Una protesta pro Palestina ad Amsterdam - foto LaPresse

L'intervista

All'Università di Amsterdam è stato importato il codice condiviso dell'antisemitismo

Francesco Gottardi

"Scontri, danni agli edifici, schermi distrutti e muri imbrattati: quando vedi gruppi di facinorosi aggirarsi per l’università incappucciati e con le mazze, è difficile sentirsi a proprio agio o empatizzare con la protesta" dice il professore di Economia Joël van der Weele sulle manifestazioni propal nei Paesi Bassi

L’Aia. "Chi manifesta contro la violenza a Gaza può anche avere le migliori intenzioni. Ma se poi si ritrova sullo stesso terreno di protesta con vandali e antisemiti, è sua responsabilità prendere le dovute distanze. E questo finora accade poco". L’appello arriva dall’Università di Amsterdam. Di tutte le recenti azioni pro Palestina nei campus europei, l’ondata più impetuosa è arrivata nei Paesi bassi e in particolare nel principale ateneo della capitale, che a metà maggio è rimasto chiuso due giorni per motivi di ordine pubblico. “Oggi la situazione sta tornando sotto controllo”, spiega al Foglio Joël van der Weele, professore di Economia e osservatore diretto degli eventi. “Non c’ero quando è intervenuta la polizia. Ma ho seguito in loco gran parte della mobilitazione: gli scioperi e i sit-in pacifici delle prime battute non lasciavano presagire alcuna deriva”.
 

Eppure è successo. “Scontri, danni agli edifici, schermi distrutti e muri imbrattati: quando vedi gruppi di facinorosi aggirarsi per l’università incappucciati e con le mazze, è difficile sentirsi a proprio agio o empatizzare con la protesta”, dice van der Weele. “Generalizzare però è fuorviante. I manifestanti avevano background diversi: studenti, staff, corpo docente, ma anche attivisti radicali e black bloc. Dipende anche dal momento del corteo. Un lunedì mattina ero passato di fronte al presidio: sembrava prevalere la sua componente legittima e venivano trasmessi messaggi civili. Già poche ore dopo la situazione è degenerata”. I media hanno sottolineato il pugno duro della polizia. “Che forse è andata un po’ troppo oltre un po’ troppo presto: quella che si configurava come un’occupazione passiva, innocua, è stata smantellata con bulldozer e cariche pesanti. Da lì in poi i partecipanti più tranquilli si sono dileguati, lasciando campo libero ai delinquenti professionali. A quel punto l’azione decisa delle forze dell’ordine era essenziale: università e persone andavano protette”.
 

Dietro gli appelli umanitari per Rafah si nascondono organizzazioni di antisemitismo sistemico. “Le stesse dietro le vicende nei campus americani: Students for justice in Palestine è attiva anche qui in Olanda e nella nostra università. Coordina la parte più eversiva delle proteste, attira a sé altri gruppi locali e inquina ogni ragionevole istanza”. Sjp – dagli Stati Uniti ai Paesi bassi – ha deliberatamente esultato dopo gli attacchi del 7 ottobre, definendoli una “vittoria storica per la resistenza”. Offre corsi di formazione via social per l’occupazione degli edifici pubblici e per come comportarsi durante un interrogatorio. Eppure, come racconta un’indagine giornalistica della testata locale Nrc, si mescola con successo allo sbandato universo woke: così la giustizia per Gaza, quella climatica e quella di genere vengono portate avanti secondo un pericolante codice condiviso. Trovando terreno fertile fra le nuove generazioni. “Qualche mese fa chiedevano l’isolamento delle multinazionali dei combustibili fossili. Oggi pretendono il boicottaggio accademico di Israele”.
 

L’Università di Amsterdam come risponde? “Si è presa il suo tempo”, continua l’economista. “Ma alla fine ha pubblicato  nuove linee guida sul quadro etico della ricerca tutto sommato condivisibili: tracciare le collaborazioni con gli atenei per escludere implicazioni problematiche sulla guerra in Palestina, di per sé non è un male. E facendo questo le istituzioni olandesi non la danno vinta ai barricaderi. Le componenti moderate della società israeliana vanno incluse e non spinte verso gli estremismi, altrimenti il dibattito rischia di diventare ancora più divisivo”. I fatti delle ultime settimane non aiutano. “Ci sono professori coinvolti nei picchetti o simpatizzanti del movimento di protesta. Comunque non si tratta della maggioranza: i vandalismi al campus hanno marcato una frattura ideologica durevole. Mentre dirottamenti e infiltrazioni violente gettano discredito su temi legittimi: è compito degli organizzatori assicurarsi che non si verifichino più”. Anche perché il nuovo governo di destra avrà poca pazienza in materia. “Senz’altro. Nei metodi e nel merito, esacerbando l’opinione pubblica. La situazione potrebbe evolvere in molti modi. L’unica certezza è che i cittadini israeliani e gli ebrei olandesi non possono più essere vittime di antisemitismo. Si registrano diversi casi anche fra gli studenti, per ora in numeri limitati”. E comunque già troppi. Senza bisogno di ulteriori intifade universitarie.