Bandiera rossa
La Cina, in cerca del suo posto nello spazio, mostra i muscoli sulla Luna
Per la prima volta sulla terra arriveranno dei campioni del lato oscuro della Luna, la regione che Pechino vorrebbe iniziare a colonizzare. Tutto ruota attorno alla bandiera esposta da Chang’e 6 e al carattere carattere cinese “zhong” impresso sulla superficie lunare
Ieri la sonda cinese Chang’e 6 si è agganciata con successo al modulo di rientro ed è tornata in orbita attorno alla Luna, dopo aver completato tutte le sue missioni tecniche sulla superficie lunare, e dovrebbe riatterrare nella Mongolia interna tra poco più di due settimane. Per ora, l’intera missione è stata un successo. Nei giorni scorsi, la sonda cinese ha raccolto i campioni necessari per studiare il lato nascosto della Luna, cioè quella regione del nostro satellite che non è visibile dalla terra, e che serviranno alla Repubblica popolare cinese a perfezionare la sua prima missione umana sulla Luna che dovrebbe compiersi entro il 2030. Chang’e 6 è un grande successo di Pechino, e non solo simbolico. Più della missione precedente – la Chang’e 5 completata quattro anni fa – secondo gli osservatori Chang’e 6 è un cambio di passo notevole per le ambizioni spaziali cinesi: per la prima volta nella storia dell’uomo, Pechino avrà a disposizione dei campioni lunari che vengono da un’area del nostro satellite pressoché inesplorata. Ed è proprio lì che per la prima volta, tre giorni fa, ha esposto una bandiera della Repubblica popolare cinese. I media cinesi hanno raccontato molto di quella bandiera, che per la prima volta era stata esposta sulla Luna nel 2020, ma in un’area dove nei decenni passati erano state viste anche quella americana e quella sovietica. Adesso Pechino sta cercando il suo posto sulla Luna, dove nessuno è mai stato, e la bandiera esposta da Chang’e 6 è stata costruita in fibre di basalto, capace di resistere per secoli, non a caso. E’ proprio nel lato nascosto della Luna, attorno al bacino Polo sud-Aitken, vicino al Polo sud lunare, che l’agenzia spaziale cinese vuole scoprire se c’è davvero tutto il basalto necessario per produrre fibre e materiali da costruzione, insomma: è lì che potrebbero esserci le condizioni e le risorse ottimali per fare quello che la leadership di Pechino vuole, e cioè una base permanente cinese sulla Luna.
Partita il 3 maggio, la Chang’e 6 (Chang’e è il nome della dea della Luna in cinese) è allunata sabato scorso, e dopo poco più di due giorni di operazioni sulla superficie ha iniziato le procedure per il rientro. Durante la missione ha raccolto circa due chilogrammi di rocce e polvere e ha fatto “sventolare” la bandiera, ma non solo.
La sonda ha impresso sulla superficie lunare il carattere cinese “zhong”, primo carattere di “zhongguó”, cioè “della Cina”, ma che può voler significare anche il successo di un’impresa.
Il programma spaziale cinese risponde a diverse aspettative della leadership del Partito comunista cinese: nella logica di potenza, è prestigio, capacità di competere direttamente con l’America, supremazia tecnologica. E’ per questo che, per esempio, la Repubblica popolare si sta concentrando soprattutto su missioni lunari robotiche, mentre accumula esperienza sul volo umano in orbita bassa (7 missioni negli ultimi 4 anni): le missioni dei taikonauti, come la Cina chiama i suoi astronauti, sulla Stazione spaziale cinese sono a basso rischio, e in questo momento Pechino non può fallire, perché il danno d’immagine sarebbe insostenibile. Negli ultimi tre anni, inoltre, la Cina ha rafforzato la sua collaborazione spaziale con la Russia di Putin, che ha esperienza, anche se un budget sempre più limitato. Per questo Chang’e 6 è probabilmente anche una delle ultime missioni spaziali cinesi che vedranno la partecipazione di paesi europei: Francia e Svezia hanno contribuito con due carichi di esperimenti, e solo l’Italia ha partecipato con uno strumento che ha tecnicamente aiutato il successo dell’operazione cinese: un retroriflettore angolare laser realizzato dall’Istituto nazionale di Fisica nucleare di Frascati che ha aiutato a controllare il posizionamento della sonda. L’Italia fa parte anche del programma Artemis, quello a guida americana.