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chapeau

Macron ha fatto bene a prendere di petto l'emergenza lepenista

Vittorio Emanuele Parsi

La mossa di Macron rispecchia una missione ambiziosa, che richiede coraggio e determinazione. Obiettivo: conquistare una solida maggioranza alle prossime elezioni o logorare allo sfinimento il fronte estremista 

Altro che dimezzato, l’Emmanuel Macron che arriverà al G7 di Borgo Egnazia è un presidente battagliero e nella pienezza dei suoi poteri: battagliero perché, come ha ribadito nella conferenza stampa tenuta ieri alle 11, ha scelto di non fingere di non vedere che oltre il 50 per cento dei francesi ha votato per i partiti estremisti radicali di destra e di sinistra, e invece ha deciso di chiedere ai francesi se davvero vogliono consegnare il paese alle forze populiste e antisistema; nella pienezza dei suoi poteri, perché la Costituzione della V Repubblica assegna al presidente il riservato dominio della politica estera e di difesa della Francia. Per intenderci, l’Emmanuel Macron il cui partito è stato sonoramente sconfitto alle recenti elezioni europee ha molta più autonomia e capacità decisionale della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che seppure le elezioni le ha vinte, ha comunque nella sua coalizione di governo Matteo Salvini, sempre così attento agli interessi russi. E, indovinate un po’, i temi della politica estera e di sicurezza saranno quelli centrali in discussione al G7, oltre alla riflessione sull’intelligenza artificiale, a parlare della quale è stato invitato da Giorgia Meloni l’anziano pontefice argentino.

Già, perché il cosiddetto sistema semipresidenziale d’Oltralpe è in effetti un sistema iperpresidenziale, che conferisce all’inquilino dell’Eliseo prerogative e poteri al cui confronto quelli del presidente degli Stati Uniti impallidiscono. Oltre alle già citate competenze esclusive su politica estera e difesa, il presidente francese può infatti licenziare il governo e sciogliere l’Assemblea nazionale. Il che rende persino un presidente francese eventualmente costretto a una complicata coabitazione con un governo ostile molto più potente di un presidente americano che abbia il Congresso a suo favore. E’ quindi all’interno di questa cornice che va inquadrata l’audace mossa di Macron, il quale ha per l’appunto sciolto l’Assemblea nazionale appena sono stati noti i risultati dello scrutinio europeo e convocato nuove elezioni per la fine del mese in corso. E’ stato audace Macron e ha fatto bene, perché se l’affermazione del Rassemblement national (Rn) di Bardella/Le Pen (insieme al lusinghiero risultato della France insoumis di Mélenchon) sono un segnale d’allarme grave e preoccupante, attestano cioè una situazione di straordinaria emergenza per le sorti della Repubblica, non si poteva certo affrontarlo con la melina delle manovre di piccolo cabotaggio parlamentare o illudendosi di poter scopare la polvere sotto il tappeto. Altro che polvere, qui siamo di fronte al classico elefante nel soggiorno.

Macron ha agito nello spirito della Costituzione della V e nel solco della tradizione del generale De Gaulle, e d’altronde il piglio gollista l’ha sempre dimostrato. Il suo intento primario è quello di spingere i “compatrioti e leader politici che non si identificano con la febbre estremista”, a mettersi insieme per conquistare la maggioranza alle prossime elezioni anticipate del 30 giugno e del 7 luglio. Ma se questo non dovesse succedere, Macron è pronto a trasformare i tre anni di presidenza che ancora gli mancano in una coabitazione durante la quale logorare allo sfinimento i lepenisti, facendone emergere le contraddizioni e le incapacità. E’ una mossa rischiosa, non c’è dubbio, ma la sola che impedirebbe al Rn di poter cuocere a fuoco lento il suo governo e i partiti che lo sostengono dai comodi scranni dell’opposizione. Il presidente è consapevole che il suo astro è declinante (diversamente da Putin, il finanziatore di madame Le Pen, non può correre per un terzo mandato), mentre quello dei lepenisti è un astro in fase crescente: ma è disposto a dedicare gli ultimi anni della sua seconda presidenza a quella che ritiene la sua missione: salvare la V Repubblica dal populismo estremista. Del resto, la sua ascesa politica fu originariamente legata a quella stessa missione: e se conseguirà questo obiettivo potrà dire di aver assolto al suo dovere e di aver liberato la Francia dalla minaccia di un nuovo pétainismo, questa volta collaborazionista rispetto al putinismo russo invece che al nazismo tedesco.
E’ una missione ambiziosa che richiede coraggio e determinazione, tutte doti che a Macron non hanno mai fatto difetto, e che, lo ripeto, è fatta di due mosse: la prima affidata ai partiti, la seconda da giocare in prima persona se i partiti dovessero fallire nel loro compito. Il ruolo che il Generale aveva riservato ai partiti emergeva con grande chiarezza dal dispositivo costituzionale e della legge elettorale a doppio turno: essere interpreti della volontà popolare senza esserne succubi. In fondo il primo turno consente di ascoltare la pancia del paese, mentre il secondo lascia spazio alla testa delle leadership, consentendo loro di creare quegli apparentamenti politici e quei patti di desistenza in grado di costituire solide maggioranze parlamentari e, attraverso questi e non solo attraverso il mero elemento meccanicistico, di rendere vitale ed efficace la democrazia rappresentativa, cercando una specie di “ottimo equilibrio paretiano” tra l’inclusività e la responsabilità.

La crisi della V Repubblica si era già ampiamente manifestata 7 anni fa, quando l’elezione di Macron e la nascita di un suo partito politico alle successive elezioni parlamentari (oggi confluito nella coalizione Ensamble) avevano allontanato il suo manifestarsi. Era stato un tentativo di salvare il sistema politico attraverso il ricorso a un nuovo soggetto politico estraneo al sistema dei partiti. Ora un altro simile escamotage non è semplicemente più sufficiente né forse possibile. Occorre afferrare il toro per le corna e tornare a investire su partiti in grado di svolgere la loro funzione di intermediazione rispetto alla società e non a limitarsi ad essere il docile strumento nelle mani di questo o quella leader del momento. Questa era l’ambizione originaria della grande riforma voluta dal Generale, che aveva già intravisto il rischio delle derive populiste e personalistiche che minacciavano di travolgere la più antica democrazia continentale, nelle convulsioni della guerra d’Algeria. Ed è alla rivitalizzazione di quel sistema di fronte alle nuove insidie rappresentate oggi dal populismo, dal leaderismo e dal radicalismo, ingigantite dall’aggressiva interferenza della Russia di Putin, che mira ambiziosamente Emmanuel Macron, in una lezione che dovrebbe parlare anche agli italiani: chapeau!

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