Il presidente francese Emmanuel Macron - foto Ansa

Risepolto De Gaulle

La fine definitiva e incresciosa del gollismo e della sua pregiudiziale repubblicana

Giuliano Ferrara

Emmanuel Macron ha sciolto il Parlamento, ma non si sa se l’esito di questo sfascio non gli si spiaccichi in faccia. Facciamoci molti auguri

La vittoria di Marine Le Pen alle europee, con l’insieme della destra al 40 per cento, e la dissoluzione dell’Assemblea nazionale decisa da Emmanuel Macron sembravano notizie importanti ma non definitive nelle ventiquattr’ore susseguenti. Ma importanti davvero per la Francia sola, si diceva, perché per il resto l’affermazione dei popolari, la resistenza complessiva dei socialisti e la stabilità centrista e conservatrice del partito di Giorgia Meloni ripropongono l’assetto di governo e di maggioranza precedente alle elezioni. Ieri a scoppio ritardato, ma con sorpresa e raccapriccio diffusi, in Francia e non solo, è esplosa una nuova bomba politica: la decisione del presidente dei gollisti (Lr, Les Républicains), al 7 per cento nelle europee, di unirsi al Rassemblement national di Marine Le Pen.

 

 

Il presidente dei gollisti è un buffo omicciolo eletto con le primarie dai militanti del partito, è un politico opportunista, un nizzardo di origine italiana che evoca il ceto politico nostro in forme particolarmente caricaturali; è uno che ammiccava da tempo sotto le foglie a questa strisciata da serpente in nome del ritorno all’ordine e alla sicurezza che è la parola chiave di Le Pen e del suo populismo demagogico. La sua decisione solitaria, nata nella menzogna e nella contraffazione verso il suo stesso gruppo dirigente, ha fatto infuriare la quasi totalità del resto del partito che invoca le sue dimissioni e si prepara a una battaglia disperata e isolata sotto l’insegna dell’indipendenza, dell’autonomia e della coerenza politica. Ma c’è da aggiungere che lo scopo elettoralistico mal sputato della rottura storica di una tradizione di rigetto del lepenismo ha l’aria efficace, sia per la sorte dei posti di deputato raccoglibili con il sistema elettorale francese dagli alleati di Le Pen e Bardella sia per l’impulso realistico all’idea di una ormai possibile, sebbene nient’affatto scontata, maggioranza assoluta di destra nel prossimo Parlamento che uscirà dal ballottaggio del 7 di luglio, tra poche settimane.
 

Gli ideali di autonomia dei soli soletti rivendicati con coerenza triste dalle ultime briciole della tradizione gollista impallidiscono davanti alla sfrontatezza del salto della quaglia, alla voglia di essere rieletti e alla montante idea di un’unione delle destre oltre le vecchie discriminanti, ora che De Gaulle è dimenticato, anzi morto e sepolto una seconda volta, e il giovane Jordan Bardella, per conto di Marine, si pone come un combattente perfino sul fronte della lotta all’antisemitismo abbandonata e rovesciata nel suo opposto dai mélenchonisti, alleati nel nuovo fronte popolare con l’imbarazzato e strattonato Raphaël Glucksmann. Ben scavato, vecchio talpone.
 

La questione di peso però è proprio quella. Un piccolo scarto politicista liquida, dopo la scomparsa della Shoah come punto di riferimento ideologico e storico di generazioni di europei e americani, e forse anche universale, anche il ricordo dell’assetto democratico uscito dalla Seconda guerra mondiale. L’Italia è nata con l’8 settembre, premessa storica della gloria del 25 aprile, ed è stato un paese sconfitto riscattato da una Costituzione ciellenista che di quella sconfitta fu il prodotto e che dal 1947 fu gestita dal partito cattolico interclassista e poi da diversi regimi di tipo trasformista, privi di una vera tradizione repubblicana, all’ombra o alla luce della Guerra fredda. La Francia no, l’appello del 18 giugno del generale Charles de Gaulle, la mobilitazione antivichista e antinazista, fecero di quel paese un vincitore della guerra e diedero origine a una Costituzione repubblicana e a istituzioni che montarono per decenni la guardia a un’ideologia incompatibile con il populismo dell’estrema destra. Nel clima generale di caos e di caduta degli dèi che percorre l’occidente, la fine senza più fondo, definitiva e incresciosa, del gollismo e della sua pregiudiziale repubblicana, è un’altra pietra miliare che misura la distanza dalla memoria della guerra e della vittoria delle democrazie.
 

François Mitterrand, fiorentino d’istinto e di cultura, aveva giocato anche lui, con la legge elettorale proporzionale, alla triangolazione con il Front national del padre di Marine, uno che considerava la Shoah un “dettaglio della storia”, i gollisti mai. Quando Jean Marie Le Pen arrivò al ballottaggio nelle presidenziali fu Jacques Chirac a impugnare il bastone e a orchestrare il matraquage, la punizione violenta, della destra di allora. Molto è cambiato, anche il Front national, bisogna dire, fino a un certo punto. Macron voleva far esplodere il vecchio mondo, e in due rate ci è riuscito, prima vincendo contro socialisti e gollisti e ora sciogliendo il Parlamento dopo la vittoria europea di Marine, ma non si sa se l’esito di questo sfascio non gli si spiaccichi in faccia. Un presidente liberale per i francesi è una contraddizione in termini, purtroppo per loro e per l’Europa, potrebbero uscire dalla drammatica esperienza con un ritorno all’ordine, nazionalista e antieuropeo. Facciamoci molti auguri.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.