I guerrafondai europei, la violenza in Ucraina e le bugie di Orbán

Paola Peduzzi

Stop all’Europa guerrafondaia, dice il primo ministro ungherese. Quanto è largo il partito della “pace” pro Putin

“Siamo l’unico governo in Europa a favore della pace”, ha detto il premier ungherese Viktor Orbán, “anche il Vaticano è dalla parte della pace, ma rappresenta un regno che non è di questo mondo,  e in un’Europa apostata, che da sola non basterà a frenare il treno a favore della guerra”. Orbán, il federatore delle destre nazionaliste d’Europa – è suo il sogno di un grande partito unico delle destre esterne al Partito popolare europeo, dal quale il suo partito Fidesz è stato espulso – si trova anche a guidare il partito trasversale della “pace”, che va intesa come contraria alla guerra: non la guerra di Vladimir Putin in Ucraina (e oltre), ma la guerra dell’Europa e dell’America. “Oggi l’Europa si prepara alla guerra – ha detto ancora il premier ungherese – Ogni giorno viene costruito un altro tratto della strada verso l’inferno. Ogni giorno siamo assediati dalla richiesta di centinaia di miliardi di euro per l’Ucraina, lo spiegamento di armi nucleari nel centro dell’Europa e la coscrizione dei nostri figli in un esercito straniero: in una missione della Nato in Ucraina, in unità militari europee inviate in Ucraina”. 

 

Orbán ha fatto un lungo discorso elettorale nel fine settimana, chiedendo agli ungheresi un ultimo sforzo questa settimana in vista delle europee (in Ungheria si vota il 9 giugno), e sul cartello del leggio davanti a sé c’era scritto “béke”, pace. Il corteo che è arrivato fin sotto al suo palco – allestito sull’Isola Margherita, in mezzo al Danubio, tra Buda e Pest, ribattezzata “l’isola della pace” – era guidato da un grande striscione con scritto “no war” sui colori della bandiera ungherese (quella arcobaleno non si sposa bene con la visione orbaniana del mondo). Orbán ha detto che l’unico partito in grado di fermare “il treno” dei guerrafondai europei è Fidesz e che è arrivato il momento di “occupare Bruxelles”: “Dobbiamo vincere le europee in modo talmente deciso che i burocrati di Bruxelles terrorizzati ci aprano le porte della città e abbandonino i loro uffici di corsa”.  

 

Il premier   ce l’ha con la sinistra ungherese e con Péter Magyar, che è un ex orbaniano con un movimento nuovo di tre mesi che gli rosicchia consensi – ma anche con una sinistra collettiva che fa capo al solito George Soros, il filantropo ungherese-americano che soffia su tutti i mali del mondo secondo Orbán: fermiamo la guerra, fermiamo i migranti, fermiamo il gender, ha scandito davanti alla folla plaudente. La guerra è il cuore del messaggio, il catalizzatore per sovrapporre l’idea stessa di Europa a quella di chi vuole guerreggiare, mentre chi si ribella a questo mainstream è portatore di pace.  Il mondo capovolto che il premier ungherese vuole costruire assieme ai suoi alleati (in via di definizione) è quello in cui si ferma una guerra di difesa esistenziale ostacolando i finanziamenti per le armi e anche quelli per la ricostruzione dell’Ucraina, condannando gli ucraini alla distruzione e all’occupazione (se vi è capitato di ascoltare i racconti degli ucraini appena tornati in seguito a uno scambio di prigionieri, sapete che cosa significa cadere sotto il regime russo, cosa che peraltro anche Orbán dovrebbe sapere). E’ la “pace” secondo Putin e assume come presupposto che siano gli occidentali ad aver dichiarato guerra: in questo senso molti pacifisti che pure denunciano l’illiberalismo del premier ungherese la pensano esattamente come lui. Il cortocircuito è ben visibile in alcuni  partiti di sinistra e di sinistra radicale  ma anche nel mondo trumpiano, cui tendono Orbán e altri sovranisti europei: i trumpiani dicono che Joe Biden vuole fare la guerra alla Russia, Donald Trump dice che non darà più un soldo all’Ucraina ma anche che avrebbe bombardato Mosca se fosse stato presidente. Orbán aggiunge a uso e consumo degli europei la coscrizione obbligatoria in un esercito immaginario, un’altra menzogna.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi