In mezzo ai voti

I tre azzardi che sconvolgono la Francia

Paola Peduzzi

Macron manda in pezzi destra e sinistra. I socialisti tentano un Fronte amaro, i gollisti agli stracci

Tutti i leader francesi parlano di responsabilità, ognuno a suo modo. Emmanuel Macron, il presidente, ha perso le elezioni europee e rubando il tempo ai festeggiamenti dei vittoriosi, ha sciolto l’Assemblea nazionale e indetto le elezioni legislative per il 30 giugno dicendo: i francesi devono prendersi le loro responsabilità – tutti quanti, anche quelli che domenica, alle europee, non hanno votato – e decidere se vogliono dare spazio all’estrema destra del Rassemblement national in Parlamento e quindi anche alla guida del governo. Marine Le Pen, eterna rivale presidenziale di Macron e grande vincitrice, assieme a Jordan Bardella, del voto europeo, dice di essere pronta al voto, ad assumersi responsabilità di governo e allunga la mano della responsabilizzazione alla destra gollista, quei Républicains che si stanno squagliando nel decidere se fare, per la prima volta, un accordo elettorale con il Rassemblement national, spezzando il cordone sanitario contro l’estremismo che è in piedi da decenni: è molto “responsabile”, ha detto Le Pen, da parte di Eric Ciotti, il leader dei Républicains che si è fatto portavoce di un’apertura che nel partito non è condivisa, allearsi con noi.

Anche Raphaël Glucksmann, che ha resuscitato il Partito socialista alle europee prendendo il 14 per cento dei consensi (partiva da almeno dieci punti percentuali in meno), fa un richiamo alla responsabilità tutto a sinistra, lanciando l’idea di un Fronte popolare che vada da lui fino all’estrema sinistra per contrastare l’avanzata delle destre e anche Macron. L’eurodeputato ha messo l’asticella molto in alto, dice che per avere candidati comuni tutti i partiti coinvolti devono osservare dei vincoli valoriali che vanno dal rispetto del costrutto europeo, dall’assistenza duratura all’Ucraina fino al rigetto delle riforme macroniane, in particolare quella sull’immigrazione. Le condizioni sono stringenti, ha detto Glucksmann, che ha indicato anche il nome di un possibile premier nel caso in cui il Fronte popolare avesse successo: Laurent Berger, storico sindacalista che ora lavora al centro studi per la transizione ecologica del Crédit mutuel. L’eurodeputato non ambisce a una carica per sé ma vuole anche escludere la possibilità che vi ambisca l’altro esponente della sinistra francese, Jean-Luc Mélenchon, che alle scorse presidenziali aveva federato le sinistre facendole diventare rilevanti (19 per cento dei voti) e che alle europee è stato quasi doppiato dal Partito socialista redivivo di Glucksmann.

E’ evidente a tutti che Mélenchon non rispetta le condizioni alla base del possibile accordo elettorale, ma è abbastanza scaltro da infilarsi in questo pertugio lasciato aperto da Glucksmann per poi provare a riprendersi quel che considera suo, visto che si sente l’unico leader credibile della sinistra francese. Così, con parole che suonano bene presso i socialisti, ha parlato di un vago ma collettivo “sforzo democratico” e avrebbe già piazzato 150 suoi candidati nelle liste comuni. Glucksmann che aveva ricostruito la proposta di una sinistra moderata aprendosi a spallate un varco tra il macronismo e l’estrema sinistra – e lamentandosi giustamente per mesi del fatto che la France insoumise di Mélenchon ce l’aveva più con lui che con la destra estrema – ora si è rimangiato il suo luccicante “no” che aveva pronunciato soltanto qualche mese fa, in nome di un europeismo liberale e antiregimi che non gli consentiva in alcun modo di dialogare con gli insoumis. Tanto più che soltanto pochi giorni prima del voto i cartelloni di Glucksmann sono stati sfregiati con svastiche e scritte “ebreo”, e Mélenchon è al contrario convinto che l’antisemitismo sia, in Francia, un problema “residuale”.

I cantori della responsabilità nei confronti di un nemico che pareva comune ma ora non lo è più sono accusati di essere in realtà irresponsabili. Macron – che in un’intervista al Figaro a domanda esplicita risponde: no, non sono matto – vuole mostrare ai francesi che il Rassemblement national, chiamato a un’eventuale prospettiva di governo, non sa rispondere. Vuole anche chiedere ai francesi se sono davvero sicuri di lasciare tale spazio ai lepenisti nella costruzione delle leggi francesi, e naturalmente conta di mostrarne l’inadeguatezza (siamo qui per vincere, dice il presidente),  ma questo significa comunque accettare l’ipotesi di una coabitazione presidente-premier con i lepenisti (il prescelto da Le Pen è Bardella).

A destra i gollisti agonizzanti pensano di poter salire su una scialuppa di salvataggio e conservare una minima rilevanza, distruggendo nel giro di una proposta un fronte unito da destra a sinistra che aveva tenuto lontano il lepenismo dal governo del paese. Spolpati dal macronismo che ha attirato l’anima moderata del gollismo, quelli che restano, per sopravvivere, pensano che sia meglio consegnarsi alla destra estrema, rischiando così l’implosione.

A suo modo anche Glucksmann lascia cadere il  veto contro l’estrema sinistra antieuropea e filoputiniana: lo fa da una posizione di forza, visto che alle europee ha preso quasi il doppio dei consensi della Nupes mélenchoniana, ma il rischio di alterare l’essenza democratica della Francia è comunque alto.

Basta vedere quel che è accaduto ieri al Bundestag tedesco, che ha accolto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: c’erano tutti tranne i deputati dell’estrema destra e dell’estrema sinistra.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi