L'arringa
“Un mondo senza Israele”. J'accuse del Nobel per la letteratura Herta Müller
“Hamas voleva evocare la memoria della Shoah e mi ricorda i nazisti. Dal 7 ottobre l’antisemitismo si è diffuso come un grande schiocco di dita collettivo”, scrive sul Frankfurter Allgemeine Zeitung la saggista e poetessa tedesca, unica non ebrea invitata al "Forum del 7 ottobre"
La guerra non è iniziata a Gaza. La guerra è iniziata il 7 ottobre, quando i terroristi palestinesi di Hamas hanno commesso un massacro inimmaginabile. Si sono filmati come eroi e celebrato il loro bagno di sangue. I festeggiamenti per la vittoria sono proseguiti a Gaza, dove i terroristi hanno trascinato ostaggi gravemente maltrattati e li hanno presentati come bottino di guerra alla popolazione palestinese esultante. Questa macabra esultanza si è estesa fino a Berlino, dove si ballava per le strade e distribuivano dolci. Internet era pieno di commenti felici”.
Il premio Nobel per la letteratura Herta Müller ha scritto il più sensazionale atto d’accusa contro il 7 ottobre sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Era l’unica non ebrea invitata al “Forum del 7 ottobre”, un evento letterario di due giorni organizzato dall’Istituto di cultura ebraica in Svezia, con la partecipazione di accademici, scrittori e giornalisti provenienti da Israele e da altri paesi. Scrittrice, poetessa e saggista nota per la descrizione della vita sotto il regime comunista di Ceausescu, da cui nel 1987 fuggì insieme al marito dopo essere stata licenziata perché si era rifiutata di collaborare con la Securitate, la famigerata polizia segreta del regime, Müller parla del massacro di Hamas come di “un totale deragliamento dalla civiltà”.
“C’è un orrore arcaico in questa sete di sangue che non credevo più possibile ai giorni nostri” avverte Müller. “Questo massacro ha lo schema dello sterminio attraverso i pogrom, schema che gli ebrei conoscono da secoli”. Per questo ha traumatizzato l’intero paese, che ha voluto proteggersi da tali pogrom fondando lo stato di Israele. “E si sono sentiti protetti fino al 7 ottobre”. La carta di fondazione di Hamas era già chiara fin dal 1987: “L’obiettivo era la distruzione degli ebrei” scrive Müller. “Lo sterminio degli ebrei e la distruzione di Israele continuano a essere l’obiettivo e il desiderio di Hamas. È la stessa cosa in Iran. Anche nella Repubblica islamica, lo sterminio degli ebrei è una dottrina di stato sin dalla sua fondazione nel 1979”. Quando si parla del terrore di Hamas, si dovrebbe sempre includere l’Iran. “Perché è per gli stessi principi che il fratello maggiore Iran finanzia, arma e trasforma il fratello minore Hamas in un suo scagnozzo. Entrambi sono dittature spietate. E sappiamo che tutti i dittatori si radicalizzano più a lungo. Oggi il governo iraniano è interamente composto da integralisti. Lo stato dei mullah, con le sue Guardie rivoluzionarie, è una dittatura militare spietata e in espansione”. Non infinge, Müller. “Islam politico significa disprezzo per l’umanità, fustigazione pubblica, condanne a morte ed esecuzioni in nome di Dio. L’Iran è ossessionato dalla guerra, ma allo stesso tempo finge di non costruire armi nucleari. Il fondatore della cosiddetta teocrazia, l’ayatollah Khomeini, ha emesso un decreto religioso, una fatwa, secondo cui le armi nucleari non sono islamiche”. La scrittrice attacca i capi di Hamas. “La popolazione di Gaza è deliberatamente tenuta in povertà, mentre le ricchezze dei dirigenti di Hamas aumentano a dismisura (in Qatar, Ismail Haniye si dice abbia miliardi). E il disprezzo per l’umanità è senza limiti. Alla popolazione non resta quasi nulla se non il martirio. A Gaza non c’è letteralmente un centimetro di spazio per le opinioni dissenzienti all’interno della politica palestinese”.
Hamas ha costruito una rete di tunnel sotto i palestinesi. “Anche tra gli ospedali, le scuole, gli asili finanziati dalla comunità internazionale. Gaza è una caserma militare, uno deep state di odio ebraico. Senza soluzione di continuità, eppure invisibile. C’è un detto in Iran: Israele ha bisogno delle sue armi per proteggere il suo popolo. E Hamas ha bisogno del suo popolo per proteggere le sue armi”. Dal 7 ottobre, Müller ha pensato a un libro sull’era nazista, “Uomini comuni” di Christopher Browning. Descrive lo sterminio dei villaggi ebraici in Polonia da parte del Battaglione 110, quando ancora non esistevano le grandi camere a gas e i crematori di Auschwitz. “Era come la sete di sangue dei terroristi di Hamas al festival della musica e nei kibbutzim” spiega Müller. “In un solo giorno del luglio 1942, i 1.500 residenti ebrei del villaggio di Józefów furono massacrati. I bambini e i neonati furono fucilati davanti alle case, gli anziani e i malati uccisi nei loro letti. Tutti gli altri furono condotti nella foresta, dovettero spogliarsi e strisciare nudi per terra. Furono derisi e torturati, fucilati e lasciati a terra in una foresta insanguinato”. “Uomini comuni” si intitola così perché il battaglione non era composto da uomini delle SS o da soldati della Wehrmacht, ma da civili che non erano più considerati soldati perché troppo vecchi. “Quindi provenivano da lavori normali e si trasformarono in mostri. Solo nel 1962 iniziò un processo su questo crimine di guerra. Il sadismo si spinse a tal punto che un capitano appena sposato portò la moglie ai massacri per festeggiare la loro luna di miele. Perché la sete di sangue continuava in altri villaggi. E la donna, indossando l’abito da sposa bianco che aveva portato con sé, passeggiava tra gli ebrei che venivano radunati nella piazza del mercato. Non era l’unica moglie autorizzata a far loro visita. Possiamo pensare ai massacri del 7 ottobre? Io credo di sì. Perché Hamas ha voluto evocare la memoria della Shoah. E voleva dimostrare che lo stato di Israele non è più una garanzia per la sopravvivenza degli ebrei. Che il loro stato è un miraggio che non li salverà”. Un pudore vieta di abusare della parola Shoah. “Ma perché non dovremmo usarla quando si ritiene che sia impossibile evitare il parallelismo? E quello che mi viene in mente e mi ricorda di nuovo i nazisti: il triangolo rosso della bandiera palestinese. Nei campi di concentramento era il simbolo dei prigionieri comunisti. E oggi? Lo si può vedere nei video di Hamas e sulle facciate delle case a Berlino. Nei video è usato come un invito a uccidere. E segna gli obiettivi sulle facciate delle case che devono essere attaccate”. L’odio verso gli ebrei ha intaccato la vita notturna di Berlino. “Sebbene 364 giovani, raver come loro, siano stati massacrati a un festival techno, i club di Berlino hanno commentato la notizia solo giorni dopo. E anche questo è stato solo un esercizio noioso, perché l’antisemitismo e Hamas non sono stati nemmeno citati”. Riflette la scrittrice: “Una grande utopia sarebbe che l’islam si disarmasse e diventasse una religione pura. Non puoi parlare con un’ideologia distruttiva. Qualsiasi opinione dissenziente verrà schiacciata. I mullah lo dimostrano ogni giorno per le strade. A chi commette un omicidio in nome dell’islam è assicurato il Regno dei Cieli. Quando la morte viene glorificata, l’umanità non esiste più”.
Müller attacca gli studenti che occupano le università per Gaza. “Sono inorridita dal fatto che giovani e studenti in occidente siano così confusi da non essere più consapevoli della loro libertà. Sembrano aver perso la capacità di distinguere tra democrazia e dittatura. È assurdo che omosessuali e queer manifestino per Hamas, come hanno fatto a Berlino. Non è un segreto che non solo Hamas, ma l’intera cultura palestinese disprezzi e punisca le persone Lgbt. Anche solo una bandiera arcobaleno a Gaza è inimmaginabile. L’elenco delle sanzioni previste da Hamas per i gay va da almeno cento frustate alla condanna a morte. Mi chiedo anche se gli studenti di molte università americane sappiano cosa stanno facendo quando manifestano al grido di: ‘Noi siamo Hamas’, o anche ‘L’amato Hamas bombarda Tel Aviv’, o ‘Torniamo al 1948’. Ed è infame quando il 7 ottobre viene addirittura interpretato come una messa in scena di Israele. O se non si chiede una parola per la liberazione degli ostaggi. Se invece la guerra di Israele a Gaza viene dipinta come una guerra arbitraria di conquista e annientamento da parte di una potenza coloniale. E mi chiedo perché non si preoccupino del fatto che Hamas non avrebbe permesso nemmeno la più piccola manifestazione per i diritti delle donne. E che il 7 ottobre le donne stuprate sono state fatte sfilare come bottino di guerra. Celebrano la propria stupidità senza limiti come un collettivo con la coscienza pulita”. Ci si chiede cosa si insegnasse nelle università. “Mi sembra che dal 7 ottobre l’antisemitismo si sia diffuso come un grande schiocco di dita collettivo, come se Hamas fosse l’influencer e gli studenti i seguaci. Anche nella scena artistica è diventato impossibile distinguere tra la difesa del diritto all’esistenza di Israele e la contemporanea critica al suo governo”. Hamas è sordo e cieco alle sofferenze del suo popolo. “Perché altrimenti bombarda il valico di frontiera di Kerem Shalom, da cui arriva la maggior parte degli aiuti? Non una sola parola di compassione per la popolazione di Gaza è stata udita dai signori Sinwar e Haniyeh. E invece di un desiderio di pace, solo richieste massime che sanno che Israele non può soddisfare. Hamas scommette sulla guerra permanente con Israele. Sarebbe la migliore garanzia per la loro esistenza. Hamas spera anche di isolare Israele a livello internazionale, a qualunque costo”. Nel romanzo “Doctor Faustus” di Thomas Mann si dice che il nazionalsocialismo “ha reso intollerabile tutto ciò che è tedesco nel mondo”. Ho l’impressione, scrive Müller, che la strategia di Hamas e dei suoi sostenitori sia quella di rendere tutto ciò che è israeliano, e quindi tutto ciò che è ebraico, intollerabile al mondo. “Hamas vuole mantenere l’antisemitismo come umore globale. Per questo vuole reinterpretare la Shoah. Anche la persecuzione nazista e la fuga salvifica in Palestina dovrebbero essere messe in discussione. E infine il diritto all’esistenza di Israele. Questa manipolazione si spinge fino a sostenere che la commemorazione tedesca dell’Olocausto serve solo come arma culturale per legittimare il ‘progetto di insediamento’ bianco-occidentale di Israele. Con tutti questi costrutti sovrapposti, Israele non dovrebbe più essere visto come l’unica democrazia del medio oriente, ma come uno stato modello colonialista. E come un eterno aggressore contro il quale è giustificato un odio cieco. E persino il desiderio della sua distruzione”. Quando il poeta (rumeno come Herta Müller) Paul Celan visitò Israele nel 1969, Yehuda Amichai tradusse le poesie di Celan e le lesse in ebraico. “Due sopravvissuti si sono incontrati in Israele dopo la Shoah” conclude Müller. “Amichai si chiamava Ludwig Pfeuffer quando i suoi genitori fuggirono da Würzburg. La visita in Israele scosse Celan. Incontrò i compagni di scuola di Czernowitz, in Romania, che, a differenza dei suoi genitori assassinati, erano riusciti a fuggire in Palestina. Dopo la visita e poco prima di morire nella Senna, Celan scrisse ad Amichai: ‘Caro Yehuda, permettimi di ripetere la parola che mi è venuta spontaneamente alle labbra conversando con te: non posso immaginare il mondo senza Israele; non voglio immaginare il mondo senza Israele’”.
E forse non è un caso se gli unici due grandi scrittori che hanno difeso Israele senza se e senza ma siano due donne che vengono dall’Europa centro-orientale e che sanno bene cosa significa vivere sotto il totalitarismo. Il Nobel Elfriede Jelinek ha scritto che “infuriano i fanatici, per i quali la vita non ha alcun valore, e la morte è qualcosa per cui vale la pena lottare, attraverso la quale si può diventare martiri”. Paragona quanto succede alla Guerra dei trent’anni, “che quasi spopolò l’Europa e iniziò con fronti chiari, come guerra di religione e con la defenestrazione (più un atterraggio morbido su un mucchio di letame) a Praga, finché alla fine solo i predoni vagarono per la terra deserta”. Hamas, spiega la scrittrice, “non appartiene alla civiltà”, “pianifica” e ha “sempre pianificato” l’annientamento di Israele, spiega la scrittrice austriaca 77enne. “Come i nazisti durante l’invasione della Polonia”: così Jelinek su Hamas, “massacro, stupro e tortura”, “una furia di distruzione incondizionata” che suggella il loro destino. Denuncia anche “la presa in ostaggio di palestinesi innocenti” da parte di Hamas “sulla loro striscia di terra sovrappopolata” e le manifestazioni in Europa contro gli attacchi israeliani. Quanto più i manifestanti “affermano la legittimità e la giustezza della loro azione gridando e ingiuriando, ovunque, anche qui, davanti alla cattedrale di Santo Stefano a Vienna, tanto più si instaura il vuoto, un vuoto aspirante”, deplora l’autrice il cui padre fu perseguitato sotto il nazionalsocialismo a causa delle sue origini ebraiche. “Ogni scambio è ridotto in cenere. Vediamo solo il fumo nero che vola via e l’orrore che rimane”. Uomini comuni.