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Dopo le elezioni europee

Più che un partito, un movimento. Così l'AfD s'è fatta largo in Germania

Daniel Mosseri

Il successo di Alternative für Deutschland spiegato attraverso il trauma di un paese spaccato in due: "AfD piace per due questioni centrali: il rapporto con la Russia e il rifiuto totale dell'immigrazione", dice Wolfgang Schröder, politologo dell’Università di Kassel

Berlino. Il giorno dopo la domanda sulla bocca di tutti è: come hanno fatto? Sfiorare il 16 per cento dei voti nonostante una serie incredibili di passi falsi, viaggi pagati da dittature straniere, arresti, perquisizioni, e banalizzazioni del regime nazista che non sarebbero tollerate in alcun paese civile, men che mai nella Repubblica federale tedesca che si vuole profondamente denazificata. Eppure AfD è uscita bene dalle europee di domenica. Certo, il partito sovranista non è arrivato a quel 20 e più per cento che a inizio anno sembrava a portata di mano, però ha anche subìto la forte concorrenza sul fronte sinistro dei socialisti nazionalisti (BSW) – non si può che scriverlo in questo ordine – dell’ex capogruppo della Linke Sahra Wagenknecht. Una lista che, al netto dei toni nostalgici per il Terzo Reich o della banalizzazione della Shoah, ha un programma poco distinguibile da quello di Alternative für Deutschland. E allora si torna alla domanda iniziale: come ha fatto un partito che in piena campagna elettorale ha chiesto al suo capolista di sparire dalla scena pubblica a mettere insieme così tanti voti? Non va dimenticato che lo Spitzenkandidat Maximilan Krah è scivolato prima sui suoi rapporti troppo stretti con la Cina – il suo assistente è stato arrestato per spionaggio – poi ha affermato che non tutti gli ufficiali delle SS erano per forza dei criminali riuscendo a farsi espellere da Id, il gruppo sovranista europeo a Strasburgo con Matteo Salvini e Marine Le Pen.
 

Per un numero uno che sbaglia, si dirà, ci sarà un numero due pronto a subentrargli per salvare la faccia al partito: invece no, perché il numero due è il molto discusso Petr Bystrom accusato di corruzione e riciclaggio di denaro (russo). Anche a lui AfD ha chiesto di sparire dalla televisione e dai comizi, ma Bysrtrom ha ignorato l’invito. Una riposta prova a darla Wolfgang Schröder, politologo dell’Università di Kassel e del Berlin Social Science Center (WZB): “In primo luogo AfD si conferma capace di portare al voto persone che non hanno alcun legame con i partiti tradizionali”. Un esercizio in cui la formazione sovranista eccelle. A questo giro AfD ha   pescato molto nel voto giovanile, e in Germania potevano votare per le europee anche i cittadini di 16 anni. Analisi del voto alla mano, uno dei due co-leader del partito, Tino Chrupalla, ieri ha affermato che avere così tanti voti di giovani è motivo di orgoglio. Poi c’è l’abilità di AfD di dare corpo al voto di protesta ma, soprattutto, più che a un partito “AfD è più simile a un movimento”, spiega Schröder. “In un movimento non sono le personalità a motivare gli elettori a votare”. Per lo stesso motivo, aggiunge il professore, anche gli scandali lasciano il tempo che trovano: anzi, “spesso sono interpretati come tentativi dei partiti tradizionali di delegittimare la nuova forza politica”. AfD, in sostanza, è l’esatto contrario non solo per contenuti della vecchia Cdu di Angela Merkel i cui cartelloni elettorali non dovevano neppure riprendere il volto della cancelliera. Bastava il dettaglio delle sue mani per garantire l’elettore.
 

Lo spoglio delle urne domenica sera ha poi rilanciato la questione delle due Germanie: a esclusione di Berlino, dove gli elettori hanno scelto nell’ordine Cdu, Verdi e Spd e dove i partiti anti-sistema AfD, BSW e Linke sono al quarto, quinto e sesto posto (e pesano comunque per un abbondante 27 per cento dei voti), negli altri cinque Länder orientali i primi partiti più votati sono solo tre e sempre nello stesso ordine: AfD, Cdu e BSW con il partito sovranista che ha preso “solo” il 27,5 per cento in Brandeburgo ma ha raggiunto il 31,8 per cento in Sassonia. Voti raccolti nel quadro di una partecipazione al voto del 64,8 per cento, il secondo più alto valore nella storia delle europee in Germania dopo il 65,7 per cento del lontano 1979 ma percentuali tutte intorno al 45 per cento  fra il 1999 e il 2014 (nel 2019 l’affluenza arrivò al 61,4 per cento). Gli elettori dell’est, insomma, votano in massa contro quelli che una volta si sarebbero chiamati “i partiti di Bonn”. Qua Schröder non ha dubbi: “Ci sono due ragioni: la prima è la maggiore sensibilità della popolazione tedesco-orientale nei confronti della Russia e il diverso atteggiamento rispetto alle questioni della guerra e della pace; la seconda è la questione della migrazione, ovvero del suo netto rifiuto”. Non è un caso che all’est vadano bene solo AfD e BSW, due partiti accomunati dai toni filorussi e xenofobi, e si salvi la Cdu di Friedrich Merz, artefice di una recente svolta a destra.