Herfried Münkler foto Getty 

l'intervista

L'Europa secondo Münkler

Flaminia Bussotti

"Basta veti: serve una Unione centrale, modello Triangolo Weimar", dice lo storico e politologo tedesco. La guerra nel cuore del continente, la sfida di una difesa comune, l'antisemitismo che non è mai scomparso del tutto. Intervista

Herfried Münkler (73 anni), politologo, storico, professore emerito in scienze politiche alla Humboldt Universität di Berlino, è una delle voci più ascoltate in Germania. Al suo attivo, decine di saggi e di libri fra cui uno su Machiavelli che lo impose all’attenzione pubblica.

 

L’Europa arriva divisa al voto fra chi vuole più Europa e i populisti che ne vogliono di meno, su Ucraina, Israele, migrazione, clima e presidente della Commissione. Che Europa uscirà dal voto?

Penso che in linea di massima sarà la vecchia Unione, ma nel Parlamento i populisti e l’estrema destra saranno più forti. Fra Parlamento, Commissione e Consiglio tutto sommato il Parlamento ha un’influenza minore. Direi che Ursula von der Leyen sarà riconfermata, non vedo un’alternativa praticabile. Ci sarà un riequilibrio delle forze in Parlamento ma non fondamentale rispetto al blocco di Ppe, Ps e Verdi che avrà la maggioranza.

 

La guerra è tornata nel cuore del continente eppure sembra che l’Europa non abbia nulla da dire e lasci decidere agli altri: come spiega questa impotenza?

Tre le ragioni: dopo il 1989 diversi paesi si sono ‘rilassati’, specie la Germania che però nella guerra fredda ospitava il maggior numero di missili nucleari ed era il primo obbiettivo. Ha quindi ridotto le sue capacità militari a 200.000 soldati, contro oltre 1,5 milioni delle due Germanie assieme prima. Un colossale sforzo del Paese e della Storia e la necessità di prepararsi a una guerra è sparita. Gli altri nodi sono gli eurobonds, i migranti, questione centrale per l’Italia, e che fare con la Russia e Putin. I paesi esteuropei e scandinavi stanziano più denaro nella difesa, quelli del sud, Italia, Spagna, Grecia ma anche Francia meno, e i tedeschi stanno a metà. Le percezioni delle minacce sono diverse, le priorità pure: Putin o la costa africana, e la ‘colpa’ è dell’invasione russa o della migrazione?

 

Quale dovrebbe essere la risposta che l’Europa dovrebbe dare su Ucraina o medio oriente?

L’ex ministro degli esteri del Lussemburgo Jean Asselborn, ha detto bene: in medio oriente gli europei sono ‘payer’ ma non ‘player’. Fa riflettere perché è alle porte di casa. La divisione è fra quelli che riconoscono lo stato palestinese e quelli contrari finché non ci sarà uno stato di diritto. La situazione internazionale condiziona le politiche nazionali. Una politica estera comune è difficile perché le risposte sono diverse. Il conflitto in medio oriente durerebbe anche se l’Europa parlasse a una voce perché in gioco ci sono grandi attori, una pentarchia come ai tempi della Lega di Lodi alla metà del ‘500: Usa, Cina, Russia, India e Ue con l’ungherese Orban e lo slovacco Fico che dicono noi ci teniamo alla larga e capiamo posizione russa. La debolezza dell’Ue è che si può aderire ma non possiamo buttare fuori nessuno, è stato un errore di Maastricht. Alcuni paesi usano l’Ue per prendere denaro ma continuano a fare i loro interessi: ci sono noti ‘giocatori di veto’ che rendono impossibile all’Ue avere un ruolo: ciò deve cambiare nei prossimi anni.

 

L’Europa dovrebbe avere una politica di difesa ed estera, ma gli stati sono divisi, anche Francia e Germania che dovrebbero essere il motore. Quando ci si arriverà?

Il problema non è tanto il dissenso fra Berlino e Parigi che c’è sempre stato. Piuttosto 27 stati sono troppi per una politica comune. Serve una Unione centrale, modello Triangolo Weimar, Parigi, Berlino e Varsavia, più uno o due stati: Madrid e/o Roma. Dovrebbero accordarsi fra di loro sulle questioni importanti, e imporre principio della maggioranza non del consenso. Finché invece un piccolo e insignificante paese come l’Ungheria, o la Slovacchia, avrà il potere di veto, l’Europa non funzionerà.

 

È l’idea di Schäuble e Lamers del 1994 di dare vita a nucleo duro. Sarebbe una specie di Consiglio di Sicurezza Onu in chiave europea?

Sì. In cinque decidono e il resto segue.

 

All’Europa una carica ideale, quale potrebbe essere il collante, il mito fondativo?

L’ideale missione dell’Europa in ambito globale sarebbe lo stato di diritto liberale: partecipazione popolare, ancoraggio delle decisioni alla Costituzione, imperativa libertà individuale. Era la funzione degli Usa ma con un ritorno di Trump gli europei dovranno portare la fiaccola della democrazia liberale altrimenti la democrazia globale è in pericolo. Il mito delle origini era l’impero carolingio che abbracciava i sei fondatori. Con l’allargamento l’Ue è più grande, non c’è più un mito. Abbiamo vissuto guerre terribili e non le vogliamo più: l’Ue rappresenta uno spazio di pace, benessere e libertà.

 

L’espansionismo della Russia, le ambizioni della Cina, l’America ripiegata su di sé: quali sono le sfide per l’Europa. L’ok all’uso di armi sul suolo russo può significare una svolta in Ucraina e la fine di Putin?

La fine di Putin dubito. Si credeva che un po’ più di aiuti l’Ucraina si arrivava a una svolta: il risultato è che l’Ucraina ha resistito di più ma niente svolta. Vedi i panzer Leopard arrivati tardi: se fossero arrivati prima forse sarebbe cambiato qualcosa, ma nel frattempo i russi si sono organizzati. Ora è una guerra di posizione, come in Italia nella prima guerra mondiale. Ingenti materiali, grandi perdite e pochi passi in avanti. Le armi occidentali in Russia cambieranno poco, ben diverso sarebbe se, mettiamo, si bombardasse Mosca. Quello di ora è solo un piccolo aggiustamento, per l’Ucraina è un po’ meglio ma non per vincere la guerra.

 

Gli studenti si sono mobilitati in molte università, come la sua, contro Israele e parlano di genocidio: è giusto chiamarlo così? Assistiamo a un ritorno dell’antisemitismo?

L’antisemitismo è tornato ma non è mai scomparso del tutto, era camuffato da anticapitalismo. È sbagliato parlare di genocidio perché la strategia di Hamas non è usare le armi per difendere i palestinesi ma l’opposto: usa due strumenti, le armi e le immagini. Usa i civili come scudo per questo non si può parlare di genocidio. Alla Humboldt non ragionano su queste cose: hanno devastato non occupato l’Università. I dimostranti sono di parte, vengono dall’area del post-colonialismo, idee confuse, a digiuno di storia: sfogano le loro emozioni, ma in politica non sono mai buon consigliere.

 

In anni di studio, ha mai visto uno scenario simile? Personalmente è preoccupato o fiducioso?

Preoccupato sì, non c’è ragione di non esserlo. Se vince Putin per prima cosa cadrà il divieto dell’Onu di fare guerre di aggressione, poi salterà la regola dell’inviolabilità dei confini: se vale per lui perché non per gli altri? Le regole le fa chi le viola. Prossimo candidato, Vucic in Serbia con il Kosovo e la Bosnia Erzegovina. E l’Europa dovrà vedersela con 5, 10 milioni di rifugiati dall’Ucraina.