Patti con il diavolo

Orbán esclude aiuti all'Ucraina via Nato, crea un fronte “pacifista” filorusso e occhieggia a Ecr

Paola Peduzzi

Trump Jr arriva a Budapest ospite della scuola dell’élite orbaniana. Gli intrecci russi e il partito globale per la pace, dove per pace si intende la capitolazione dell'Ucraina e dell'occidente davanti all'aggressione di Putin

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è andato ieri a Budapest a incontrare il premier Viktor Orbán, autoproclamatosi il leader di un fronte “pacifista” che combatte il “Partito globale della guerra” formato dall’Europa e dall’America. Il vertice non è andato troppo male, considerate le premesse: il premier ungherese non vuole partecipare a nessuna iniziativa della Nato a sostegno dell’Ucraina, e continua a ostacolare, rallentare e ridimensionare anche le misure dell’Unione europea.  

 

Stoltenberg gli ha detto: non ti chiederemo niente, ma tu lascia che la Nato faccia ciò che è necessario per difendere l’Ucraina dall’aggressione russa. “Orbán mi ha assicurato – ha detto il segretario generale –  che l’Ungheria non si opporrà allo sforzo finanziario e militare collettivo, consentendo agli altri alleati di proseguire con gli aiuti, e ha confermato che l’Ungheria continuerà a rispettare  gli impegni presi con la Nato”. Orbán ha detto che ci sono 1.300 soldati ungheresi coinvolti nelle operazioni della Nato, che Budapest rispetta la richiesta di destinare il 2 per cento del pil all’Alleanza, ma che le elezioni europee hanno rafforzato il suo “mandato” a “non partecipare a una guerra” al di fuori di una zona operativa della Nato: “Oggi abbiamo avuto la garanzia che quando si tratta della guerra russo-ucraina e di operazioni militari fuori dall’area operativa, non è richiesta la nostra partecipazione. L’Ungheria non fornirà fondi né personale alla guerra e il territorio dell’Ungheria non potrà essere utilizzato per qualsiasi coinvolgimento in questa guerra”. Con Orbán si va sempre al ribasso: il fatto che sia a favore di una “pace” russa non dovrebbe più impedire alla Nato di concordare – al vertice di luglio a Washington –  un nuovo sistema per fornire all’Ucraina un’assistenza più stabile e a lungo termine in materia di sicurezza e di addestramento militare. Questo accordo è destinato a non bastare però agli altri paesi che costituiscono il B9, il Bucarest Nine, il gruppo dei paesi dell’Europa dell’est che sono dentro la Nato – Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia che stanno valutando di estromettere l’Ungheria dai loro incontri di coordinamento. 

 

Orbán sta costruendo un partito globale per la pace, dove per pace si intende la capitolazione dell’Ucraina e dell’occidente davanti all’aggressione russa. Uno dei suoi interlocutori privilegiati è Donald Trump, ex presidente americano che si ricandida per la Casa Bianca a novembre: dopo l’incontro a Mar-a-Lago a marzo, il premier ungherese aveva riassunto la loro conversazione dicendo che Trump non darà più “un penny” per la difesa ucraina “così la guerra finirà”. L’ipocrisia di questa strategia è contagiosa così in Europa, nell’estrema destra e nell’estrema sinistra (ma purtroppo anche in alcuni partiti non considerati estremi), si è consolidata l’idea che a volere la guerra in Ucraina non sia Vladimir Putin che l’ha invasa e la vuole mettere in ginocchio (con le bombe, con l’occupazione, con le torture, con la violenza sessuale, con la deportazione dei bambini) ma gli americani e gli europei che vogliono difenderla. Oggi è in arrivo a Budapest il rampollo di casa Trump, Donald Jr, che parlerà a un convegno della Camera di commercio ungherese e poi al Mathias Corvinus Collegium (Mcc), che è soprannominato “l’università di Fidesz”, il partito al governo, ed è lo strumento con cui Orbán ha voluto sostituire l’università di George Soros, che è stata di fatto cacciata da Budapest. Il figlio di Trump terrà un incontro dal titolo semplice: “Il mondo secondo Donald Trump Jr”, e a conversare con lui ci sarà Zoltán Szalai, direttore dell’Mcc e del magazine Mandiner (che sull’ultimo numero ha in copertina il premier con il titolo: “Bisogna vincere”), nonché punto di contatto dei centri studi affini, in particolare l’Heritage Foundation americana, il think tank forma i funzionari di un’eventuale seconda Amministrazione Trump. L’Mcc vive di finanziamenti statali e in particolare detiene le azioni della compagnia petrolifera ungherese Mol, che gode di un regime particolare (in scadenza a gennaio) rispetto alle sanzioni alla Russia: con i suoi veti e ricatti, Orbán può acquistare risorse dalla Russia a prezzi calmierati. Quindi la scuola della classe dirigente ungherese vive anche del rapporto privilegiato che l’Ungheria ha voluto mantenere con Mosca, alimentando la propaganda contro la Nato e contro i “guerrafondai occidentali”.

 

Orbán oggi caldeggia un’unione tra le destre del partito europeo Ecr (dove c’è Fratelli d’Italia) e del partito europeo Id (dove c’è Marine Le Pen) e, essendo senza famiglia politica nell’Ue dopo l’espulsione dal Ppe, tende con questo suo pacifismo filorusso e anti Nato verso Ecr. Il suo principale rivale, Peter Magyar, che ha appena fondato un partito che ha preso più del 30 per cento alle europee, incontra venerdì il capogruppo del Ppe, Manfred Weber: potrebbe entrare nella famiglia che era del primo ministro, e porta in dote 7 seggi. Dal primo luglio l’Ungheria avrà la presidenza di turno dell’Ue. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi