dopo il voto

Gli uomini da tenere d'occhio nella nuova leadership di Modi

Giulia Pompili

In India il primo ministro depotenziato si blinda grazie al ministro dell’Interno Amit Shah, stratega del Bjp, e il ministro degli Esteri S. Jaishankar, artefice della nuova politica estera indiana

Tre uomini e una leadership. I risultati elettorali in India mandano un messaggio chiaro agli uomini del potere attorno a Modi, e soprattutto alle sue due figure di riferimento: il ministro dell’Interno Amit Shah, stratega del partito Bharatiya Janata (Bjp), alleato fedele di Modi, e il ministro degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar, artefice della nuova politica estera indiana e celebrato diplomatico in occidente. 

 


Sebbene i commenti di oggi da parte della leadership del partito di governo siano entusiasti, il risultato del voto dimostra che le aspettative di una vittoria schiacciante del Bjp, a sorpresa, sono state disattese – e dimostrano anche che la manipolazione, l’estremismo, il caos delle “elezioni democratiche più grandi del mondo” sono fattori che funzionano più nella retorica dei media occidentali che nella realtà. Perché il messaggio, appunto, c’è stato ed è stato chiaro: Narendra Modi, primo ministro da dieci anni, nazionalista convinto, estremista indù, è il volto di una rinascita dell’India sul piano internazionale, ma le elezioni poi si vincono sull’economia, il welfare, la capacità di affrontare la leadership del paese più popoloso del mondo. Non succedeva dai tempi di Jawaharlal Nehru alla fine degli anni Cinquanta che in India un primo ministro non vincesse per tre mandati di seguito, ma adesso il sostegno alla leadership di Modi si è assottigliato, la maggioranza alla Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano, non è più assoluta, e il Bjp e la coalizione che guida deve iniziare a negoziare con i partiti d’opposizione. Con lui, anche i suoi più importanti alleati, quelli che davvero costruiscono la politica di Modi. 

 


Jaishankar è l’eminenza grigia della leadership di Modi: in occidente tutti vogliono parlare con lui (l’ex segretario di stato americano, Mike Pompeo, di lui disse: “Parla inglese meglio di me”), tutti lo corteggiano, e lui si è costruito anche all’estero l’immagine dell’esegeta di una politica estera indiana indipendente, che fa scelte solo per interessi nazionali: i rapporti dell’India con la Russia di Putin, anche dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina, sono andati avanti lo stesso, e Jaishankar ha difeso spesso la sua posizione sostenendo che quella in Ucraina è una guerra regionale, che l’India coltiva le relazioni che vuole ma questo non significa che non abbia espresso dubbi sul conflitto ai colleghi russi, ma “senza semplicemente passare messaggi”, ha detto. Solo tre settimane fa l’India, per mano di Jaishankar, ha firmato un accordo decennale con l’Iran per lo sviluppo del porto di Chabahar, nonostante le cautele espresse da Washington sull’operazione. Ma l’importanza della politica estera dell’Amministrazione Modi in occidente arriva soprattutto per il suo posizionamento sulla Repubblica popolare cinese – l’India è l’unico paese ad avere, sul confine, un conflitto aperto con la Cina – e forse questo basta ai partner americani ed europei. Nel frattempo, l’India di Modi, Jaishankar e Amit Shah continuerà a costruire la sua sfera d’influenza asiatica e nel cosiddetto Sud globale, limitando in qualche modo le operazioni cinesi. Ma forse, dopo i risultati elettorali, le ambizioni globali della leadership di Delhi dovranno fare i conti con l’indebolimento del partito. E’ la democrazia, la più grande del mondo.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.