L'editoriale dell'elefantino
Le tossiche alternative alla presidenza di Emmanuel Macron
La Francia oggi si divide in due: quella che continua a sostenere un presidente dipendente dalla volontà dell'opinione pubblica e non sicuro di vincere elezione che ha innescato, e quella che invece ha votato – e voterà – per Le Pen e Mélenchon. Molti auguri, di nuovo
Secondo Politico Europe Macron è diventato tossico, la sua impopolarità lo condanna per il 30 giugno e il 7 luglio a una bruciante terza sconfitta dopo le politiche del 2022 e le recenti elezioni europee, e i suoi lo sanno e lo sussurrano sperando che non faccia la campagna elettorale. Può darsi. Era anche il nostro dubbio, ieri. Però se è tossico un presidente liberale al secondo mandato (scade nel 2027), se la sua fluviale conferenza stampa di ieri può sollevare un sospetto di narcisismo e di un pizzico di follia autoreferenziale, di coazione a ripetere, al fondo della questione si percepisce uno stato di nevrosi ossessiva e compulsiva grave, e di dipendenza questa sì tossica, del sistema politico francese e dell’opinione pubblica nazionale, veicolato ovviamente dal gioco dei media. Capita che il popolo sia sbagliato, che parte delle élite si decomponga al seguito delle sue fobie, come è accaduto ieri ai residui del partito gollista con un presidente che chiude la sede sociale e un ufficio politico che lo espelle dal partito per aver complottato la rielezione di un pugno di deputati, disonorevolmente e nel segreto, con Marine Le Pen, e capita che il tossico sia poi invece il più lucido. Macron ha le sue leggerezze, oscillazioni, insicurezze, ha di contro certi toni ultrapedagogici che risultano insopportabili a un paese che ama la retorica più bolsa ma detesta chi offre lezioni cartesiane a tutto spiano, a tratti sembra un Calenda o un Renzi che ce l’ha fatta.
Ma non è uno stupido, non è un liberale al Barolo, è un liberale molto radicale, un europeista democratico, un innovatore e riformatore. I francesi a destra e a sinistra sembrano emotivamente convinti che il frigorifero è vuoto, che la corriera nelle aree rurali non passa mai, che il medico non si trova e per partorire bisogna coprire immense distanze, che la benzina è troppo cara, che l’energia è fuori della portata delle loro borse, che andare in pensione a sessantadue anni è una condanna biblica, che la tecnologia è nemica del progresso sociale, che gli immigrati sono fuori controllo, che il territorio pullula di piccoli delinquenti impuniti, che gli agricoltori non hanno da fare altro che impiccarsi, che il loro paese è in declino inarrestabile e ha perso ogni status decente: tutte scemenze, tutte fobie, tutte rappresentazioni mediatiche e social prive di corrispondenza con la realtà, sebbene la vita insegni che nessuno ha mai promesso a nessuno un giardino di rose.
A uno stato sociale protettivo, che non è mai stato smantellato e nemmeno intaccato da alcuno, si sono accoppiati negli anni del macronismo la riforma del lavoro, una politica misurata ma sostenuta di deficit spending, un aumento delle pensioni, una riduzione delle tasse, un incremento degli investimenti e una forte ripresa dell’occupazione, un rafforzamento della rete digitale, e perfino un tentativo di cosiddetta transizione ecologica. In politica estera la Francia ha lasciato il suo residuo coloniale africano all’avventurismo russo e alla penetrazione cinese, ma in questo non è il solo potere ex imperiale in ritirata, mentre ha cercato prima con Merkel e poi con Scholz soluzioni di politica europea che siano efficaci e visionarie in economia e nelle politiche di sicurezza e di difesa di fronte a tre anni di guerra russa sul suolo europeo. Macron sarà anche tossico, ma l’idea che della Francia si fa la metà dei francesi che vota alle europee per Le Pen e Mélenchon è l’effetto di droghe emotive pesanti, è una idea fobica e falsa, è la famosa collera di una nazione perennemente inquieta e capace come poche altre di annoiarsi.
Con i socialisti e i gollisti ridotti a una caricatura di sé stessi, con tempismo perfetto, Macron è diventato presidente una prima volta nel 2017 ricomponendo il vecchio bipolarismo delle ideologie in un bipolarismo repubblicano puro: o me o Marine Le Pen. Gli è riuscita la stessa operazione, in una situazione di degrado tossico di cui è solo in parte responsabile, una seconda volta nel 2022. Ora, senza una maggioranza assoluta, senza la prospettiva di una coalizione strategica, dopo aver imposto la riforma delle pensioni a folle tumultuanti senza farla votare dal Parlamento, costituzionalmente un suo potere legittimo ma percepito naturalmente come un abuso di autorità, si è ritrovato alle europee con la metà del paese elettorale spartito tra Le Pen e Mélenchon. Non poteva che sciogliere, essendo un liberale radicale e un democratico che non ha voglia di vivacchiare, e provare a reimporre il suo schema politico per la terza volta intorno all’interrogativo su chi deve governare: o me o Marine Le Pen. Può essere che stavolta il congegno non funzioni, tale è la disillusione popolare di fronte a un sistema della fredda ragione contro una tradizione di fobia emotiva e di caldo spirito rivoluzionario e sanguigno. Vorrà dire che sul cadavere politico di Macron si cercherà di ricostituire il vecchio bipolarismo del vecchio mondo, con il buffo e disprezzato Ciotti al posto di De Gaulle, con il retorico avventuriero Mélenchon al posto di Mitterrand, e con il salto nel buio di Madame Le Pen e del suo giovane scudiero. Di nuovo, molti auguri.
Dalle piazze ai palazzi