mondo. E guardiamo noi stessi oggi. Guardiamo intorno a noi la fascinazione per i regimi autoritari. Guardiamo il momento illiberale che stiamo vivendo in Europa, dove molti, a pochi chilometri da qui, finiscono per dirsi: prendiamo i soldi dell’Europa ma dimentichiamo l’indipendenza dei giudici. Prendiamo i soldi dell’Europa, ma dimentichiamo la libertà di stampa; prendiamo i soldi dell’Europa, ma dimentichiamo la diversità culturale. Prendiamo i soldi dell’Europa, ma dimentichiamo l’autonomia delle università e la libertà accademica. Questa tendenza non è una tendenza, è una realtà in Ungheria; è stata una realtà fino alle formidabili elezioni in Polonia. E ovunque, nelle nostre democrazie, queste idee stanno fiorendo, guidate dagli estremisti, in particolare dall’estrema destra. Questo vento maligno soffia in tutta Europa, è una realtà. Quindi svegliamoci!
La nostra Europa non è un supermercato; la nostra Europa non è solo un luogo in cui concordiamo regole comuni. È una base di valori, cultura, libertà individuali e politiche. È questa eredità secolare che ci tiene uniti. Dobbiamo quindi ritrovare la forza, l’impegno per difenderla ovunque e per farlo in ogni paese di fronte a questo vento maligno e agli estremisti. Smettiamola di dare tutto per scontato, impegniamoci per l’idea europea della democrazia.
Dinanzi a questo vento maligno, guardiamo da dove viene questa rabbia. Nasce dal risentimento di molti che si sentono ai margini della globalizzazione, dalla sensazione di essere umiliati da ciò che è accaduto negli ultimi anni, di non essere compresi nelle loro preoccupazioni, di veder stravolto il loro stile di vita, dalla sensazione di essere stati abbandonati da un’Europa che si è aperta al commercio e alla liberalizzazione e dalla sensazione che la cultura e lo stile di vita cui erano legati vengano stravolti da un’Europa che, in sostanza, non è altro che un processo di omogeneizzazione e semplificazione.
A questo, dobbiamo quindi rispondere con un’Europa del rispetto, della diversità e della forza culturale. Questa Europa delle università che abbiamo costruito negli ultimi anni – cinquanta università che hanno creato una rete – e continuiamo, andiamo oltre. Un’Europa in cui, grazie all’Erasmus, ma moltiplicato, impariamo a conoscere la cultura dell’altro, in cui il Pass Cultura diventa europeo, in cui il percorso degli scrittori va da un paese all’altro, in cui ci scopriamo l’un l’altro, lontani dalle abitudini.
Ma un’Europa che sta anche costruendo, in un certo senso, un umanesimo 2.0. Perché ciò che sta scuotendo le nostre abitudini, le nostre democrazie, è il fatto che viviamo tutti in delle società in cui, per diverse ore al giorno, viviamo sugli schermi, e questo ci ha cambiato. E non abbiamo pensato alle regole, non abbiamo pensato che questo avrebbe scosso le nostre democrazie, i nostri modi di essere. E in questo mondo di schermi, i nostri figli non si formano più allo stesso modo, non sentono più allo stesso modo. Noi stessi e i nostri giovani, in un certo senso, non abbiamo più la stessa fucina di opinioni pubbliche. Dunque, in questa Europa degli schermi, dobbiamo ripensare la protezione dei nostri bambini e adolescenti, l’uso corretto degli schermi, l’uso corretto dell’apprendimento del mondo attraverso la tecnologia digitale.
In questa Europa di schermi, dobbiamo anche pensare a come si forma l’opinione pubblica. Come circolano e si formano le idee? Oggi si formano in modo semplice, e vi dirò questo: l’emozione negativa vale molto di più dell’emozione positiva, l’emozione negativa vale molto di più dell’argomentazione. Quello che sto facendo nell’Europa del digitale, se non la pensiamo con un umanesimo contemporaneo, non ho alcuna possibilità di realizzarlo. Con le emozioni negative ho molte più probabilità di ottenere una standing ovation dalla folla che con argomenti razionali. Questo è il rischio dell’Europa che stiamo costruendo. Questo percorso è molto difficile, ma è nostro dovere.
La seconda cosa è che questi social network, questi schermi, queste piattaforme, l’uso del mondo della formazione delle idee, del dibattito democratico in cui viviamo, ci racchiudono in bolle cognitive. Sono i gruppi in cui ci troviamo, le persone che ci seguono sui nostri account, e qualunque sia il social network, è la discussione chiusa a cui ci siamo abituati. È pericoloso, perché queste bolle ci chiudono in gruppi di persone che la pensano semplicemente come noi. È l’opposto dell’agorà, la piazza pubblica, dove è nata la democrazia: un luogo dove si può pensare in modo diverso, ma dove si discute e ci si confronta. Il mondo digitale in cui viviamo è un mondo in cui i gruppi si parlano e si radicalizzano, e in cui la tirannia del più estremista è quella che trascina il resto del gruppo.
Quindi, ve lo dico con forza, il grande rischio è che il mondo digitale, il mondo dei social network in cui viviamo, che forgiano le nostre democrazie, se non costruiamo le regole, se non lo rendiamo umanista – come abbiamo fatto durante il Rinascimento e poi durante l’Illuminismo – quel mondo sarà il mondo della tirannia degli estremismi, delle trappole identitarie, della dislocazione delle nostre democrazie e della nostra Europa. Il risveglio democratico europeo è il risveglio di un umanesimo digitale.
I nostri due paesi stanno affrontando sfide importanti, cambiamenti che ci spaventano: il cambiamento climatico, la polarizzazione della società, la crescita degli estremismi, il ritorno della guerra nel nostro continente, gli attacchi alla nostra democrazia e ai nostri valori e il cambiamento economico. Nulla sembra essere più come prima. Noi francesi ci poniamo le stesse domande dei tedeschi. Nonostante tutti questi cambiamenti, c’è una costante: l’amicizia franco-tedesca.
Solo insieme possiamo affrontare queste sfide. La Germania può contare sulla Francia. La Francia può contare sulla Germania. L’Europa può contare su di noi. Noi possiamo contare sull’Europa!
Permettimi, caro Frank-Walter, di citarti: “La legge fondamentale non è un bilancio, ma una missione. Non è un obiettivo, ma una bussola”. Vorrei aggiungere un’altra cosa: la nostra democrazia, la nostra Europa non è un bilancio, è una missione. L’Europa non è un obiettivo, ma una bussola.
Costruire l’Europa è una missione continua. Noi possiamo farlo. Ma soprattutto potete farlo voi, perché sarete voi, la nuova generazione, a costruire l’Europa di domani. Conto su di voi, così come voi potete contare su di me.
Conto su di voi per scegliere un’Europa che faccia sentire la propria voce unica, un’Europa dell’umanesimo e della potenza rivendicata in mezzo al disordine mondiale, della solidarietà con i più vulnerabili e della responsabilità condivisa con i nostri alleati. Conto su di voi per mantenere la rotta dell’umanesimo, che fa della nostra Europa un continente di civiltà e di pace. Conto su di voi per scegliere l’amicizia e la cooperazione e per respingere le tentazioni di divisione ed egemonia. Conto su di voi per dare forma al nostro futuro. Cogliamo insieme questa opportunità, facendo leva sui nostri legami intrecciati, sulla complessità del nostro passato, sulla complementarietà delle nostre forze.
Costruiamo un’Europa potente, sovrana e umanista. Secondo il nostro motto: libertà, uguaglianza, fraternità.
Potete contare su di me. Conto su di voi.
Viva la Germania! Viva la Francia! Viva l’amicizia franco-tedesca! Viva l’Europa!
(Traduzione di Mauro Zanon)
I conservatori inglesi