Colloqui

La Cina scarica Zelensky e il summit in Svizzera. Il vero “partito della guerra globale”

Dalla Puglia alla Svizzera

Giulia Pompili

Si è intensificato il boicottaggio contro il vertice sulla pace di Bürgenstock. La Russia, esclusa, organizza la riunione dei Brics. La Cina dice che non si può fare senza Putin. Dall'Europa tutti presenti, ma l'America manda la vicepresidente Harris e Meloni non ha ancora formalmente confermato (come Orbán)

L’atteso summit per la pace in Ucraina, negoziato e ospitato dalla Svizzera e previsto tra poco più di dieci giorni, avrebbe dovuto portare a un cambio di passo sostanziale nel processo di pace in Ucraina. Ma negli ultimi giorni si è intensificato il boicottaggio diplomatico e politico da parte della Russia e dei suoi alleati e, più in generale, di chi si oppone a una pace senza compromessi per Kyiv. L’ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky domenica scorsa, partecipando a sorpresa a Singapore allo Shangri-La Dialogue, una delle conferenze sulla sicurezza più importanti dell’Indo-Pacifico.

 

Parlando al summit asiatico a cui hanno partecipato anche il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin e il ministro della Difesa cinese, Dong Jun, Zelensky ha usato parole molto chiare a commento di una notizia arrivata qualche ora prima, e cioè l’annuncio della leadership di Pechino di non partecipazione al processo di pace in Svizzera in assenza delle condizioni richieste dalla Cina, e cioè la presenza della Russia al vertice: “Usando l’influenza cinese e i diplomatici cinesi”, ha detto Zelensky a Singapore, “la Russia sta facendo di tutto per disturbare il vertice. Purtroppo, un paese grande e indipendente come la Cina è diventato uno strumento nelle mani di Putin”. Anche l’Arabia Saudita ha fatto sapere ieri che non parteciperà alla conferenza dove, secondo l’ufficio di presidenza di Kyiv, ci saranno 107 tra paesi e organizzazioni internazionali. Ma il percorso da qui a dieci giorni è accidentato. Come spesso succede, Putin ha deciso di organizzare negli stessi giorni del vertice, il 15 e 16 giugno prossimi, una riunione dei ministri degli Esteri dei Brics, che quest’anno si svolge sotto la presidenza della Russia. 

 


C’è poi il problema della logistica: l’agenda del G7 a guida italiana negli ultimi giorni è stata modificata per permettere ai leader di paesi membri e alcuni dei leader invitati a Borgo Egnazia, in Puglia – tra cui Zelensky, il presidente turco Erdoğgan, il primo ministro indiano Modi, il presidente degli Emirati Arabi Uniti,  bin Zayed Al Nahyan, l’argentino Milei e il brasiliano Lula – di ripartire presto, sabato mattina, per raggiungere in tempo il resort di Bürgenstock, sul lago di Lucerna nella Svizzera centrale, sede della conferenza. Il secondo problema riguarda l’assenza del presidente americano Joe Biden: ieri la Casa Bianca ha confermato che al vertice svizzero saranno presenti  la vicepresidente Kamala Harris e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan. Ma alla presenza di Biden sarebbe legata anche quella, per esempio, della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che non ha ancora comunicato la sua presenza in Svizzera – come il primo ministro ungherese Viktor Orbán  – mentre Macron  e Scholz hanno già confermato da tempo. Biden e Zelensky, a margine del G7 pugliese, dovrebbero firmare  un atteso patto di difesa. 

 


Il problema è chi non c’è. La presenza della leadership cinese è considerata cruciale per ottenere un ampio consenso sulla strada da percorrere verso la pace, mentre per quanto riguarda l’invito alla Russia, il ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassis aveva più volte ripetuto che Mosca non sarebbe stata invitata in una fase iniziale di negoziati, ma che “la lettera d’invito” prima o poi sarebbe arrivata. La conferenza di pace in Svizzera, insomma, nella logica dei paesi partner della Russia è sembrata troppo spostata verso le istanze della difesa dell’Ucraina, il paese aggredito. Secondo quanto riferito da Zelensky, Pechino avrebbe anche fatto lobby con i suoi alleati per bloccare la partecipazione  di altri capi di governo alla riunione in Svizzera. Una settimana fa la Cina e il Brasile hanno firmato una dichiarazione congiunta per lanciare una conferenza di pace alternativa alla presenza sia di Kyiv sia di Mosca. Ma il presidente ucraino ha (ancora una volta) sottolineato le notizie d’intelligence su un sostegno anche materiale da parte cinese alla guerra contro l’Ucraina, menzionate vagamente pure dal capo della diplomazia europea Josep Borrell, che ieri in un’intervista alla Cna ha detto che gli scambi commerciali Mosca-Pechino “sulle tecnologie dual use sono aumentati molto”. E quindi tutti sono convinti che la Cina usi il suo commercio e la sua diplomazia per proteggere la Russia, ma soprattutto per proteggere se stessa e il suo ruolo leader del nuovo mondo multipolare: “La Cina spera sinceramente che la conferenza di pace non si trasformi in una piattaforma utilizzata per creare un confronto tra blocchi”, ha detto ieri la portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning, dove l’unico problema di Pechino non è la pace in Ucraina e fermare la guerra scellerata di Putin, ma partecipare a una conferenza a guida occidentale/americana.

 


Ad aprile, durante la sua visita in Cina, il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva fatto sapere che Berlino e Pechino  si sarebbero “consultate in modo intensivo e positivo sul sostegno alla conferenza di alto livello in Svizzera”. Pochi mesi dopo, la mancata partecipazione cinese e la propaganda anti-vertice è un duro colpo anche al metodo tedesco di dialogo con Pechino, quello secondo il quale a grandi concessioni alla Cina corrisponderebbe un coinvolgimento più attivo della leadership cinese negli obiettivi politici collettivi occidentali.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.